Campi Flegrei: perché il bradisismo è aumentato?

Campi Flegrei: scoperto uno strato fragile nella crosta terrestre che potrebbe spiegare l'aumento del bradisismo e l'intensa attività sismica degli ultimi mesi.

Mag 11, 2025 - 08:24
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Campi Flegrei: perché il bradisismo è aumentato?
Negli ultimi mesi, i Campi Flegrei hanno registrato un'intensa attività sismica e un aumento del bradisismo. A febbraio 2025 si è verificato uno sciame sismico con oltre 1.800 terremoti, il numero più alto degli ultimi quarant'anni, con scosse fino a magnitudo 3.9. Il 13 marzo, un sisma di magnitudo 4.4 ha colpito l'area tra Pozzuoli e Bagnoli, seguito da altri eventi minori. Il sollevamento del suolo ha raggiunto una velocità di circa 30 mm al mese, indicando una fase attiva del fenomeno. Nonostante l'intensificazione, gli esperti dell'INGV escludono al momento il rischio di un'eruzione imminente, pur mantenendo un monitoraggio costante della situazione.. Lo studio. Il fenomeno del bradisismo e delle scosse sismiche comunque, non è nuovo. Da sempre si è cercato di capire quali fossero le cause di questo fenomeno. Ora, un recente studio dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), pubblicato sulla rivista scientifica AGU Advances, ha identificato una zona più fragile del previsto nella crosta terrestre che si troverebbe a una profondità compresa tra i 3 e i 4 chilometri, questo potrebbe spiegare sia il sollevamento del suolo, sia l'attività sismica che, periodicamente, interessano l'area flegrea. Lo studio, condotto nell'ambito del progetto LOVE-CF (Long-term Venting and Eruption at Campi Flegrei), finanziato dall'INGV, nasce da una collaborazione tra l'INGV stesso, l'Università di Grenoble Alpes e l'Università di Bologna. Si basa su analisi approfondite di campioni rocciosi estratti da un pozzo geotermico profondo circa 3 chilometri. I ricercatori hanno utilizzato tecniche avanzate di laboratorio e immagini tridimensionali ad alta risoluzione del sottosuolo fino a 4 chilometri per "ricostruire" cosa accade sotto i nostri piedi.. Tra calcari e tufi. Spiega Lucia Pappalardo, ricercatrice INGV e coautrice dello studio: «Abbiamo individuato un'importante transizione a circa 2,5–2,7 km di profondità, dove si osserva un indebolimento degli strati crostali. Al di sotto di questa soglia, la crosta appare più porosa e permeabile del previsto, e quindi meno resistente, favorendo l'accumulo di fluidi magmatici». Francesco Maccaferri, ricercatore INGV e co-autore dello studio aggiunge: «Le simulazioni numeriche hanno mostrato che nelle passate epoche eruttive, numerose piccole intrusioni di magma si sono fermate proprio in questa zona, dove c'è il passaggio dalle rocce carbonatiche profonde e i tufi vulcanici più superficiali, contribuendo a renderla via via più debole». Secondo Gianmarco Buono, lo strato indebolito non soltanto funge da trappola per i fluidi magmatici profondi, ma potrebbe condizionare anche una eventuale futura risalita di magma. Nel caso di piccoli volumi di magma, questi tendono a deviare il proprio percorso e ad arrestarsi in prossimità del contatto tra un substrato rigido, probabilmente calcareo, e i tufi sovrastanti, raffreddandosi prima di raggiungere la superficie in quello che viene definito un processo di eruzione abortita.. La via di una futura eruzione. Tuttavia, se l'accumulo di magma avviene più rapidamente, potrebbe non avere il tempo di raffreddarsi e, dopo una fase di stasi a 3-4 km di profondità, riprendere la sua risalita, come osservato nell'eruzione del 1538, che portò alla formazione del Monte Nuovo. Questo studio, però, non esclude che, in caso di risalita di volumi maggiori di magma dal serbatoio profondo (posto a circa 7-8 km di profondità), il materiale possa raggiungere direttamente la superficie, senza attraversare una fase di stasi nello strato crostale indebolito — un meccanismo che potrebbe aver caratterizzato alcune eruzioni di epoche passate. «Questa ricerca non influenza direttamente le nostre previsioni a breve termine, ma è un tassello fondamentale per comprendere il comportamento del vulcano e migliorare la nostra capacità di monitorarlo», sottolinea Mauro Antonio Di Vito, Direttore dell'Osservatorio Vesuviano (INGV-OV). «Solo con una conoscenza sempre più dettagliata del sistema vulcanico e della sua dinamica possiamo sperare di anticipare segnali critici e ridurre i rischi»..