Grazianeddu Mesina e il giornalista. Tra interviste e lettere: “Se passa da Orgosolo ci beviamo un caffè”
Del bandito sardo, morto a 73 anni, era rimasto solo uno sbiadito ricordo. Scontri a fuoco e sequestri, traffico di droga ed evasioni: la sua vita criminale cominciò con un sasso lanciato alla maestra

Milano, 12 aprile 2025 – “Se passa da Orgosolo ci beviamo un caffè”. Sempre gentile, Graziano Mesina, ma quell’invito non ebbe seguito perché il vecchio bandito venne arrestato il giorno dopo per un traffico internazionale di droga. Era il 2013 e la ‘Primula del Supramonte’ tornava in scena dopo un lungo periodo di anonimato. Viaggiava qua e là su una Porche Carrera intestata alla sorella e guidata da un amico perché lui, tra arresti, fughe e processi non aveva avuto il tempo di prendere la patente. “Ho cambiato vita, chiacchiero con la gente, a volte pranzo in trattoria e sono sereno”, ribadì al telefono, la voce tranquilla, prima dei saluti.
Non l’ho più sentito, da allora, ma adesso, con la morte, torna in scena un altro personaggio. Piccolo, tozzo, il volto gonfio, le gambe rigide, lo sguardo senza luce e la mente perduta, il Graziano Mesina trasferito l’altro giorno dal carcere di Opera all’ospedale San Paolo, di Milano, era solo uno sbiadito ricordo del ‘mito’ del Supramonte, della ‘Primula di Orgosolo’, del responsabile di qualche omicidio, di 22 evasioni 10 delle quali riuscite, degli scontri a fuoco, di un buon numero di sequestri, di una catena di reati a margine e delle oscure trame nei giorni lontani del rapimento del piccolo Farouk Kassam. Ma il viaggio è stato breve, poi il cielo si è fatto buio, e il più famoso bandito sardo, a 83 anni, se n’è andato per sempre. Da tempo era un malato senza speranza, e i suoi tratti di inquieto fantasma avvolto dalla leggenda avevano via via lasciato il posto alla patetica immagine di uomo stremato e patetico. “Non riconosceva più nessuno”, dicono gli agenti. Tutt’altra figura quella dei giorni dell’”ultimo balente” di Orgosolo, del protagonista di una travagliata esistenza spesso smaltita con un piede in carcere e l’altro oltre il muro di cinta.
Penultimo di dieci figli di un pastore, già alle elementari dimostrò di essere portato più per le azioni che per lo studio. E infatti prese a sassate la maestra. “Mi aveva trattato male”, spiegò sull’ultimo lancio. Quel sasso diede il via a una ‘strepitosa carriera’ sempre a distanza dalla legge. Nel ‘56, a 14 anni, imbracciò un fucile rubato e prese di mira prima il cielo poi i lampioni di Orgosolo. Una strage. Da allora, tappa dopo tappa, la sua vita è stato un incontenibile crescendo di manette, di tentativi e di fughe da celle e ospedali, di sequestri di persona e di spari. Per molti giovani del suo paese divenne un mito, e il Graziano del battesimo, un giorno, scivolò nell’affettuoso diminutivo di Grazianeddu. Leggendarie, alcune sue imprese. È saltato al volo da treni in corsa, da finestre del terzo piano, da muri di sette metri, ha scardinato serrature, lucchetti, sbarre e pavimenti, è sparito in manette all’alba, all’ora di pranzo e al tramonto ed è ricomparso accompagnato dalla garanzia, ogni volta aggiornata, di oltre quarant’anni di onorata galera. Negli anni Sessanta svanì dall’ospedale di Nuoro, e mentre carabinieri e polizia battevano la Sardegna, lui rimase sepolto, per tre giorni, tra le tubazioni dell’acqua. “Non il massimo, ma sempre meglio di quando stavo in cella", mi disse anni dopo a Orgosolo, con lo sguardo infiammato da un bagliore di orgoglio.
L’avevo conosciuto nel 2004, a Voghera, quando Ciampi gli concesse la grazia. Uscì dal carcere con l’accenno di un sorriso e l’espressione un po’ smarrita. “Eccomi, finalmente”, sospirò. Da allora, ogni tanto ci scambiavamo un saluto. “Il suo giornale mi è simpatico, anche la regione dove lo stampano mi piace”. Telefono e lettere, lui per lo più in stampatello.
Era un sardo dalla parola rara e dallo sguardo scrutatore. Nei giorni del sequestro del piccolo Farouk Kassam, era l’inverno del ’92, a Orgosolo ci siamo visti spesso. Faceva da ‘mediatore’ nelle trattative con i rapitori, ma alle domande sull’argomento rispondeva ogni volta con un enigmatico sorrisetto. “Lei parte tutte le mattine di buon’ora, con suo nipote, su una Ford Fiesta celeste e prende la via per la montagna: dove va? Gli chiesi. E lui: ‘mi piace l’aria del mattino’".
Del passato non parlava mai. Neppure di quando si lasciò alle spalle il carcere di Sassari. All’ora d’aria la ruvida cornice di quel muro di sette metri era un invito. E infatti lo risalì con la spedita sicurezza di un esperto alpinista e scese dall’altra parte con un balzo da acrobata. Libero, finalmente. Anche di organizzare un po’ di sequestri, alcuni dei quali con il rilascio dell’ostaggio con un ‘pagherò’ “sulla parola”. Ma una volta non riuscì a incassare perché all’appuntamento per il saldo del ‘sospeso’ si presentarono i carabinieri. Manette, processi e fughe con segnalazioni di avvistamento a Trento, Bologna, Genova, Milano. Nell’‘84, non rientrò da un permesso. “Frequento una signora e per amore si fa tutto”, spiegò galante.
A Cagliari si travestì per andare a vedere Gigi Riva allo stadio. Nel ’92 trattò con i suoi colleghi in ‘Anonima sequestri’ la liberazione del piccolo Farouk. Sempre così: evasioni, e rientri, la grazia nel 2004 e la virata in un quieto anonimato paesano, con quel lavoretto da Cicerone per turisti soprattutto stranieri nella selva della Barbagia e dell’Ogliastra, ai quali mostrava anfratti e caverne, tra autografi e foto, ogni volta collegati a un sequestro. “Lo fa per sopravvivere, quelle grotte non c’entrano niente i rapimenti”, ridacchiavano in paese. E invece lui sopravviveva, anzi, viveva alla grande, dissero i magistrati, alla guida di una gang di spacciatori di droga. Proprio in quel periodo una mano anonima incendiò la sua Porsche parcheggiata davanti a un ristorante, in Sardegna. “Graziano, cos’è successo?”, gli chiesi al telefono. E lui, sempre gentilissimo: “Un errore, un chiaro errore, ce l’avevano con un’altra persona e mi hanno chiesto scusa”. E invece, nessun errore, perché l’obiettivo era proprio lui, con la droga sullo sfondo. E allora ecco il supplemento di altri 30 anni di galera scesi a 24, una lunga latitanza, la cattura a Desulo e di nuovo il carcere fino all’altro giorno, quando il vecchio Grazianeddu è uscito dal carcere e si è trasferito tra i ricordi. Tornerà a Orgosolo, il paese da dove prese il via la sua leggenda di primula rossa.