Fairbnb: una piattaforma per un turismo che rispetta i territori
Fairbnb propone un modello di turismo sostenibile che finanzia progetti locali e tutela i territori, al di là della logica del profitto L'articolo Fairbnb: una piattaforma per un turismo che rispetta i territori proviene da Valori.

Può esistere un turismo diverso, in cui anche le strutture ricettive sono al servizio delle comunità ospitanti? In cui chi viaggia attraversa le città e lascia un segno che non sia aumento dei prezzi, svuotamento dei centri storici, trasformazioni del centro delle grandi città in luna park e perdita di identità territoriale?
Se esiste, è certamente una storia dal futuro.
Cos’è Fairbnb e come funziona il turismo sostenibile di comunità
Come quella di Fairbnb, la cooperativa che opera in Italia, Spagna, Portogallo, Francia e Paesi Bassi ma raccoglie anche host dal Canada alla Turchia alla Polonia. Fairbnb è una piattaforma di hosting: chi ha una casa di proprietà può registrarsi e proporla in affitto. Chi viaggia può selezionarla e, pagando una commissione del 15% rispetto al prezzo di affitto, può prenotarla per un periodo più o meno breve.
Cosa cambia rispetto a piattaforme tradizionali e ben più blasonate come Booking o Airbnb? Innanzitutto la destinazione della commissione. La metà dei soldi che entrano alla piattaforma sono destinati a progetti sociali, scelti dagli host, perché l’idea di base è proprio questa: solo chi abita un territorio sa di cosa ha bisogno quel territorio. Niente progetti calati dall’alto quindi: i vari progetti di recupero delle eccedenze alimentari, o di integrazione e inclusione sociale, o di recupero e salvaguardia di beni architettonici o ambientali, sono scelti e realizzati dalle comunità.
Me ne ha parlato Emanuele Dal Carlo, il presidente della comunità nata sotto quella che sembrava una cattiva stella. «Siamo nati tra il 2018 e il 2019: non abbiamo fatto in tempo a fare i primi passi – ha raccontato – che è arrivato il blocco dovuto al Covid e ci siamo dovuti fermare». L’idea alla base della cooperativa era che si potesse costruire una maniera diversa di fare turismo, un antidoto alla mercificazione delle città. «Per noi – mi ha spiegato – la piattaforma di booking ideale è quella che tiene in considerazione non solo le esigenze del turista ma anche quelle dei vicini di casa. Oltre a questo, abbiamo una serie di criteri di selezione per le realtà che decidiamo di federare».
Chi può aderire a Fairbnb e come partecipare al progetto
Le attività che scelgono di aderire a Fairbnb devono, naturalmente essere interamente legali. Chi ne ha la proprietà, spiega Dal Carlo, è tenuto a dimostrare di affittarle alla luce del sole ed essere in regola dal punto di vista fiscale. «Gli host che vengono da noi – riflette Dal Carlo – cercano di non fare della propria casa, della propria attività, soltanto un esercizio speculativo di integrazione del reddito familiare. Capiscono che la loro casa è una cellula di un organismo più grande, la città in cui vivono. Il nostro host ideale è quello che affitta un solo appartamento, magari una seconda casa ereditata in famiglia. Se il numero cresce, siamo oltre le nostre competenze. Quello non è home sharing, è un’impresa turistica. Tra le strutture che proponiamo ci sono anche b&b e piccoli hotel, ma è soprattutto l’home sharing che ci interessa». Questo naturalmente di per sé aumenta la possibilità di avere a che fare con host con un forte legame con il territorio: «Chi si iscrive a Fairbnb non è il tipo di proprietario che ti lascia le chiavi in uno smart lock: è quello che ti accoglie, ti racconta del posto in cui sei ospitato, ti consiglia come muoverti, cosa fare».
Il criterio del numero di immobili, mi ha raccontato Dal Carlo, è variabile. In territori che vivono una forte pressione turistica – come Venezia – è molto rigido, ma diventa più malleabile in altre aree che magari al contrario non hanno di questi problemi e anzi sarebbero spopolate perché vive solo in alta stagione.
Le sfide di Fairbnb: crescita lenta e resistenze del mercato turistico
La piattaforma conta 2200 host in giro per l’Europa, poco meno di mille solo in Italia. In questi anni di attività a singhiozzo ha provato a sostenere 60 progetti sociali. I numeri non sono altissimi: hanno inciso negativamente una serie di false partenze ma adesso si progetta un grande rilancio. Non aiuta il contesto: «Ci muoviamo in un mercato semi oligopolistico. Booking e Airbnb hanno possibilità di investimenti di comunicazione che noi ci sogniamo. Hanno rapporti con le amministrazioni e la politica. I nostri host hanno dalla loro un atteggiamento virtuoso, attento al territorio, ma per il momento sono una piccola comunità».
Gli ho chiesto se l’attenzione al territorio al centro della loro mission avesse attirato attenzioni istituzionali, supporto, ma oltre a qualche vaga manifestazione di interesse in Olanda, a Barcellona o in Francia, non è accaduto altro: «Non siamo andati oltre grandi pacche sulle spalle», ha ironizzato.
«Abbiamo cercato di portare il nostro progetto, offrirlo in maniera assolutamente gratuita, open source, alle comunità. Ci siamo scontrati col fatto che è molto più facile per un sindaco firmare un accordo, se pure racchiude impegni puramente formali, con grandi piattaforme».
Perché un’alternativa etica nel turismo è oggi più necessaria che mai
In questo contesto, mi ha detto Dal Carlo, questa è una storia dal futuro perché il presente del turismo e delle piattaforme è ancora grigio. «Siamo convinti che il futuro debba andare nella direzione di realtà come la nostra, in cui la sostenibilità sia un concetto olistico, globale. In cui lo sviluppo turistico preservi le tradizioni e non le svenda. In cui si tengano in considerazioni i bisogni dei residenti, delle comunità, dei territori».
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