Finanza&politica Ingerenze e conflitti di interesse

Mediobanca è stata un’indiscussa protagonista dell’Italia del secondo Novecento. Un riferimento laico, azionista (nel senso del partito d’Azione) e antifascista. Oggi non più un merito. La storia e il prestigio sono a volte un velo che impedisce di guardare la realtà esterna con occhi meno fermi sulle proprie sicurezze, come quella dell’ineluttabilità storica della partecipazione […] L'articolo Finanza&politica Ingerenze e conflitti di interesse proviene da Iusletter.

Apr 28, 2025 - 11:28
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Mediobanca è stata un’indiscussa protagonista dell’Italia del secondo Novecento. Un riferimento laico, azionista (nel senso del partito d’Azione) e antifascista. Oggi non più un merito. La storia e il prestigio sono a volte un velo che impedisce di guardare la realtà esterna con occhi meno fermi sulle proprie sicurezze, come quella dell’ineluttabilità storica della partecipazione in Generali. Inoltre, l’essersi con successo internazionalizzati — da Torino, a Milano, a Trieste — induce a sottovalutare la politica che sarà anche domestica, e dunque apparirà piccola e ininfluente rispetto al resto del mondo, ma non è priva di artigli vendicativi. Soprattutto se questa si ritiene — com’è nel retropensiero del governo Meloni — vittima del pregiudizio dei cosiddetti «poteri forti», ovvero di alcuni aggregati economici e finanziari dell’infida Milano. Ossessione incomprensibile, ma reale.Il premio

Nello stesso tempo il mercato ha premiato la lista di Mediobanca all’assemblea della compagnia triestina di giovedì scorso. A dimostrazione che vi è un atteggiamento prudente, se non di sospetto, di gran parte degli operatori internazionali verso l’eccessiva vicinanza di alcuni dei protagonisti del risiko bancario alla maggioranza di centrodestra. Ciò non deve scandalizzare nessuno. Avveniva anche con governi di diverso colore. La cosiddetta Legge Capitali, però, soprattutto con il contestato articolo 12, ha dato maggiore peso agli azionisti rilevanti delle società, sottraendolo al management, forse in alcuni casi (Mediobanca e Generali incluse) troppo autoreferenziale. Ma quella norma rappresenta un unicum italiano. Un’eccezione che non aiuta l’attrattività del Paese. Come non l’aiuta, anzi la danneggia, l’uso politicamente spregiudicato del golden power.Lo strumento

Uno strumento nato per proteggere le società italiane strategiche (concetto nel tempo dilatato a dismisura) dalle acquisizioni straniere è diventato una sorta di «lasciapassare» concesso da chi governa. Ad alta discrezionalità politica. E applicato anche alle operazioni domestiche. Non solo, esercitato in palese conflitto d’interesse. Il ministero delle Finanze è azionista del Monte Paschi, alleato dello stesso Caltagirone e di Francesco Milleri, per la Delfin, nell’assalto a Mediobanca e, di conseguenza, alle stesse Generali.

In altri tempi questo macroscopico conflitto d’interesse avrebbe suscitato infinite discussioni. Oggi prevale il timore di inimicarsi un interlocutore politico che, oltre ad essere forte, non è di passaggio.

Il gruppo Benetton non ha votato per gli oppositori di Mediobanca in Generali, per non inimicarsi il mercato che ha scelto la lista con Andrea Sironi presidente e Philippe Donnet, chief executive officer, ma appoggerà l’Ops, l’Offerta pubblica di scambio, di Monte Paschi su piazzetta Cuccia. Sublime equilibrismo.

Il golden power impone una serie di condizioni all’Unicredit nella scalata al Banco Bpm che probabilmente lo costringeranno a un ripensamento. E, se ciò avverrà, con il sollievo di una parte della maggioranza. La Lega è accorsa in difesa dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna che considera più vicino al cuore del suo elettorato. Come ormai del resto il Monte Paschi. Sono patronaggi pericolosi. Non portano bene. La banca senese, la più antica al mondo, è stata a lungo nell’orbita della sinistra, del Pd. Sappiamo come è andata: alla fine l’ha salvata lo Stato in un governo a guida Pd (Gentiloni presidente, Pier Carlo Padoan, oggi al vertice UniCredit, al ministero dell’Economia).

La scelta di campo di Unicredit, all’assemblea triestina, è stata interpretata come un’opposizione alla contestata alleanza di Generali con Natixis sul risparmio gestito (pende anche qui l’uso del golden power), ma anche come un gesto di appeasament, distensivo, verso lo stesso governo (il quartiere generale di piazza Gae Aulenti lo nega). Unicredit è impegnata nell’operazione tedesca con Commerzbank. Ha il via libera dalla Banca centrale europea. Sarebbe curioso che Matteo Salvini la consideri ancora una banca estera schierandosi di fatto con i sovranisti tedeschi. La formazione di un nuovo e più grande campione bancario, di origine italiana, sarebbe anche un modo per dare una risposta concreta alla sfibrante discussione sulla debolezza del mercato dei capitali europeo rispetto a quello americano.

Ma l’interrogativo riguarda soprattutto il futuro di Generali e l’eventuale interesse di Unicredit che potrebbe dare seguito all’imprevista alleanza con Caltagirone e Milleri. Nella scalata a Mediobanca o in seguito. Un’ipotetica operazione tra Unicredit e Generali avrebbe molte sinergie (specialmente all’estero, Austria e Centro Europa) e un ostacolo, non il solo, nella scadenza al 2027 dell’accordo sul risparmio gestito con la francese Amundi (Crédit Agricole, tra l’altro azionista di Banco Bpm). Ostacolo che non avrebbe Intesa Sanpaolo, ugualmente interessata, come lo fu già in passato, a un’eventuale integrazione con il Leone, al netto dei problemi di Antitrust.

Certo se entrasse in gioco l’altra grande banca italiana contro Unicredit alleato di Caltagirone, sarebbe curioso conoscere l’orientamento del governo che non potrebbe cavarsela facendo appello alla libertà di mercato.

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