Il test anti stagnazione si giocherà in estate

L a settimana appena passata l’Istat ha sfornato una serie non indifferente di dati che opportunamente intrecciati ci servono a fotografare lo stato dell’economia reale. Con un invito: sorpassiamo pure d’emblée tutte le contese politiche che pure nella giornata del Primo Maggio si sono aperte sull’interpretazione dei dati del Pil e di quelli dell’occupazione. C’è obiettivamente […] L'articolo Il test anti stagnazione si giocherà in estate proviene da Iusletter.

Mag 5, 2025 - 22:34
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Il test anti stagnazione si giocherà in estate

L a settimana appena passata l’Istat ha sfornato una serie non indifferente di dati che opportunamente intrecciati ci servono a fotografare lo stato dell’economia reale. Con un invito: sorpassiamo pure d’emblée tutte le contese politiche che pure nella giornata del Primo Maggio si sono aperte sull’interpretazione dei dati del Pil e di quelli dell’occupazione. C’è obiettivamente bisogno di raffreddare le tensioni e di rifocalizzare l’economia reale perché siamo stati concentrati sugli effetti della nuova politica dell’amministrazione americana, sullo stato della globalizzazione, sull’incognita dei dazi e sul risiko bancario domestico e così facendo abbiamo un po’ perso di vista l’evoluzione della situazione sul campo.Un colpo d’acceleratore

Prendiamo allora dal basket Istat almeno i dati sulla fiducia di imprese e famiglie, la stima preventiva del Pil del primo trimestre ‘25 e i dati mensili sull’occupazione. Partiamo dal Pil che a sorpresa si è palesato in accelerazione nel primo trimestre dell’anno in corso. Parliamo di un +0,3% trimestre su trimestre (il consensus degli analisti era +0,2%) che quantomeno una cosa ce la dice: la recessione non è così vicina. L’economia italiana ha fatto registrare una piccola accelerazione che però non prelude a un’inversione di tendenza e di conseguenza a uno scenario di relativa maggiore crescita. Ci fotografa solo il periodo gennaio-marzo e ci consegna il suo responso, ma le varie indagini di cui disponiamo ci dicono che nei mesi successivi l’attività economica potrebbe aver rallentato o lo farà, avvicinandosi a quella che gli analisti definiscono «una sostanziale stagnazione» nei trimestri centrali dell’anno. Nei commenti a caldo sul Pil, da parte governativa, c’è stato un eccesso di trionfalismo che seppur alimentato da confronti internazionali sa di superficialità e di obbedienza ad esigenze di pura propaganda.

Lo 0,3%, però, il suo spazio mediatico lo merita perché è il tasso congiunturale di crescita più alto da due anni e segue un +0,2% dell’ultimo trimestre 2024. Anno su anno il ritmo del Pil si ferma a +0,6% e la crescita acquisita per il 2025 — in caso di stagnazione in ciascuno dei restanti trimestri dell’anno — è pari allo 0,4 per cento.

Con i dati che abbiamo dobbiamo però cercare di rispondere a una prima domanda: da dove viene questa seppur relativa accelerazione? L’Istat ci dice infatti che i servizi che avevano — in presenza della crisi dell’industria — tirato la carretta nel 2024 nel primo trimestre del 2025 sono rimasti stazionari, ergo hanno dato contributo zero al Pil. E allora da dove viene lo 0,3 per cento? Dall’industria in senso lato comprese le costruzioni,ma più avanti non possiamo spingerci. Sicuramente la spinta del Superbonus per le ristrutturazioni edilizie si è fermata e di conseguenza dovrebbero essere state le costruzioni pubbliche non residenziali, in qualche modo legate al Pnrr, ad avere prodotto questo risultato. Così come un contributo potrebbe essere arrivato dall’industria che aveva in gennaio registrato una fiammata della sua produzione. Aggiungiamo però che è negativo il contributo degli scambi con l’estero mentre è decisamente moderato l’apporto della domanda interna sia sul lato consumi sia sul lato investimenti. In sintesi teniamoci stretto lo 0,4% di crescita acquisita per il 2025 e speriamo che i prossimi trimestri non siano così devastanti come qualche segnale lascerebbe intravedere.

Del resto siamo rientrati pienamente nell’era dello zero virgola e tutti questi ragionamenti non possono che essere letti in questa chiave. Alla domanda su quale sarà il Pil complessivo del 2025 la maggior parte degli analisti converge sul +0,6%, incrociando le dita.

E i segni di scaramanzia sono in qualche modo legittimati dal dato, sempre della scorsa settimana, sulla fiducia. E qui incrociamo l’effetto Trump o comunque le ricadute psicologiche degli scenari internazionali. Gli echi dei dazi e delle guerre commerciali si fanno sentire — uniti alle aspettative di inflazione — e per il secondo mese consecutivo la fiducia delle famiglie è scesa più del previsto da 95 a 92,7, il minimo da ottobre ‘23. L’Istat ci segnala che tanto pessimismo riguarda più il clima economico nazionale che la situazione personale degli intervistati. Anche la fiducia delle imprese è scesa e questa volta è il terzo mese consecutivo, da 93,2 a 91,5 toccando così il minimo da 4 anni. La flessione investe anche i servizi e persino il turismo. Nel manifatturiero il calo congiunturale è meno accentuato del previsto (l’indice va da 86 a 85,7) ma è comunque il nuovo minimo da novembre 2020. C’è da segnalare un miglioramento a sorpresa nella previsione degli ordini mentre calano le attese sulla produzione. In sintesi dai dati sulla fiducia oltre agli effetti già sottolineati delle perturbazioni internazionali ci portiamo dietro una senso di preoccupazione per il rallentamento dei servizi (che determinano gran parte del Pil).Lavoro, salta un giro

Meno significativi risultano i dati, sempre sull’Istat, su occupati e disoccupati di marzo. Non ci sono sostanziali novità mese su mese: il monte di 24 milioni e 307 mila occupati in Italia è stato tagliato solo di 2 mila unità e sono state confermate tutte le tendenze in atto negli ultimi mesi. A partire dalla concentrazione delle occupazioni aggiuntive tra i posti fissi (+52 mila mese su mese) e il decremento dei contratti a termine (-65 mila). Continua l’andirivieni degli autonomi che questa volta hanno segnare -13 mila occupati. Il trend dell’occupazione calcolata anno su anno ci dà +450 mila unità ed è questo il riferimento di molte discussioni da talk e anche di una certa “sicurezza” governativa. Il dibattito sulla natura di questi posti di lavoro concentrati nel terziario low cost, e soprattutto l’intreccio con la situazione dei salari che rimane deficitaria se rapportata al periodo inflazionistico, non ha quindi nuovi punti di appoggio. Rimandiamo dunque al prossimo mese nuove riflessioni e per onor di cronaca registriamo, sempre sull’occupazione, un certo pessimismo degli analisti.

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