I russi vogliono la guerra?
“I russi vogliono la guerra?”, rigorosamente con il punto di domanda, così si intitola uno dei classici della canzone sovietica, del 1961. Le sue note inevitabilmente sono destinate ad accompagnare […]

“I russi vogliono la guerra?”, rigorosamente con il punto di domanda, così si intitola uno dei classici della canzone sovietica, del 1961. Le sue note inevitabilmente sono destinate ad accompagnare i giorni che portano al nove di maggio, il Giorno della Vittoria, la più grande festività laica in Russia, nella quale si commemora la vittoria sovietica contro la Germania nazista, al costo di più di venti milioni di vittime. Una ricorrenza che quest’anno verrà festeggiata con ancora più pompa del solito, visto che la presa di Berlino avvenne esattamente ottant’anni fa. Una festa capace di unire in Russia anziani e giovani, putiniani e non, comunisti e nazionalisti, patrioti e persino un po’ meno patrioti. E dunque i russi vogliono la guerra?
“Sappiamo come combattere,/ma non vogliamo vedere/soldati cadere in battaglia/nella loro triste terra./Chiedete alle madri,/chiedete a mia moglie,/e allora capirete/se i russi vogliono la guerra”, così cantano gli ultimi versi della canzone di cui sopra, le cui parole furono scritte dal celebre poeta russo Evgenij Evtushenko. I russi insomma non si tirerebbero indietro se c’è da combattere, ma la guerra è sempre una tragedia, non qualcosa che prendono alla leggera e fanno volentieri.
È vero che anche nel 2021, prima dell’invasione in Ucraina, i russi per mesi dissero di non volere la guerra e deridevano chi li accusava di avere mire aggressive nei confronti dell’Ucraina. Ma se da un lato i russi allora parlavano di “russofobia” da parte di chi vedeva in loro solo degli orchi affamati di conquiste, dall’altra la Russia per anni aveva cercato di far capire in tanti modi, con la diplomazia ed occasionalmente anche con le maniere più forti, che una possibile ammissione dell’Ucraina nella NATO avrebbe rappresentato per la Russia una linea rossa. La NATO scelse di ignorare le preoccupazioni espresse dalla Russia, perché si reputava troppo forte per farsi dettare condizioni da chicchessia, ed il risultato è stato quello che sappiamo. Si può raccontare finché si vuole che la NATO non ha nulla a che fare con l’invasione russa dell’Ucraina e che si tratta solo di propaganda russa, dunque intrinsecamente mendace. Eppure lo stesso ex-segretario Stoltenberg in un discorso di fronte al Parlamento Europeo nel settembre 2023, un discorso che in nessun modo voleva essere un’ammissione di colpa, esponeva la connessione tra lo scontento russo a fronte della politica della NATO nei confronti dell’Ucraina e la successiva invasione da parte della Russia.
La decisione di fine febbraio 2022 di intervenire in maniera massiccia nella guerra in Ucraina venne vissuta da molti russi come un momento della verità. Se da un lato ci furono proteste sparute, specie nei primi giorni dopo l’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale”, e decine di migliaia di persone lasciarono il paese, dall’altra nella società russa si diffuse un innegabile fervore patriottico. L’indice di gradimento di Putin decollava, come nel 2014 dopo l’ingresso della Crimea nella Federazione Russa. La Russia finalmente si sollevava per difendere i suoi interessi dopo le umiliazioni subite a seguito del crollo dell’URSS. In un momento difficile che aveva portato la leadership del paese a condurre un’operazione militare di vasta scala in un paese fino a poco prima considerato “fratello”, la maggior parte dei russi si trovava di fronte alla scelta: fare penitenza a causa della propria patria e vergognarsi della propria identità oppure schierarsi atavicamente dalla parte del proprio popolo. La maggior parte dei russi, vedendosi demonizzati da un Occidente che fino a poco prima avevano ammirato ed invidiato, ora trovavano rifugio nelle protettive braccia di un patriottismo di chi si sentiva abbandonato ma non vuole farsi abbattere.
Oggi, dopo tre anni di guerra e nonostante la lenta avanzata russa, sono in pochi quelli rimasti in Russia a suonare il tamburo di guerra ed insistere ossessivamente sulla necessità strategica e storico-nostalgica di prendere Kharkiv e Odessa, le città più grandi dell’Ucraina russofona, o di rovesciare il governo di Kiev. Se fino a qualche settimana fa ancora molti in Russia facevano riferimento alla Costituzione Russa che include come territorio russo per intero le regioni di Donetsk e Luhansk oltre a quelle di Zaparizhie e Herson, ora anche Putin parla di fermare il conflitto sulla linea di fronte attuale. Si tratta di territori che garantirebbero alla Russia un ponte terrestre per la Crimea, necessità logistica divenuta ancora più attuale alla luce del sogno ucraino — e non solo ucraino — di far saltare per aria il celebre ponte di Crimea aperto nel 2018.
Anche secondo i sondaggi più recenti la maggior parte dei russi oggi sarebbe favorevole a mettere fine al conflitto in Ucraina per mezzo di negoziati. Certo in Europa siamo abituati a pensare che in Russia la gente e le sue opinioni non contino assolutamente nulla perché tutte le decisioni verrebbero prese esclusivamente da un dittatore al vertice. Eppure per fare un guerra e portarla avanti Putin avrebbe bisogno del sostegno di un parte consistente della popolazione. In Russia, a differenza che in Ucraina, non si è assistito in questi anni a fenomeni di reclutamento coatto e di centinaia di migliaia di uomini mandati a morire al fronte contro la propria volontà. Ed è difficile trovare oggi in Russia, sia nelle dichiarazioni di politici che negli umori della gente, la volontà di sfidare la NATO e di invadere un paese europeo. Il leggendario “passionarismo” e la romantica sete di infinito dell’anima russa si devono pur sempre scontrare con il prosaico muro della realtà.
Nonostante ciò possa suonare assolutamente agli orecchi di tanti europei, la maggior parte della persone oggi in Russia, pur riconoscendo la necessità di intervenire in Ucraina a causa delle politiche russofobe di quest’ultima dopo la rivoluzione del 2014, non è animata dall’incontrollabile desiderio di invadere e soggiogare altri paesi per il solo fatto che i russi provano un fortissimo odio ancestrale per la democrazia e la libertà. La gente in Russia desidera tornare ad una vita normale, vuole lavorare e costruire famiglie, comprare auto e case, vuole continuare ad usare liberalmente i social network, vuole fare le vacanze in Italia o in altri paesi d’Europa. Molti russi vorrebbero tornare ad avere la possibilità di visitare i loro numerosissimi parenti in Ucraina.
Certo in Europa questo quadro può sembrare sorprendente e bizzarro. Ma come, i russi non vogliono soggiogarci? Per anni chi in Europa ha timidamente osato criticare il corso scelto dalla Unione Europea, dalla NATO e dall’aristocrazia intellettuale europea, sempre sicurissima della propria incorruttibilità morale, in merito alla guerra in Ucraina è stato accusato di un essere un pacifinto, un utile idiota di Putin, se non addirittura un putiniano ed un traditore di tutti i meravigliosi valori che rendono l’Occidente anche oggi, nel 2025, il faro dell’umanità. Ma la Russia non comprenderebbe che il linguaggio della forza, ci viene detto, dunque fare appello ai principi dell’umanesimo e della diplomazia quando si ha a che fare con i russi sarebbe nel mondo reale un gesto tanto idiota quanto il porgere l’altra guancia evangelico.
L’orso russo, a fronte agli appelli alla pace degli arrendevoli europei, scoppierebbe inebriato in un ghigno malefico e non farebbe altro che prepararsi ad un nuovo attacco, questa volta ancora più massiccio, nei confronti dell’Europa intera. Già qualche anno fa, all’inizio della guerra in Ucraina, un noto giornalista italiano, del quale per rispetto non facciamo il nome, sosteneva che senza la NATO i russi sarebbero arrivati fino a Lisbona. L’imperialismo russo non conoscerebbe confini. Ma per fortuna la NATO c’era e pur senza un intervento diretto ha potuto fare in modo che da sola la piccola Ucraina potesse fare da scudo per l’Europa intera fermando l’insaziabile avanzata russa.
Eppure dopo gli entusiasmi incontrollabili che avevano preceduto la fallita controffensiva ucraina di ormai due anni fa, sembrava che ormai si facesse largo il senso di realtà anche in Europa: l’Ucraina da sola non avrebbe potuto infliggere una devastante sconfitta alla Russia sul campo di battaglia, per tanti motivi. Ma la diplomazia burbera di Donald Trump ha riacceso l’orgoglio nelle anime di tanti europei e pure di molti ucraini, che caparbiamente continuano a rifiutare ogni tipo di compromesso con il novello Impero del Male russo. Il Bene alla fine trionfa sempre. Il problema è che la nuova postura combattiva dell’Europa rischia di provocare esattamente il tipo di reazione russa che questa postura bellicista vorrebbe scongiurare. Quando c’è da combattere in Russia non si tirano indietro.