I primi 100 giorni di Trump tra volatilità, incertezza e opportunità

I primi 100 giorni del secondo mandato Trump si sono rivelati un banco di prova estremo per i mercati. Se da un lato hanno evidenziato il bisogno di strategie di investimento più dinamiche e difensive, dall’altro hanno confermato che il rischio politico può ancora sorprendere e plasmare i mercati globali con una velocità e una profondità impressionanti.

Apr 30, 2025 - 13:53
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I primi 100 giorni di Trump tra volatilità, incertezza e opportunità

Ieri Trump ha festeggiato i primi 100 giorno dall'inizio del suo secondo mandato di presidente degli Stati Uniti. Sono state giornate con un concentrato di volatilità, cambiamenti repentini e forti ripercussioni sui mercati globali.

Come rilevato da Elliot Hentov, Head of Macro Policy Research di State Street Global Advisors, i mercati si sono dimostrati ancora una volta abili nel riprezzare le notizie, ma meno efficienti nel prevedere eventi politici non lineari. Sebbene le direzioni politiche intraprese (protezionismo commerciale e controllo delle frontiere) non abbiano sorpreso, è stato il modo caotico della loro attuazione a generare turbolenze: calo degli investimenti, riduzione della fiducia dei consumatori e fuga dagli asset denominati in dollari statunitensi.

Secondo Hentov, nei prossimi 100 giorni il focus si sposterà dalla politica commerciale a quella fiscale, con potenziali stimoli reflazionistici che potrebbero alimentare nuovi rally di mercato, anche se resta il rischio che una gestione sbagliata dei deficit possa provocare un nuovo stress sui bond USA.

Dal canto suo, Altaf Kassam, Europe Head of Investment Strategy & Research di State Street Global Advisors, ha evidenziato l'importanza, in questo contesto, di privilegiare asset difensivi come liquidità e oro. Il “dry powder” (la disponibilità di liquidità pronta per essere investita in caso di opportunità) è oggi una risorsa strategica preziosa. Nonostante un minor rischio di inflazione rispetto al periodo post-Covid, l’incertezza permane alta e un’esposizione diversificata sembra la via più prudente.

Nei primi tre mesi della presidenza Trump, gli investitori hanno operato una forte rotazione, Michael Metcalfe, Head of Macro Strategy di State Street Global Markets: hanno ridotto le allocazioni azionarie del 4,2% a favore delle obbligazioni, il più grande movimento in questo senso dagli anni della pandemia. Nonostante ciò, le azioni statunitensi restano sovrappesate rispetto alla media storica, sebbene il picco di fiducia registrato a gennaio sia ormai un ricordo.

La domanda internazionale verso il dollaro Usa ha mostrato segni di neutralità per la prima volta in tre anni e mezzo, mentre il sentiment sui Treasury Usa è rimasto debole. PriceStats, attraverso il monitoraggio in tempo reale dell'inflazione, ha inoltre confermato che la tendenza disinflazionistica è ancora intatta, nonostante l'aumento delle aspettative sui prezzi.

Il 2 aprile, definito da Donald Trump "Liberation Day", il presidente americano ha spiazzato mercati e analisti annunciando dazi elevati basati sul deficit commerciale, deludendo chi si aspettava un approccio più moderato. Come spiega Tim Drayson, Head of Economics di L&G, la misura ha subito spinto gli economisti a rivedere al ribasso le previsioni di crescita americana, evocando il rischio di una recessione.

Nonostante la sospensione di 90 giorni decisa pochi giorni dopo sotto pressione dei mercati, il dazio universale del 10% e gli aumenti su beni cinesi, ora al 145%, sono rimasti. Secondo Drayson, l’incertezza sui negoziati continua a pesare, mentre una politica commerciale instabile mina la fiducia di imprese e consumatori, congelando investimenti e aggravando la volatilità.

Trump monitora attentamente i sondaggi e non è escluso che possa ammorbidire la linea tariffaria per evitare un contraccolpo politico. Tuttavia, come precisa Drayson, anche in caso di un accordo, i danni in termini di volatilità e fiducia sono ormai compiuti. Un taglio delle tasse resta possibile, ma difficilmente basterà a invertire la rotta. Nel frattempo, permane il rischio di nuove ritorsioni globali e un crescente boicottaggio dei prodotti americani.

Pertanto, Drayson sottolinea che qualunque sarà il risultato finale dei negoziati, dei danni sono già stati fatti, in termini di incertezza e volatilità, che resteranno alti molto a lungo anche se tutto dovesse risolversi per il meglio.