Il buyback delle azioni dimostra che l’azienda è in salute, ma non investe: il caso di A2A
Il buyback delle azioni non è una novità a Piazza Affari. Nemmeno in A2A, visto che da qualche anno il Consiglio di Amministrazione ottiene semaforo verde dagli azionisti per un buyback azionario fino ad un massimo pari al 10% del capitale sociale. Col buyback, quell’operazione con cui una società di capitali acquista dal mercato azioni […] L'articolo Il buyback delle azioni dimostra che l’azienda è in salute, ma non investe: il caso di A2A proviene da Il Fatto Quotidiano.

Il buyback delle azioni non è una novità a Piazza Affari. Nemmeno in A2A, visto che da qualche anno il Consiglio di Amministrazione ottiene semaforo verde dagli azionisti per un buyback azionario fino ad un massimo pari al 10% del capitale sociale. Col buyback, quell’operazione con cui una società di capitali acquista dal mercato azioni della sua stessa società, si è semplicemente importato, senza dazio, dagli Stati Uniti in Italia un trend che fa sì che una società riacquisti dal mercato un pacchetto di azioni proprie.
Le motivazioni alla base delle operazioni di buyback sono molteplici, ma in sostanza vanno un po’ tutte nella direzione di premiare gli azionisti con capital gain aggiuntivi oltre al consueto dividendo. O difendersi dal rischio di scalate. O incrementare l’influenza dei soci fondatori originari, i Comuni di Milano e Brescia, che assieme controllano l’azienda con il 50% delle azioni – il resto è in mano consistente a fondi americani, italiani, inglesi e altri fondi europei.
In sostanza, i piani di buyback sono sempre buone (anzi ottime) notizie per gli azionisti che si sommano a quelle dell’incremento del valore della partecipazione e al dividendo. Nel caso fortunato dell’A2A, per quanto riguarda i dividendi, la discussione verte sul commitment dell’azienda a pagare o meno nei prossimi anni dividendi crescenti. Magari le discussioni fossero queste in tutte le aziende, soprattutto quelle che combattono ogni giorno contro il caro energia.
Tornando all’operazione di buyback, la domanda sorge spontanea: perché utilizzare fino a 0,6 miliardi di euro per comprare azioni della tua medesima azienda? Perché fare allo stesso modo di Apple o Microsoft in Usa o come Enel, TotalEnergies, BNP Paribas e Unilever in Europa? A2A non è più solo il bancomat dei Comuni di Milano e Brescia, ma è anche la prima azienda per tonnellate di rifiuti urbani trattati e inceneriti (2,4 milioni di tonnellate trattate negli inceneritori di Brescia, Bergamo, Milano, Cremona, Acerra, Pavia e Corteolona), è un primario operatore nella vendita dell’energia elettrica con 23,4 miliardi di kWh (di cui 7 TWh prodotti da fonti rinnovabili) e del gas naturale con 3,3 miliardi di metri cubi di gas. È al nono posto per quota di popolazione servita nel ciclo idrico integrato e al quarto per energia elettrica distribuita, avendo appena acquisito gli asset di distribuzione elettrica al costo di 1,2 miliardi di euro da e-distribuzione (gruppo Enel) della provincia di Milano e Brescia.
Dal punto di vista industriale per A2A si consolida la strategia dell’acquisizione di monopoli locali (seppur regolamentati) nella distribuzione dell’energia elettrica, del calore del teleriscaldamento e del gas nella prospettiva malcelata di aumentare la propria influenza politica sul territorio lombardo, al di là delle dichiarazioni ufficiali da public utility.
Perché ridurre le capacità di investire efficacemente nelle direzioni indicate da ‘Next Generation Eu’ e accodarsi a chi sostiene che il “green deal” europeo va abbandonato rapidamente? Ci sono delle responsabilità verso i consumatori, la transizione energetico-ambientale e lo sviluppo sostenibile che, se il regolatore pubblico di centrodestra non ha certamente tra le sue corde, in particolare in questo periodo di disfattismo ambientale di matrice trumpiana, le due amministrazioni di centrosinistra dovrebbero invece avere. Quando una società acquista azioni proprie e destina una parte della liquidità aziendale per ricomprarsele dal mercato mostra certamente salute (tradizionalmente intesa), ma sottrae risorse agli investimenti dirottandole verso la finanza. Dimostra un utilizzo inefficiente del capitale per lo sviluppo sostenibile e l’innovazione. Subisce il fascino delle politiche a breve termine.
Le parole non proprio rassicuranti di Mazzoncini sull’eventualità di un black-out come in Spagna anche in Italia richiederebbero un’equa ripartizione tra un buyback azionario e un investimento nella sicurezza delle reti. “Qualsiasi rete elettrica potrebbe essere colpita da black-out”: non sono d’accordo. Le reti elettriche passive e mal gestite subiscono i black-out, quelle ben gestite e intelligenti no. Se l’ad di A2A Renato Mazzoncini ritiene che anche in Italia si possa dover fronteggiare un black-out simile a quello spagnolo, lo dica apertamente. I consumatori italiani pagano miliardi di euro a Terna per la sicurezza della rete. A che servono allora questi corrispettivi pagati nelle bollette?
I black-out non sono eventi alieni. Alla base c’è sempre un problema di gestione della rete. Nel caso spagnolo c’è chi dà la colpa alle rinnovabili e chi alla scarsa flessibilità degli impianti nucleari. A mio modesto avviso, qualora non si dovesse ascrivere la responsabilità ad un attacco deliberato esterno, la colpa è sempre del gestore della rete che invece di investire in infrastruttura distribuisce dividendi all’azionista. Non va dimenticato che anche il distributore (e non solo il gestore della rete di trasmissione nazionale Terna) partecipa anch’esso alla sicurezza della rete. E A2A è proprietaria di Unareti. Ci sta dicendo che dobbiamo aspettarci un black-out anche nel nord Italia?
L’assemblea ha anche approvato il piano di azionariato per i dipendenti (14.777). Il piano prevede che vengano assegnate gratuitamente azioni ordinarie di A2A per un controvalore di 500 euro all’anno, 1.500 euro complessivi tre anni con un costo totale di 20 milioni. Un premio che non si inquadra nella partecipazione dei lavoratori alle responsabilità d’impresa perché non si riferisce a meccanismi che coinvolgono i dipendenti in processi decisionali e gestionali dell’azienda, in modo da favorire una maggiore condivisione delle responsabilità e dei risultati.
Coinvolgimento che può esprimersi in varie forme, tra cui la consultazione, la partecipazione attiva ai consigli di gestione o di sorveglianza; così com’è sembra una mera e minuscola partecipazione finanziaria tramite azionariato degli addetti. Non certo un passo verso la democrazia economica.
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