Dai rifugi alpini ai borghi rigenerati: le 19 Bandiere Verdi che stanno salvando le montagne italiane

Mentre gran parte dell’arco alpino continua a confrontarsi con megaprogetti di infrastrutture turistiche, una rete crescente di realtà locali sta tracciando un percorso alternativo. Sono 19 le esperienze premiate quest’anno con le Bandiere Verdi di Legambiente, esempi concreti di come si possa vivere, lavorare e innovare in montagna rispettandone l’ecosistema. Ogni anno, all’interno della campagna...

Mag 5, 2025 - 10:58
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Dai rifugi alpini ai borghi rigenerati: le 19 Bandiere Verdi che stanno salvando le montagne italiane

Mentre gran parte dell’arco alpino continua a confrontarsi con megaprogetti di infrastrutture turistiche, una rete crescente di realtà locali sta tracciando un percorso alternativo. Sono 19 le esperienze premiate quest’anno con le Bandiere Verdi di Legambiente, esempi concreti di come si possa vivere, lavorare e innovare in montagna rispettandone l’ecosistema.

Ogni anno, all’interno della campagna “Carovana delle Alpi”, l’associazione ambientalista assegna le Bandiere Verdi a realtà che contribuiscono concretamente alla tutela e allo sviluppo sostenibile dei territori montani. Si premiano comunità, associazioni, enti e imprese che dimostrano come la sostenibilità non sia uno slogan, ma un volano capace di creare economia, coesione e resilienza. Dal 2002 ad oggi, sono 302 le bandiere assegnate lungo l’arco alpino. E nel 2025 il riconoscimento è andato a 19 esperienze esemplari, in particolare nei settori del turismo dolce, dell’agricoltura montana e delle iniziative socioculturali.

Chi sono i protagonisti del cambiamento

A primeggiare in questa edizione sono Piemonte e Friuli-Venezia Giulia, con quattro vessilli ciascuno, seguite da Lombardia e Veneto (3), Trentino (2), Alto Adige, Valle d’Aosta e Liguria (1). Le storie premiate raccontano una montagna che non si rassegna allo spopolamento, ma risponde con creatività, cura e partecipazione.

Cinque bandiere sono state assegnate al turismo sostenibile: dal Rifugio Alpino Vallorch nel Cansiglio (BL), presidio di educazione ambientale, all’associazione Oplon della Val Tramontina (PN), che anima un piccolo borgo attraverso cultura e musica; dal Parco Naturale del Beigua (SV) al Consorzio turistico del Pinerolese (TO), fino al Cammino “La Via Decia” promosso dal CAI di Scalve (BG).

Cinque vessilli verdi premiano chi custodisce la terra: l’azienda agricola Raetia in Valtellina recupera varietà alpine a rischio; la CSA CRESCO in Val Varaita sperimenta l’agricoltura condivisa; Marzia Verona, pastora e scrittrice valdostana, unisce racconto e zootecnia di montagna. Completano il quadro l’Associazione Fondiaria La Serra (TO), che recupera territori a rischio dissesto, e le ASUC del Monte Bondone (TN), modello di gestione comunitaria dei beni collettivi.

Ben nove bandiere verdi, infine, premiano progetti culturali e sociali capaci di rafforzare il tessuto comunitario. Tra questi, la Cooperativa di comunità VISO A VISO di Ostana (CN), che rigenera un intero borgo alpino con servizi, turismo e cultura; il gruppo ambientalista NOSC CUNFIN che difende il Sassolungo da speculazioni; il progetto Alpha Skills di Morbegno (SO), che guida i ragazzi verso le professioni green. E ancora: la tutela dei laghi di Serraia e Piazze (TN), il Progetto Lince Italia (UD), l’attività della cooperativa sociale Cadore (BL), il dominio civico di Clavais (UD) e l’impegno dell’associazione EQuiStiamo (BL-TN) nella difesa del torrente Vanoi.

Un segnale politico e ambientale

“Le Bandiere Verdi raccontano come, nelle Alpi, ci siano risposte concrete alla crisi climatica e allo spopolamento”, ha sottolineato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente. “Ma è urgente che lo Stato affianchi queste comunità con interventi normativi e risorse adeguate. Non basta il volontarismo: serve una regia pubblica capace di riconoscere il valore strategico della montagna”.

A confermarlo è Vanda Bonardo, responsabile Alpi di Legambiente: “Le esperienze premiate delineano una comunità di cura e di visione. È in queste pratiche che va cercata l’identità futura dei territori montani. Non possiamo permetterci di lasciarle sole”.

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