Boetti e Lazzaro: un palco, due visioni
Il live all’Impact Art … non è stato un semplice concerto. È stato il tentativo di dare forma all’informe, di far vedere quello che solitamente resta nascosto: il processo creativo condiviso, il confronto, l’amicizia. Un dialogo a quattro mani, due voci, un pianoforte e un synth, che ha messo in scena la genesi di due […] The post Boetti e Lazzaro: un palco, due visioni appeared first on Indielife.it - Magazine indipendente dedicato agli artisti emergenti.

Il live all’Impact Art …

non è stato un semplice concerto. È stato il tentativo di dare forma all’informe, di far vedere quello che solitamente resta nascosto: il processo creativo condiviso, il confronto, l’amicizia. Un dialogo a quattro mani, due voci, un pianoforte e un synth, che ha messo in scena la genesi di due album distinti nati dalla stessa ricerca.
Lazzaro, vestito di trasparente nero, porta in scena una nuova pelle sonora, fatta di elettronica delicata, malinconia lucida e immagini che restano impresse come cicatrici. La sua voce, a tratti graffiata, a tratti sussurrata, non chiede attenzione: la pretende.
Tra i brani si intravede una figura centrale, un “bimbo cresciuto”, alla fine dei vent’anni, che cerca di affrancarsi da tutto: dalla provincia, dal passato, dal bisogno di sentirsi sempre all’altezza.
“Pensavo di aver scritto un disco che parlasse d’amore, di famiglia. Ma dentro c’era questo sguardo infantile, questa voglia di leggerezza che ho scoperto tardi, dopo aver preso la vita troppo sul serio” – racconta Yuri, in un momento intimo fuori dal palco.
Distruggere per rinascere
Se Lazzaro è un resuscitato (non a caso), Boetti è un archeologo di se stesso.
Ha dovuto “uccidere” il suo cantautore interiore per poterlo riscoprire. Dopo anni passati tra palchi e aperture importanti (come Morgan, Bandabardò, Roy Paci…) ha scelto di cambiare nome e direzione, per costruire qualcosa di più vero.
“Scrivo canzoni da quando ero bambino. Ma per togliermi di dosso certi riferimenti troppo ingombranti, ho dovuto passare per un disco apocrifo. Un disco che non mi rappresentava, ma che mi serviva per capire cosa non volevo essere.”
Lo abbiamo incontrato attraverso la voce di Manuel Apice, era il 2023 all’uscita del suo ultimo album, Colpa Tua, per Manita Dischi e .Belva. Oggi c’è un sentore diverso nel suo stile, sa di maturità e freschezza, anche risvegliata da un clima musicale diverso e da Lazzaro, il compagno di tastiera e voce.
Rizoma: una terza via
La vera novità, però, non è solo musicale. È umana, etica, organizzativa.
Boetti e Lazzaro non sono “solo” due amici musicisti. Sono parte attiva di un ecosistema, di un’idea di scena che si chiama Rizoma un collettivo fluido, affettivo, dove ogni elemento ha un ruolo e ogni relazione è potenzialmente creativa.
“Il produttore, il fonico, il tour manager, il chitarrista… sono tutte persone che prima di tutto fanno parte della nostra vita. E questo, sul palco, si sente”.
Rizoma non è un’etichetta, ma una postura artistica, che si pone “a metà tra il nulla e il professionismo freddo”. È la volontà di creare una base umana e artistica, per non cadere quando (forse) arriveranno le offerte importanti.
“Facciamo i direttori artistici di noi stessi. Questa cosa ci prepara a dare un senso a tutto, anche se domani arriva una major”, dice Yuri.
Nella buona e nella cattiva sorte
In un tempo in cui il mercato musicale premia spesso la velocità più che la profondità, Lazzaro e Boetti scelgono un’altra strada: quella del tempo condiviso, della creazione collettiva che nasce dall’ascolto, dell’identità che si costruisce a partire dalla relazione. Il loro non è un semplice featuring, né un esperimento effimero. È un incontro che genera due dischi distinti ma intrecciati, due visioni che si contaminano senza fondersi, due voci che si alternano senza sovrastarsi.
È proprio nel cuore di questa esperienza si inserisce Rizoma, un contenitore umano prima che artistico, che si muove tra l’autoproduzione e il desiderio di creare uno spazio nuovo, etico, indipendente, eppure aperto al dialogo con l’industria. Una scena in cui il palco è il prolungamento della vita e la vita si riflette nei suoni, nelle parole, nei silenzi.
Il loro è un progetto corale, così lo definisce Damiano. In questo incontro con Yuri ed Elemeno Umano (Gianmarco), l’unione è umana, prima come persone che hanno una storia di vita poi, come un flusso, si uniscono le strade della scrittura musicale.
“Siamo amici e abbiamo affrontato tante storie e difficoltà insieme. […] dalla nostra storia cerchiamo di creare un team, un gruppo che si dà una mano. L’amore e la premura che noi stessi, in gruppo, possiamo dare ai nostri lavori reciproci, non sarebbe lo stesso che potrebbe dare un addetto ai lavori a cui arriva una mail. In questo ponte ci collochiamo noi, nella misura in cui non c’è al momento casa discografica se non tutto quello che ognuno può dare come apporto per la carriera dell’altro.”
Boetti e Lazzaro: incontrarsi e fondersi
Nella chiave di lettura dell’amore e della premura si concretizza la collaborazione artistica, ce lo racconta Damiano: “Yuri è entrato nel mio progetto suonando dal vivo, come ad esempio a Isernia, al Primo De André; intervenendo nei demo, nell’ultimo album, aggiungendo i suoi synth al mio piano. In Ragazza del ’99 c’è la sua voce, non escludo che ci sia anche nel disco che stiamo realizzando. Ci aiutiamo ognuno coi i propri mezzi, lo portiamo in modo naturale sul palco.”
E sempre nella collaborazione nascono i primi risultati, proprio palesati da “Una strada” racconta Damiano “che ci ha portato alle segnalazioni su Rock.it, al secondo posto al rock contest di Contro Radio, vincita utile per le nostre produzioni e comunicazioni.”
I prossimi live
Dopo l’incontro all’Impact Hub e il live in Toscana, potremmo sentire le voci di Boetti e Lazzaro
- il 22 maggio a Controra, Angri (SA)
- il 21 giugno al Sofar Ancona, la location viene svelata solo poco prima dell’evento.
e per scoprire nuove voci mai dimenticarsi del progetto Impact Art, un incontro di arte e musica dal vivo nel cuore di Roma.
Articolo a quattro mani, a cura di Roberta Maggi e Oriana Vacante
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