I ponti di primavera costano come i dazi, -12 miliardi di Pil

Gli italiani lavorano molte ore di più dei colleghi europei e durante le festività di primavera la produttività cala: una settimana di lavoro in più all'anno varrebbe l'1% del Pil

Apr 27, 2025 - 10:10
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I ponti di primavera costano come i dazi, -12 miliardi di Pil

Secondo un rapporto della Cgia di Mestre, la riduzione delle ore lavorate nel 2025 rispetto al 2024 causata dal numero di giorni di assenza per ponti o festività vicine al fine settimana causerà una riduzione del Pil di 12 miliardi di euro, pari ai danni per l’economia che dovrebbero derivare dai dazi di Trump.

Il rapporto segnala anche un alto numero di ore lavorate ogni anno per lavoratore, che deriva dal bassissimo tasso di occupazione del nostro Paese. Per reggere il passo del resto del mondo, gli italiani devono lavorare oltre 200 ore all’anno in più dei loro colleghi francesi.

I ponti di primavera costano come i dazi di Trump

Lo studio della Cgia di Mestre sottolinea che, rispetto al 2024, in Italia nel 2025 si lavorerà per due giorni in meno. È l’effetto del posizionamento delle festività primaverili, 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno, tutte in giorni feriali e non lontane da fine settimana a festività religiose come la Pasqua.

Questo ha indotto diverse persone a spendere giorni di ferie per ottenere un ponte più lungo e spezzare l’anno con una breve vacanza in bassa stagione. La conseguenza di questo comportamento, secondo il rapporto, sono però “Fabbriche, magazzini e uffici semi-vuoti”, con un effetto sensibile sull’economia.

Nel nostro Paese ogni giorno si producono in media 6 miliardi di euro di prodotto interno lordo. Due giorni in meno di lavoro significano quindi un danno da 12 miliardi di euro. Una cifra pari a quella stimata per le conseguenze, sull’economia italiana, dei dazi che Donald Trump potrebbe imporre all’Unione europea alla fine del periodo di sospensione di 90 giorni.

Una settimana di lavoro in più vale un punto di Pil

Il numero e la concentrazione delle festività nazionali, laiche e religiose, è da sempre stato un problema in Italia. Il primo tentativo di affrontarla risale al 1977, durante la crisi economica causata dall’aumento dei prezzi dei carburanti e del petrolio. Il governo guidato allora da Giulio Andreotti cancellò una serie di festività religiose, in nome dell’austerity.

San Giuseppe, l’Ascensione, il Corpus Domini, San Giovanni e Paolo, San Francesco, e l’Epifania, quest’ultima poi reintrodotta, scomparvero dai calendari come giorni festivi, guadagnando una settimana lavorativa all’anno. Un intervento del genere, secondo gli studi della Cgia, frutterebbe oggi un aumento del Pil dell’1%.

Le ore lavorate in Italia

La ragione per cui le festività costano così tanto all’economia italiana è la struttura del mercato del lavoro nel nostro Paese. L’Italia è quinta per numero di ore lavorate da ogni persona impiegata all’anno nei Paesi Ocse, dopo Grecia, Polonia, Repubblica Ceca ed Estonia. È la prima delle grandi potenze industriali e i suoi dati non sono paragonabili a quelli di Francia e Germania.

Ogni anno un lavoratore italiano spende 1.734 ore sul posto di lavoro, contro le 1.500 di un francese e le 1.343 di un tedesco. È la conseguenza del basso tasso di occupazione, il peggiore in Europa, che costringe chi effettivamente lavora a restare più a lungo in ufficio o in fabbrica. Questo però significa che l’assenza di un singolo lavoratore italiano pesa di più sul Pil rispetto a quanto accade all’estero.