Dagli F-35 al Gcap, cambia la cooperazione transatlantica? Parla Dottori

Dall’F-35 che può essere bloccato da remoto se usato per finalità non condivise dagli Stati Uniti al Gcap "progetto innovativo che mira alla costruzione di un altro ‘sistema di sistemi'" con cui "stiamo sperimentando una cooperazione molto interessante in ambito G7". Conversazione di Startmag con il professor Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes

Feb 28, 2025 - 13:52
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Dagli F-35 al Gcap, cambia la cooperazione transatlantica? Parla Dottori

Dall’F-35 che può essere bloccato da remoto se usato per finalità non condivise dagli Stati Uniti al Gcap “progetto innovativo che mira alla costruzione di un altro ‘sistema di sistemi'” con cui “stiamo sperimentando una cooperazione molto interessante in ambito G7”. Conversazione di Startmag con il professor Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes

 

Che cosa c’è di veramente nuovo sugli F-35? E che prospettive ci sono sul Gcap?

La parola a Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes.

Professore Dottori, lei su Facebook ha scritto: “Si sono accorti che l’F-35 può essere bloccato da remoto se usato per finalità non condivise dagli Stati Uniti. Fanno eccezione quelli israeliani: F-35I appunto, o Adir”. Quindi è vero e risaputo che l’F-35 può essere bloccato da remoto se usato per finalità non condivise dagli Stati Uniti?

Certo che è noto. Ed è stato alla base dell’opposizione ‘di destra’ all’acquisto del caccia di quinta generazione americano. Particolarmente attivo sul punto fu Gianandrea Gaiani, che ne scrisse molto. D’altra parte, chi invece era favorevole all’acquisto, come me, insisteva piuttosto sull’opportunità che la nostra aeronautica militare avesse il velivolo più performante. L’F-35A ha provato di esserlo. Ed anche il B si è rivelato essenziale per la nostra Marina, che ne prevede l’imbarco sul Cavour e sul Trieste. In ogni caso, sembrava improbabile che l’Italia intraprendesse iniziative militari di maggiori proporzioni al di fuori di una concertazione con gli Stati Uniti. La situazione non pare essere cambiata. Dovremo fare di più nei casi in cui l’America preferisca rimanere defilata. Ma certamente in accordo con gli Stati Uniti, non contro.

Si tratta di un sistema di kill switch? Se non è così, in cosa consiste questo blocco da remoto?

L’F-35 è stato pensato come un ‘sistema di sistemi’ la cui efficacia dipende in modo decisivo dalla sua integrazione in un’architettura info-operativa di matrice statunitense. D’altra parte, siamo alleati nella Nato. Qualsiasi altra soluzione avrebbe comportato dei sacrifici in termini di prestazioni e capacità attese dal velivolo, che finora non ha deluso.

⁠A partire dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’Europa ha iniziato a riconsiderare la sua dipendenza dagli Stati Uniti. Al tempo il programma F-35 fu considerata la miglior opzione, ora per la sesta generazione l’Italia collaborerà con Regno Unito e Giappone. C’è un cambio di paradigma in corso?

Un consorzio non partecipato dagli Stati Uniti ha prodotto il caccia di IV generazione plus che equipaggia la nostra aeronautica, il Typhoon. Con il Gcap stiamo sperimentando una cooperazione molto interessante in ambito G7. Si tratta di un test di grande rilevanza, perché il progetto è innovativo e mira alla costruzione di un altro ‘sistema di sistemi’, che sarà in grado di gestire flotte di droni e munizioni circuitanti. Le attese sono elevate. Va detto che il programma è in gestazione da tempo e gli attuali orientamenti dell’amministrazione Trump non vi hanno influito particolarmente. Siamo sul piano della cooperazione tra paesi alleati che hanno anche delle imprese fra loro in concorrenza.

Di recente l’inviato speciale degli Stati Uniti in Italia Zampolli ha auspicato il coinvolgimento di Lockheed Martin nel programma Next Generation Fighter, ossia il Gcap che coinvolge Gran Bretagna, Italia e Giappone, con “un ruolo di leadership”. È fattibile?

L’auspicio di Zampolli è interessante sotto molti punti di vista. Intanto, dimostra che gli Stati Uniti ritengono il Tempest un progetto credibile sia operativamente che industrialmente. Fa altresì trapelare il desiderio americano di aggiungersi nella corsa al caccia di sesta generazione risparmiando risorse e controllando lo sviluppo tecnologico ed industriale di alcuni paesi alleati. I paesi coinvolti nel Gcap hanno tutti eccellenti rapporti con gli Stati Uniti. La valutazione da fare è eminentemente politica e riguarda le prospettive degli allineamenti internazionali. A mio avviso si tratta di uno sviluppo possibile. Andrà eventualmente riconsiderata l’idea di ‘aprire’ il Gcap a paesi come l’Arabia Saudita, dal momento che Riad ha rapporti significativi con Stati che non sono alleati degli Usa.