Impatriati: la verifica dei quattro anni in Italia
Uno dei requisiti che sono chiamati a verificare i lavoratori impatriati, di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 209/235, riguarda la permanenza in Italia per almeno quattro anni (attraverso la residenza). Di fatto, significa che il lavoratore che autocertifica l’applicazione di questa particolare agevolazione fiscale è chiamato a restare sul territorio nazionale verificando almeno quattro […] L'articolo Impatriati: la verifica dei quattro anni in Italia proviene da Fiscomania.

Uno dei requisiti che sono chiamati a verificare i lavoratori impatriati, di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 209/235, riguarda la permanenza in Italia per almeno quattro anni (attraverso la residenza). Di fatto, significa che il lavoratore che autocertifica l’applicazione di questa particolare agevolazione fiscale è chiamato a restare sul territorio nazionale verificando almeno quattro anni di residenza fiscale.
Si tratta di un requisito molto importante, spesso sottovalutato, e che se non rispettato può comportare conseguenze molto importanti per il lavoratore. Questa disposizione rappresenta un elemento di stabilità richiesto dal legislatore a fronte dei benefici fiscali concessi, che consistono principalmente nella tassazione di una percentuale ridotta del reddito prodotto in Italia.
Quindi, è possibile desumere che il mancato rispetto della permanenza in Italia per almeno quattro anni comporti l’automatica decadenza dall’agevolazione in commento, con l’obbligo della restituzione del beneficio fruito (fin dal momento della richiesta) con l’applicazione di sanzioni ed interessi. Nel caso, le sanzioni applicabili sarebbero quelle di infedele dichiarazione dei redditi, con una sanzione pari al 70% della maggiore imposta dovuta (IRPEF) e non versata.
Definizione di residenza fiscale in Italia
Prima di approfondire le modalità di controllo, è essenziale comprendere cosa si intenda per residenza fiscale in Italia. Secondo l’articolo 2 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), una persona fisica è considerata fiscalmente residente in Italia quando, per la maggior parte del periodo d’imposta (almeno 183 giorni o 184 in caso di anno bisestile), soddisfa almeno uno dei seguenti requisiti:
- È iscritta all’Anagrafe della popolazione residente;
- Ha il domicilio in Italia (luogo ove si sviluppano i suoi principali interessi di natura personale e familiare);
- Ha la residenza in Italia (luogo di dimora abituale);
- Presenza fisica in Italia (considerando anche le frazioni di giorno).
Per i lavoratori impatriati, la verifica del mantenimento della residenza fiscale si basa su questi criteri fondamentali, che devono essere soddisfatti per ciascuno dei quattro anni richiesti dalla normativa.
Residenza fiscale e anno solare
Il beneficiario dell’agevolazione che trasferisce la propria residenza fuori dall’Italia prima che siano trascorsi quattro anni dal suo trasferimento nel territorio dello Stato decade dall’agevolazione. Per approfondire questo aspetto è utile rifarsi ai chiarimenti forniti dalla Circolare n. 17/E/2017 (§ 3.6) dell’Agenzia delle Entrate. Documento relativo alla precedente formulazione dell’agevolazione (art. 16 D.Lgs. n. 147/15), ma da ritenersi applicabile in assenza di ulteriori chiarimenti sul tema.
Nel documento in esame viene precisato che il periodo obbligatorio di permanenza nel territorio dello Stato decorre dal periodo di imposta in cui il lavoratore diviene fiscalmente residente. Questo, in coerenza con il presupposto dell’agevolazione in esame, basato sulla acquisizione della residenza fiscale ai sensi dell’articolo 2 del TUIR (oppure, ma questo non è nel documento in commento in quanto oggetto di intervento più recedente, attraverso il rispetto delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, ove esistenti).
Ne consegue, ad esempio, che, nel caso in cui il lavoratore si sia trasferito in Italia nel mese di marzo dell’anno “n”, e abbia pertanto acquisito la residenza fiscale per l’intero anno (in quanto soddisfa il requisito della residenza per la maggior parte del periodo di imposta), il quadriennio potrà ritenersi compiuto il 3 luglio dell’anno “n+3”, vale a dire una volta trascorsi i 183 giorni previsti dal richiamato articolo 2, comma 2, del TUIR, che ne determinano la residenza fiscale per l’intero anno.
Nel caso, invece, in cui il lavoratore si sia trasferito in Italia nel mese di novembre dell’anno “n”, e non può quindi essere considerato fiscalmente residente in Italia in detto anno, il quadriennio comincerà a decorrere dal periodo di imposta successivo (anno “n+1”) e potrà ritenersi compiuto il 3 luglio dell’anno “n+4”, una volta trascorsi i 183 giorni di cui al citato articolo 2, comma 2, del TUIR.
Detto criterio di determinazione del periodo di permanenza in Italia diverge da quello previsto dall’articolo 7 della legge n. 238 del 2010, che non fa riferimento al concetto di residenza fiscale bensì alla data di prima fruizione del beneficio.
Non conta la scadenza del contratto di lavoro ma il mantenimento della residenza
L’Agenzia delle Entrate nel documento in commento effettua un’altra precisazione importante. Infatti, slega il mantenimento della residenza dal mantenimento dell’attività lavorativa per un periodo continuativo. Nella Circolare vene riportato che:
Questo significa che il lavoratore impatriato non decade dall’agevolazione se il proprio contratto di lavoro viene risolto prima del periodo, a patto che tale lavoratore mantenga la propria residenza in Italia (alla ricerca di una nuova occupazione, per la quale potrebbe procedere con l’applicazione dell’agevolazione).
Modalità di verifica della residenza fiscale
La verifica del mantenimento della residenza fiscale avviene attraverso diversi strumenti e procedure. Innanzitutto, l’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente costituisce una presunzione di residenza fiscale, anche se questa può essere confutata qualora emergano elementi che dimostrino l’effettiva residenza all’estero.
L’Agenzia delle Entrate valuta anche elementi fattuali che attestano la presenza fisica sul territorio italiano. Questi includono la disponibilità di un’abitazione permanente, la presenza di familiari in Italia, l’esistenza di rapporti economici e sociali nel paese, l’apertura di utenze domestiche, conti correnti, il possesso di veicoli immatricolati in Italia e l’iscrizione a servizi locali come medici di base o strutture scolastiche per i figli.
Un altro elemento fondamentale di verifica è la presentazione delle dichiarazioni fiscali in Italia per ciascuno dei quattro anni. La dichiarazione dei redditi costituisce infatti una autodichiarazione di residenza fiscale che viene acquisita dall’Agenzia come prova documentale del soddisfacimento del requisito.
Controlli effettuati dall’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate dispone di diversi strumenti per verificare l’effettivo mantenimento della residenza fiscale in Italia. Le verifiche possono essere sia ordinarie, nell’ambito della normale attività di controllo delle dichiarazioni dei redditi, sia mirate, specificamente rivolte ai contribuenti che usufruiscono di regimi agevolati.
I controlli si basano sull’incrocio di diverse banche dati a disposizione dell’amministrazione finanziaria. L’Agenzia può accedere alle informazioni anagrafiche comunali, ai dati catastali, alle informazioni sui contratti di utenze domestiche, ai dati bancari, alle informazioni sulle polizze assicurative e a tutti gli elementi che possono fornire indicazioni sulla effettiva presenza del contribuente sul territorio nazionale.
Particolarmente rilevante è lo scambio automatico di informazioni fiscali tra paesi, che consente all’Agenzia delle Entrate di ricevere informazioni sui conti correnti, investimenti e altri redditi che il contribuente potrebbe possedere all’estero. Questo meccanismo permette di individuare situazioni in cui il contribuente mantiene significativi interessi economici o personali in altri paesi, elemento che potrebbe mettere in discussione l’effettiva residenza fiscale in Italia.
L’Agenzia può anche svolgere indagini più approfondite attraverso questionari inviati al contribuente, richieste di documentazione supplementare o verifiche fiscali vere e proprie, con accessi presso il domicilio o il luogo di lavoro del contribuente.
Onere della prova e documentazione consigliata
È importante sottolineare che, in caso di contestazione, l’onere della prova del mantenimento della residenza fiscale in Italia ricade sul contribuente. Per questo motivo, è consigliabile conservare accuratamente tutta la documentazione che possa attestare la presenza fisica e gli interessi vitali in Italia.
Tra la documentazione utile rientrano i contratti di locazione o di acquisto dell’abitazione, le bollette delle utenze domestiche, i documenti attestanti l’iscrizione dei figli a scuole italiane, le ricevute di pagamento di spese mediche in Italia, gli estratti conto bancari che dimostrino operazioni regolari sul territorio italiano, i biglietti di viaggio che attestino la presenza fisica in Italia, e qualsiasi altro documento che possa dimostrare il centro degli interessi vitali nel territorio italiano.
Anche la titolarità di cariche sociali in società italiane, l’esercizio di attività professionali o imprenditoriali in Italia, l’iscrizione a circoli o associazioni locali possono costituire elementi probatori significativi. È consigliabile conservare questa documentazione per almeno cinque anni dopo la fine del periodo di agevolazione, considerando i termini di accertamento fiscale.
Espatrio prima dei quattro anni di residenza con decadenza e sanzioni
L’Agenzia delle Entrate, quindi, precisa che il periodo di residenza in Italia del beneficiario dell’agevolazione devono essere verificati in relazione alla permanenza della residenza fiscale in Italia per il periodo considerato. Questo significa, di fatto, che in alcuni casi il periodo effettivo di permanenza potrebbe anche essere inferiore ai 48 mesi (vedi il primo dei due esempi precedenti). Si tratta di un chiarimento importante, utile per tutti quei soggetti che, per vari motivi, stanno pensando di tornare all’estero dopo un periodo in Italia usufruendo dell’agevolazione.
Un soggetto beneficiario dell’agevolazione che decide di espatriare nuovamente, spostando la propria residenza fiscale all’estero prima del termine dei quattro anni di residenza fiscale è chiamato a restituire l’agevolazione di cui ha fruito. La restituzione avviene, solitamente, attraverso la presentazione della dichiarazione dei redditi italiana, nella quale emergerà il maggiore debito nei confronti dell’Erario. Su tale importo dovranno poi essere computate le sanzioni amministrative per infedele dichiarazione e gli interessi di mora. Naturalmente, nei termini di decadenza previsti, tale soggetto potrebbe comunque essere assoggettato ad un accertamento fiscale, al fine di verificare la sua situazione e gli importi versati. In casi particolarmente gravi, quando la perdita della residenza fiscale sia accompagnata da comportamenti fraudolenti volti a simulare una residenza in Italia non effettiva, potrebbero configurarsi anche fattispecie di reato tributario.
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