Cent’anni fa veniva già riconosciuto il non binarismo. Oggi parliamo ancora di “teoria gender”.

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Mag 12, 2025 - 16:08
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Cent’anni fa veniva già riconosciuto il non binarismo. Oggi parliamo ancora di “teoria gender”.

Poco meno di novant’anni fa, il 10 maggio 1933, su iniziativa delle autorità naziste, nel centro di Berlino fu appiccato un enorme rogo in cui furono bruciati circa 25mila libri, tra cui i 12mila confiscati pochi giorni prima, il 6 maggio, da un gruppo di studenti nazisti guidati dalle Truppe d’Assalto durante un’incursione all’Institut für Sexualwissenschaft (Istituto di Sessuologia). L’episodio, che segnò l’inizio della censura di Stato, fa parte della Bücherverbrennung (“rogo di libri”), con cui furono eliminati complessivamente milioni di testi considerati in contrasto all’ideologia del Terzo Reich. Segnò invece la fine dell’Istituto di Sessuologia, che di lì a poco venne ufficialmente chiuso, dopo essere stato un punto di riferimento per intere categorie di persone discriminate. Una fase storica di relativo progresso, almeno nel contesto tedesco, stava lasciando il posto a un’altra fase, ben più cupa.

Opernplatz, Berlino, 1933

L’istituto di Sessuologia era stato fondato nel 1919 dal medico e sessuologo Magnus Hirschfeld, all’apice di un percorso iniziato già alla fine del XIX secolo, quando aveva aperto, insieme ad altri colleghi, il Wissenschaftlich-humanitäres Komitee (Comitato scientifico-umanitario) dedicato a fare ricerca e difendere i diritti delle persone omosessuali, anche dando una spiegazione scientifica dell’omosessualità per normalizzarla nel dibattito pubblico; l’obiettivo finale era l’abrogazione del paragrafo 175 del Codice penale tedesco che criminalizzava la sodomia. Hirschfeld aderì anche alla Deutscher Freundschafts-Verban (Lega tedesca dell’amicizia), la prima associazione LGBTQIA+ che aveva diverse sedi in Germania, nell’ambiente liberale della Repubblica di Weimar, una fase che identifica lo Stato tedesco dalla fine della Prima guerra mondiale all’ascesa al potere nazista nel 1933 e in cui la Germania adottò un modello di democrazia parlamentare sorretto da una Costituzione piuttosto avanzata, che prevedeva il suffragio universale maschile e femminile e la responsabilità del governo di fronte al parlamento. Fu anche un’epoca di libertà sessuale ante-litteram, di esplorazione del pensiero e del corpo e di relativa tolleranza per la comunità che oggi definiremmo queer – nonostante l’omosessualità fosse comunque criminalizzata – e che vedeva nella cosmopolita Berlino la sua capitale – già all’avanguardia su diversi temi potenzialmente controversi –, che, tra feste e cabaret, danzava sull’orlo del precipizio, come si legge in Addio a Berlino di Christopher Isherwood.

Fu questo il contesto in cui Magnus Hirschfeld, seguendo il suo stesso motto “giustizia attraverso la scienza”, si affermò come professionista e come attivista per i diritti delle persone omosessuali, trans e anche per le donne, sostenendo la Bund für Mutterschutz (Lega per la protezione delle madri), un’organizzazione femminista fondata da Helene Stöcker che portava avanti diverse battaglie progressiste, come la campagna per la depenalizzazione dell’aborto. Hirschfeld, infatti, può essere considerato, per certi versi, tra i pionieri del concetto di intersezionalità, sostenendo l’esistenza di una connessione tra le lotte per i diritti delle persone omosessuali e quelle per i diritti delle donne. Hirschfeld considerava l’omosessualità un fatto congenito – che, quindi, non poteva essere proibito o condannato – e individuò in quello che chiamava “uranismo” un terzo sesso o “condizione sessuale intermedia”. Arrivò anche a proporre un ripensamento del binarismo di genere, sostenendo che ci fossero diversi livelli nell’orientamento sessuale e diversi fattori – dai genitali ai caratteri sessuali secondari, dall’orientamento sessuale e alle caratteristiche psicologiche – a concorrere nel classificare una persona su una scala tra “femmina” e “maschio”. 

Isola felice di progressismo e scienza, l’Istituto fondato da Hirschfeld divenne un centro di ricerca, una clinica medica (in cui si svolgevano le prime operazioni chirurgiche di riassegnazione del sesso), un consultorio psicologico e uno spazio in cui si tenevano lezioni di contraccezione ed educazione sessuale e venivano forniti i permessi riconosciuti dalla Repubblica di Weimar per poter indossare abiti corrispondenti all’identità di genere. In generale era un centro di aggregazione per persone queer che vi trovarono un luogo sicuro e un punto di riferimento. Ma la crisi economica, che sarebbe esplosa nel 1929, cominciò a colpire già nei primi anni Venti e Hirschfeld – che per di più era omosessuale ed ebreo – si trovò sempre più sotto attacco da parte dei conservatori, fino a lasciare la direzione del centro e la stessa Berlino, per dedicarsi alle conferenze all’estero. Con la chiusura dell’Istituto non finirono tuttavia le ostilità, anzi: nel 1935 il paragrafo 175 fu inasprito, cominciando a criminalizzare tutti i comportamenti che potevano suggerire un orientamento omosessuale, giustificando così circa 100mila arresti. Migliaia di persone sarebbero finite in carcere, in manicomio, o nei lager e l’anno dopo venne istituito un Ufficio centrale del Reich per debellare l’omosessualità e l’aborto. Come andò, purtroppo, poi lo sappiamo.

Da allora sono passati decenni, segnati da battaglie sociali che hanno, qualche volta, portato al riconoscimento (almeno parziale) dei diritti civili; oggi, però, con amarezza, dobbiamo renderci conto che i diritti che pensavamo acquisiti non sono, in realtà, da dare per scontati e che gli avanzamenti sociali non indicano un progresso costante; a confermarlo sono le vicende degli ultimi mesi. Appena rieletto, per esempio, il presidente americano Donald Trump si è subito messo a firmare una sfilza di ordini esecutivi con effetto immediato, tra cui diversi riguardano l’identità di genere; Defending women from gender ideology extremism and restoring biological truth to the federal government(“Difendere le donne dell’estremismo dell’ideologia gender e ripristinare la verità biologica nel governo federale”) rimarca il sesso biologico come riferimento, negando la validità delle autoderminazioni di identità transgender o non-binarie, ritenute – faziosamente – come ostacoli alla tutela delle donne. Un altro ordine esecutivo ha invece messo fine ai programmi di Diversity, Equity and Inclusion in tutte le agenzie e gli uffici federali, con la conseguenza, tra le altre, che nelle carceri federali le donne trans dovranno essere collocate nei penitenziari maschili, mentre scuole, luoghi di lavoro e centri di accoglienza non saranno più tenuti a tutelare l’identità transgender o non-binaria delle persone; sono stati poi vietati i finanziamenti federali a enti, iniziative e ricerche mediche a sostegno delle persone trans, inclusi i fondi per le cure di affermazione di genere, che la stessa American Medical Association ha definito come “life-saving”.

Donald Trump

Ma gli attacchi istituzionali alla comunità LGBTQIA+ non si limitano agli Stati Uniti: è del mese scorso, per esempio, la sentenza della Corte Suprema britannica per la quale la definizione legale di donna si basa sul sesso biologico e non sul genere, come chiedeva l’associazione femminista trans-escludente For women Scotland – sostenuta anche da J.K. Rowling, la molto criticata (proprio per le sue posizioni in merito) autrice della saga di Harry Potter – in opposizione dal 2018 al governo scozzese, impegnato a favore dei diritti. Nonostante la Corte Suprema sostenga che non verrà meno la protezione garantita per legge alle donne trans contro le discriminazioni, la sentenza segna un passo preoccupante, le cui conseguenze possono essere molte, e drammatiche.

Per quanto sia forzato – come tutte le analogie storiche lo sono – il confronto con oggi diventa ancora più inquietante se si pensa che nel 1933 in Germania a dare l’avvio al baratro fu un rogo di libri. Ora, forse, i libri non vengono bruciati, ma il governo degli Stati Uniti bandisce dalle scuole del Dipartimento della Difesa – frequentate dai figli dei militari e dei civili dipendenti del Pentagono – i testi potenzialmente legati all’ideologia di genere (gender ideology) e che contengono teorie che mettono in discussione l’equità razziale. Se il ban ha riguardato in primo luogo le scuole più direttamente controllate dal governo, iniziative simili esistono da diverso tempo in vari Stati degli USA, dove da scuole e biblioteche pubbliche sono bandite opere, tra gli altri, di Khaled Hosseini, Toni Morrison, Margaret Atwood e Sally Rooney.

JK Rowling

In più, alla faccia di chi strilla, contro i progressisti, che “non si può più dire niente”, negli uffici federali statunitensi è fortemente sconsigliato l’uso di termini del linguaggio ampio riferiti a minoranze e comunità marginalizzate, ma anche di parole come “transgender”, “donne”, “violenza di genere”, “crisi climatica” e “attivismo”, quasi un macabro promemoria di quanto il motto di Herschfeld “giustizia attraverso la scienza” non sia stato recepito. In Italia, intanto, siamo ancora incagliati negli attacchi alla “teoria gender”, che ogni tanto viene riesumata come una minaccia sempre valida – al rifiuto di declinare al femminile alcune professioni – specialmente quelle apicali – e al rapporto complicato (per usare un eufemismo) con l’educazione sessuale, fin qui quasi inesistente e demandata all’iniziativa delle singole scuole e ora sottoposta allo scrutinio dei genitori, che, previa valutazione dei materiali e delle finalità dei corsi, dovranno dare il loro consenso scritto. Per certi versi, alcuni medici attivi nella Berlino di cent’anni fa erano più progressisti delle istituzioni di oggi, e questo ci ricorda che dobbiamo sempre vigilare sui diritti, anche quelli che riteniamo acquisiti. Di fronte agli inquietanti echi di una storia già vista, che giorno dopo giorno torna a limitare le libertà e a rimettere in discussione i riconoscimenti ottenuti, dobbiamo renderci conto che se non cambieremo rapidamente prospettiva come società saremo spacciati.

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