
Atterrare a
MANILA, la capitale pulsante delle
FILIPPINE, è stato come entrare in un romanzo scritto dal sole e dal mare. Mi ha accolto un muro di calore umido, il profumo della salsedine, il vociare caotico e melodioso di una città che non smette mai di muoversi. Non è un semplice trasferimento: è un salto in un mondo dove ogni giorno è un’esperienza sensoriale.
Dove mi trovo: nel cuore dell’arcipelago MANILA si estende lungo la costa occidentale di
LUZON, l’isola più grande e popolosa dell’arcipelago filippino. Affacciata sulla
baia di Manila, guarda verso il
mar Cinese Meridionale, respirando ogni giorno quella
brezza oceanica che rende sopportabili le temperature tropicali. Ma attenzione: qui il clima non è mite. È
estremo, è
vivo, è
reale. Si passa da giornate roventi a piogge torrenziali in un battito di ciglia. La
stagione secca, che va da dicembre a maggio, è il momento ideale per esplorare la città; poi arriva l’
habagat, il monsone di sud-ovest, portando piogge e temporali spettacolari, spesso violenti ma purificatori.
Il ritmo della vita: economia, contrasti e opportunità MANILA è un
gigante economico in miniatura. Nonostante la sua densità insostenibile e il traffico che mette alla prova anche i più pazienti, è il cuore finanziario delle Filippine. La
Makati Business District, con i suoi grattacieli scintillanti e centri commerciali monumentali, sembra appartenere a un altro universo rispetto ai quartieri periferici più disordinati e poveri. Io vivo in una via laterale di
Quezon City, un’area che mescola l’antico e il moderno, tra mercatini, ristorantini di strada e coworking space ultramoderni. Qui, la gente non si lamenta: lavora, canta, cucina, si adatta. Il settore dei
servizi, soprattutto
call center e outsourcing, domina. I giovani parlano inglese con una padronanza sorprendente, e molti lavorano per aziende europee o americane. La sera, però, la città si trasforma: karaoke a ogni angolo, bancarelle che vendono
balut (un uovo fecondato, per i più coraggiosi), motorini che sfrecciano come in un film neorealista asiatico.
Geografia urbana e disordine affascinante Orientarsi a MANILA non è facile. Non è una città ma una
megalopoli composta da 16 città e una varietà disarmante di quartieri. Dalla storica
Intramuros, con le sue mura spagnole e le chiese barocche, fino alle aree residenziali di
Pasig e le architetture moderne di
Bonifacio Global City, ogni zona sembra raccontare una storia diversa. Cammino spesso senza meta, e ogni volta scopro una
piazza, un
vicolo, un
tempio o una
panetteria locale dove i sapori sanno di cocco e mango.
Cultura e quotidianità: l’accoglienza come stile di vita Mai avrei immaginato un
popolo così caloroso. La
filippina è una cultura dell’abbraccio, anche se il corpo rimane a distanza. I sorrisi sono ovunque, anche nelle situazioni più difficili. Qui la religione è ovunque –
cattolicesimo mescolato a pratiche animiste – e scandisce il ritmo della vita quotidiana: messe all’alba, feste patronali coloratissime, processioni che occupano interi quartieri. Partecipare a queste celebrazioni mi fa sentire parte di qualcosa di più grande, anche da straniero. La lingua? Il
tagalog è la base, ma l’
inglese è presente ovunque. Questo rende l’adattamento linguistico più facile rispetto ad altri Paesi asiatici. Eppure, sto imparando qualche parola locale: “
salamat” (grazie), “
kamusta ka?” (come stai?), che aprono porte e cuori.
Clima: un bagno costante di umidità L’aspetto più difficile?
Il clima. Non mentirò: vivere in un’eterna estate, dove l’
umidità sfiora l’80% e il
sole picchia con ferocia dalle 10 del mattino, è una sfida. Bevo litri d’acqua, mi copro la testa con un cappello leggero, e ho imparato a programmare le uscite all’alba o dopo il tramonto. Ma poi arrivano quei tramonti rossi, violenti, che si riflettono sulla baia… e tutto sembra avere senso. I tifoni, purtroppo, sono parte del pacchetto. Arrivano in genere tra giugno e novembre, e quando colpiscono, lo fanno con violenza. Le strade si allagano, le scuole chiudono, eppure la gente resta calma. La
resilienza filippina è una lezione quotidiana.
Vivere a Manila da italiano: tra nostalgia e nuove abitudini Mi manca il caffè italiano, è vero, ma ho trovato un piccolo bar gestito da un anziano filippino che ha vissuto a ROMA e prepara un espresso degno di quel nome. Il
cibo è diverso, spesso dolce dove non ti aspetti, ma impari ad apprezzare piatti come il
pancit canton, il
lechón croccante, e quel mix di cucine cinese, malese e spagnola che rende ogni pasto una scoperta. La
burocrazia? Lenta, complicata, a tratti esasperante. Per il
permesso di soggiorno, ho dovuto girare tre uffici diversi, ognuno con i suoi moduli e orari imprevedibili. Ma con pazienza e qualche sorriso, tutto si ottiene. Gli italiani sono pochi ma ben integrati. Alcuni gestiscono ristoranti o agenzie turistiche, altri lavorano nella cooperazione internazionale. Le comunità sono accoglienti, soprattutto quelle attorno alla
parrocchia di San Antonio a Makati, dove ogni tanto ci si ritrova a parlare italiano davanti a una pizza (quasi) autentica.
In definitiva: un trasferimento che ti cambia Vivere a Manila non è un’esperienza per tutti. Serve spirito di adattamento, voglia di mettersi in gioco, e una certa flessibilità mentale. Ma se riesci a entrare nel ritmo di questa città vibrante, a comprenderne le contraddizioni e a lasciarti guidare dalla gentilezza della sua gente, allora MANILA ti entra dentro. Non solo come città, ma come
esperienza di vita.
Manila: La mia nuova casa tra umidità tropicale e sorrisi infiniti