Oro a quotazioni record: allarme o opportunità? La view di La Financière de l’Échiquier
A cura di Alexis Bienvenu, Fund Manager di La Financière de l’Échiquier L’oro risplende! Superati i 3.300 dollari l’oncia lo scorso 16 aprile, mentre valeva tre volte meno dieci anni fa, l’oro ha messo a segno – dall’inizio dell’anno – un aumento del 25%. Insieme alle miniere d’oro e al settore della difesa, è uno... Leggi tutto

A cura di Alexis Bienvenu, Fund Manager di La Financière de l’Échiquier
L’oro risplende! Superati i 3.300 dollari l’oncia lo scorso 16 aprile, mentre valeva tre volte meno dieci anni fa, l’oro ha messo a segno – dall’inizio dell’anno – un aumento del 25%. Insieme alle miniere d’oro e al settore della difesa, è uno degli asset più prosperi nel caos di questi tempi. La storia insegna tuttavia che le impennate del metallo rifugio annunciano o accompagnano sempre una tempesta finanziaria. Alla fine degli anni ’70, l’oro svetta sulla scia dell’inflazione massiccia indotta dagli shock petroliferi. Il suo picco all’inizio del 1980 coincide con il momento in cui la Federal Reserve americana avvia una politica monetaria così restrittiva da provocare una recessione.
All’inizio degli anni 2000, l’oro inizia una sua lunga ascesa che affianca la formazione di una gigantesca bolla immobiliare negli Stati Uniti. La “grande recessione”, nel 2008, determina lo scoppio di questa bolla ma non interrompe la sua crescita, che prosegue per tutta la crisi della moneta europea messa a dura prova dal quasi default della Grecia. Il picco dell’oro nel 2011 corrisponde al primo declassamento del rating sovrano americano, traumatico sul piano simbolico per la prima potenza mondiale anche se non sembra aver avuto finora conseguenze gravi per il mondo finanziario.
I suoi due picchi recenti, durante la crisi del Covid e in concomitanza con lo scoppio della guerra in Ucraina, indicano episodi di stress finanziario o geopolitico con conseguenze notevoli, in particolare per l’inflazione che hanno provocato. Quale nuovo disordine mondiale annuncia questa volta la sua impennata?
L’ipotesi principale è che una crescente sfiducia nei confronti del dollaro, con conseguenze difficili da immaginare, che andrebbe a vantaggio di valute alternative come l’oro. Dopo aver regnato incontrastato sugli scambi internazionali, il dollaro vede il suo status messo ora in discussione. Stando al FMI, la sua quota nelle riserve delle banche centrali è passata dal 65% nel 2016 al 57% nel 2024 in quanto le stesse si sono precipitate sul metallo giallo per sostituire il dollaro. Secondo il World Gold Council, gli acquisti di oro da parte delle banche centrali hanno rappresentato mediamente 473 tonnellate all’anno tra il 2010 e il 2021 ma la domanda è esplosa a partire dal 2022, anno segnato dalla guerra in Ucraina, attestandosi a oltre 1.000 tonnellate all’anno per via, in particolare, dei Paesi emergenti. La Cina non è l’unica coinvolta: nel 2024, le principali banche centrali acquirenti sono state, in ordine di importanza, quelle di Polonia, Turchia, India e solo successivamente la Cina. Altri asset come lo yuan o le criptovalute completano l’offerta di valute alternative benché la loro quota rimanga minima. Lo yuan, ad esempio, rappresenta il 2% soltanto delle riserve mondiali. Sebbene il suo potenziale di crescita sia immenso, non fa ombra all’oro che ha il vantaggio di essere indipendente da qualsiasi Stato.
Al progressivo allontanamento dal dollaro si è recentemente aggiunta la volontà americana di allentare la morsa attorno a tutte le valute di riferimento. Questo status porta infatti meccanicamente a una sopravvalutazione strutturale – essendo la domanda inesauribile – e quindi a una perdita di competitività delle esportazioni. Porvi rimedio è l’obiettivo economico centrale di Trump. Indebolire il dollaro, esortando anche la Federal Reserve ad abbassare i tassi in modo prematuro, consentirà in linea di principio di rafforzare le esportazioni di beni. Questa politica potrebbe arrivare fino a indurre una svalutazione concertata del dollaro, come suggeriscono le voci relative a un enigmatico accordo di “Mar a Lago”. In questa prospettiva, l’oro fungerebbe da bene rifugio, poiché nessuno può svalutarlo. Da qui il suo fascino.
Infine, altri fattori congiunturali concorrono a sostenere la dinamica dell’oro, in particolare le aspettative di inflazione in rialzo negli Stati Uniti a causa degli effetti attesi dall’aumento delle tasse sui beni importati. Interviene pure la mancata risoluzione dei conflitti emblematici, in particolare in Ucraina, in Medio Oriente o nel Mar Rosso.
Queste dinamiche promettono un brillante futuro per l’oro anche se il vigore della sua crescita solleva interrogativi, in particolare se confrontata con quella dell’argento. Di solito, questi metalli hanno traiettorie relativamente simili. Ma nel 1980 come nel 2011, quando l’argento registrò un aumento eccessivo rispetto al suo splendente gemello, si registrò una violenta correzione. La situazione attuale è identica, a ruoli invertiti. Prudenza quindi nei confronti del metallo radioso, anche se mai mancheranno le catastrofi per farlo luccicare.