Il bavaglio Cartabia colpisce ancora: resta segreto il nome del medico di Piacenza accusato di 32 abusi sessuali
Il bavaglio della legge Cartabia colpisce ancora. A Piacenza un primario dell’ospedale Civile è stato arrestato e su ordine del giudice per le indagini preliminari messo ai domiciliari per una impressionante serie di abusi sessuali su infermiere e dottoresse. In 45 giorni gli episodi monitorati dagli investigatori della Squadra Mobile sono stati 32. Denunciato da […] L'articolo Il bavaglio Cartabia colpisce ancora: resta segreto il nome del medico di Piacenza accusato di 32 abusi sessuali proviene da Il Fatto Quotidiano.

Il bavaglio della legge Cartabia colpisce ancora. A Piacenza un primario dell’ospedale Civile è stato arrestato e su ordine del giudice per le indagini preliminari messo ai domiciliari per una impressionante serie di abusi sessuali su infermiere e dottoresse. In 45 giorni gli episodi monitorati dagli investigatori della Squadra Mobile sono stati 32. Denunciato da una delle sue ultime vittime, la notizia dell’arresto è contenuta in un comunicato stampa della Polizia, che definisce il medico “potente” e con “conoscenze” di alto livello. L’unica cosa che manca nella lunga e articolata nota degli investigatori? Il nome dell’arrestato. La procura di Piacenza, guidata da Grazia Pradella, non lo ha diffuso per evitare il rischio di violare il bavaglio Cartabia.
Nelle corso degli anni ilfattoquotidiano.it ha raccontato il buco nero informativo creato dall’introduzione del decreto legislativo approvato dal governo di Mario Draghi, che alla fine del 2021 aveva ratificato la direttiva Ue sulla presunzione d’innocenza. Solo che con il pretesto di mettere di mettere un freno ai cosiddetti processi mediatici quella norma ha imposto una stretta a tutta l’informazione giudiziaria. Un esempio? Il surreale comunicato che la procura d Bergamo diramò per l’inchiesta sulla gestione della pandemia: 21 righe in cui non compariva alcun nome di persona sotto inchiesta e neanche il tipo di reato contestato. Nonostante ci fossero sotto indagini ex premier e ministri. La scorsa estate invece fu il procuratore capo di Termini Imerese, Ambrogio Cartosio, a giustificarsi con i cronisti che scrivevano del naufrago del Bayesan “dichiarando che la legge ostacolava la libera informazione”. E ancora lo scorso agosto i giornalisti protestarono perché la notizia di un femminicidio in Veneto era stata data due mesi dopo i fatti.
Nel decreto-censura, infatti, è vietato “indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. Cosa vuol dire? La norma è assai vaga, ma le conseguenze no: “Sanzioni penali e disciplinari”, “obbligo di risarcimento del danno” e “rettifica della dichiarazione resa”. L’effetto è che spesso i comunicati delle procure sono vuoti.
È quello che è successo a Piacenza: il nome del medico sotto inchiesta resta segreto, nonostante a suo carico ci siano anche intercettazioni e video, come è evidente dalla lettura della nota degli investigatori. La procuratrice emiliana, magistrata esperta con anni di esperienza, vuole evidentemente evitare di essere accusata di violare il decreto Cartabia. Del resto proprio per presunte violazioni l’attuale governo aveva avviato un monitoraggio su 13 procure. Eppure – fermo restando la presunzione di innocenza del medico – l’interesse alla diffusione del nome è più che evidente: si tratta di un professionista che lavora da 25 anni e il suo comportamento predatorio, registrato da chi ha indagato, potrebbe far ipotizzare una serialità. Potrebbe esserci potenziali vittime che per soggezione, paura o altro, non hanno mai avuto il coraggio di denunciare. Almeno finora.
Il silenzio di inquirenti e investigatori fa il paio con quello dell’ospedale che, solo ore dopo l’arresto, ha diramato una nota su sollecitazione specifica del FattoQuotidiano in cui con le solite formule di rito si esprime fiducia nella magistratura, rispetto per le vittime, si valuta la costituzione di parte civile et cetera. Del resto proprio gli investigatori sottolineano nel comunicato stampa come “l’ambiente ospedaliero di Piacenza si è dimostrato gravemente omertoso ed autoreferenziale, in quanto le condotte prevaricatrici del primario erano da tempo note a gran parte del personale, tanto che lo stesso si vantava nei discorsi con colleghi uomini di quanto compiva ai danni delle vittime, ricevendo in talune occasioni persino suggerimenti sugli atti sessuali da compiere in futuro. Si è riscontrato – riferisce la polizia – che per il personale sanitario di sesso femminile, entrare nell’ufficio del primario per questioni lavorative significava dover sottostare ad atti sessuali: circostanza, questa, che se rapportata ad un ambito lavorativo formato da persone in astratto di alto livello culturale, non può che destare stupore e persino incredulità”. Sentimenti che neanche il bavaglio ha potuto arginare.
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