Cosa c’è di male a diventare ricchi? Nulla, ma pochissimi ci arrivano per merito

La diseguaglianza viene ancora oggi spesso spiegata tramite la differenza tra capitale e lavoro. Pochissimi ricchi costruiscono fortune per merito del possesso di ingenti capitali impiegati nei mercati finanziari o direttamente in attività imprenditoriali. In questo senso il capitalismo contemporaneo di Bezos or Zuckerberg non è molto diverso da quello di Rockfeller o Ford di […] L'articolo Cosa c’è di male a diventare ricchi? Nulla, ma pochissimi ci arrivano per merito proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 17, 2025 - 16:18
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Cosa c’è di male a diventare ricchi? Nulla, ma pochissimi ci arrivano per merito

La diseguaglianza viene ancora oggi spesso spiegata tramite la differenza tra capitale e lavoro. Pochissimi ricchi costruiscono fortune per merito del possesso di ingenti capitali impiegati nei mercati finanziari o direttamente in attività imprenditoriali. In questo senso il capitalismo contemporaneo di Bezos or Zuckerberg non è molto diverso da quello di Rockfeller o Ford di cent’anni fa. Ma la stratificazione sociale di oggi è più complessa e quindi anche la distribuzione del reddito e della ricchezza.

Per dirla con il grande sociologo francese Bourdieux, è emersa una élite simbolica composta da medici, avvocati, esperti di finanza, consulenti, professionisti dell’high tech, professori universitari, alti dirigenti nell’amministrazione pubblica. Si tratta di una nuova classe sociale, definibile élite simbolica, che si posiziona sotto i grandi capitalisti ma che appartiene comunque alla parte apicale della piramide socio-economica.

Uno dei tratti di questa classe sociale è essere “woke”, ovvero, “attenta” alle tematiche sociali: le diseguaglianze, i diritti degli emigrati, le pari opportunità tra uomini e donne, i diritti del variegato mondo LBGTQ+ e le questioni ambientali. A prima vista sono tematiche che dovrebbero trovare ampio consenso e invece “woke” è diventato, in America apertamente e in Europa in modo più nascosto, un termine fortemente divisivo. In molte occasioni Trump ha annunciato di volere stroncare la cultura “woke” a partire dai temi del genere e delle preferenze sessuali. Musa Al-Ghabi, un professore afro-americano mussulmano, ha recentemente pubblicato un libro Non siamo mai stati woke per evidenziare i tratti e le contraddizioni di questa sensibilità tanto diffusa nell’America progressista e nel partito democratico.

L’élite simbolica si è creata una giustificazione morale della sua posizione privilegiata, costruendo spesso una retorica a cui seguono impegni concreti poco rilevanti e comunque mai radicali abbastanza per mettere in pericolo la sua posizione. È appagata dal contenuto intrinseco delle professioni (tutelare la salute, insegnare, fare ricerca, sviluppare nuove tecnologie) e considera il suo lavoro un impegno sociale implicito.

L’élite simbolica giustifica il suo vantaggio sociale con idee apparentemente semplici e comprensibili. Cosa c’è di male a diventare ricchi? Basta farlo onestamente e con il proprio lavoro. Ciò che deve contare più di tutto è il merito. Ma non riconosce che diventare ricchi implica molto spesso che altri devono essere poveri, soprattutto se l’economia non cresce o lo fa con dinamiche fortemente diseguali. E non riconosce che non c’è vero merito se si parte sin da bambini da condizioni fortemente diseguali.

Una lettura dell’emergere di questa élite simbolica può ricondursi alla lotta di classe. Semplificando, la società è composta da tre classi: chi detiene il capitale materiale, chi detiene il capitale simbolico e la gente comune. In un sistema democratico, le due classi privilegiate competono per il potere cercando consenso nella terza, che ovviamente è la gran parte della popolazione.

I super-capitalisti stanno vincendola per diverse ragioni: la globalizzazione, fortemente sostenuta dal pensiero progressista ha generato maggiore diseguaglianza all’interno dei paesi ad alto reddito, le politiche redistributive della sinistra sono state poco incisive e spesso destinate ad una fascia limitata di beneficiari (i molto poveri), non vengono proposte, sempre da parte della sinistra, idee di rottura come fa invece la destra (a prescindere dalla loro bontà). E conta anche la contraddizione interna all’élite simbolica: da un lato proclama l’ingiustizia sociale ma dall’altro ha una posizione di privilegio. I super-capitalisti sono visti come più coerenti.

Queste dinamiche sono particolarmente accentuate negli Stati Uniti dove c’è più diseguaglianza, meno capitale sociale, meno welfare e le idee liberiste sono ancora oggi più diffuse che in Europa, anche da parte dei progressisti. Ma anche in Italia è forte una élite simbolica attaccata da una destra tradizionalista, in questa fase vincente.

Per quelli come me che appartengono a questa élite simbolica e credono sinceramente che occorra lottare contro le diseguaglianze non è facile capire e decidere cosa fare. Una possibile strada è uscire dall’élite, in sostanza fare come San Francesco, cioè rinunciare ai privilegi e vivere come la gente comune. Un’altra, sicuramente più comoda, è impegnarsi molto di più nella vita politica e mettere onestamente al servizio della lotta contro le diseguaglianze il proprio capitale simbolico. Resta certamente vero che l’esempio è un formidabile meccanismo di credibilità.

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