112.000 voci da tutto il mondo contro il Decreto Tajani: un grido d’allarme che non può essere ignorato
lentepubblica.it Alla Camera dei Deputati la consegna delle 112000 firme raccolte da Natitaliani contro il Decreto Tajani. Un atto politico, civile e simbolico per difendere il diritto alla cittadinanza italiana per discendenza. In una Sala Stampa della Camera dei Deputati vibrante di indignazione, nonostante la pioggia battente e un cielo carico di tensione, lo scorso 13 […] The post 112.000 voci da tutto il mondo contro il Decreto Tajani: un grido d’allarme che non può essere ignorato appeared first on lentepubblica.it.

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Alla Camera dei Deputati la consegna delle 112000 firme raccolte da Natitaliani contro il Decreto Tajani. Un atto politico, civile e simbolico per difendere il diritto alla cittadinanza italiana per discendenza.
In una Sala Stampa della Camera dei Deputati vibrante di indignazione, nonostante la pioggia battente e un cielo carico di tensione, lo scorso 13 maggio, l’associazione Natitaliani ha consegnato le 112.000 firme raccolte contro il Decreto Legge 36/2025, noto come “Decreto Tajani“, che interviene sulla cittadinanza per discendenza.
Il Presidente Daniel Taddone e la Vicepresidente Claudia Antonini hanno affidato le firme nelle mani dei deputati Toni Ricciardi e Fabio Porta (PD) e del senatore Mario Borghese (MAIE), sottolineando che la battaglia non ha colore politico, ma un significato profondo sul piano identitario e costituzionale.
Durante la conferenza stampa, le voci dei parlamentari eletti nella Circoscrizione Estero si sono levate compatte contro un provvedimento ritenuto incostituzionale, miope e offensivo verso la storia migratoria italiana.
Un attacco al diritto, alla storia e all’identità
Il cuore dell’opposizione al Decreto risiede nella negazione retroattiva di diritti già acquisiti e nella procedura d’urgenza, motivata – secondo il Governo – da presunte minacce alla sicurezza nazionale. Una giustificazione che tutti gli intervenuti hanno definito strumentale e pretestuosa.
“Questo decreto è solo l’antipasto di un disegno più ampio che vuole riscrivere le regole del gioco a partita iniziata” ha dichiarato l’on. Toni Ricciardi. “È un provvedimento criminale perché sottrae diritti fondamentali, introducendo un taglio arbitrario che può separare fratelli nati a poche ore di distanza: un figlio nato prima del 27 marzo 2025 è italiano, uno nato dopo rischia di non esserlo più.”
“Se molta della narrativa mediatica degli ultimi mesi si è concentrata sull’America Latina, alimentando stereotipi e pregiudizi, gli effetti del decreto – avverte Ricciardi – saranno drammatici anche in Europa. In Svizzera, Belgio, Francia e Germania vivono milioni di discendenti italiani, molti dei quali con doppia cittadinanza da generazioni.”
Una misura ideologica travestita da urgenza
Molti interventi hanno denunciato la natura politico- ideologica del Decreto che vorrebbe strumentalizzare il dibattito sulla cittadinanza fomentando contrapposizioni tra ius soli e ius sanguinis ma il risultato è solo un’esplosiva tensione identitaria.
Ricciardi ha ricordato che l’Italia, dal 1868 in poi, ha firmato oltre 200 accordi bilaterali per esportare manodopera, mandando all’estero milioni di italiani.
Ha poi aggiunto, “Lo ius sanguinis – non è una concessione: è un diritto originario, che si acquisisce alla nascita. Non può essere cancellato con un colpo di penna. Il rischio è ridurre la cittadinanza a uno strumento di esclusione arbitraria.”
Gli ha fatto eco il sen. Mario Borghese: “Un decreto assurdo, insensato, che ha gettato nel caos milioni di italo-discendenti. Una vera e propria ghigliottina genealogica, capace di dividere famiglie, senza logica, né rispetto per la storia.”
E ha aggiunto: “Faremo tutto il possibile, uniti al di là delle appartenenze politiche, per fermare un decreto che mina alle fondamenta l’identità e il senso di appartenenza degli italiani nel mondo. Serve un confronto serio, non un blitz normativo.”
Un attacco ai diritti di tutti
Sulla stessa linea l’on. Luciano Vecchi, responsabile PD per gli italiani nel mondo: “I provvedimenti sulla cittadinanza richiedono riflessioni serie, ampie, condivise. Non possono essere imposti con atti d’urgenza, né aggirare il confronto democratico. Questo decreto è una “porcata” e non colpisce solo gli italo-discendenti, ma i diritti di tutti. Se dovesse passare, in futuro qualsiasi Governo potrà decidere per Decreto su libertà o diritti fondamentali. È un precedente pericoloso, che richiama sinistramente le leggi razziali del 1938.”
Un fronte unito degli eletti all’estero
In un Parlamento spesso diviso, il Decreto Tajani ha avuto un effetto inaspettato: ha unito tutti gli eletti all’estero. “Per una volta siamo compatti – ha detto il sen. Borghese – perché questo è un attacco diretto alla nostra legittimità, al nostro ruolo.”
L’obiettivo dichiarato è dunque rallentare e affossare il decreto in Aula, facendo leva sull’indignazione crescente e sulla mobilitazione internazionale.
Anche l’on. Fabio Porta ha evidenziato la gravità del metodo utilizzato dal Governo per normare su una materia così importante: nessuna consultazione con il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, nessun passaggio parlamentare serio, solo una narrazione allarmista sui “tribunali intasati” e sul “business dei passaporti”, veicolata attraverso giornali e trasmissioni del servizio pubblico. “Dietro il Decreto c’è una precisa strategia comunicativa intesa a criminalizzare intere comunità.” Porta ha poi citato il caso di Fiumefreddo, piccolo comune calabrese ripopolato da famiglie italo-argentine e italo-brasiliane, descritto da una trasmissione RAI come luogo d’illegalità. Ecco come funziona la macchina del fango: un esempio virtuoso è stato trasformato in una gogna mediatica dentro la quale è finito persino il parroco.
Famiglie spezzate e territori svuotati in pieno inverno demografico
Daniel Taddone, Presidente di Natitaliani, ha dato voce alla tristezza e allo sconforto diffuso tra gli italiani all’estero: “Il nostro Governo ci tratta come una minaccia. Siamo stati descritti come truffatori e meri opportunisti senza che nessuno riconoscesse il nostro legame con l’Italia, la nostra storia, il nostro amore per la terra dei nostri padri.”
Ha poi ricordato che dietro le firme ci sono persone reali e vite sospese: famiglie già trasferite nei borghi del Sud, oggi bloccate, ignorate, dimenticate. Persone che aspettano da anni il riconoscimento di un diritto e che ora vedono fermi i loro procedimenti. Una situazione paradossale che mina il principio fondamentale della certezza del diritto, pilastro della società civile e della democrazia.
Claudia Antonini, Vicepresidente Natitaliani, ha affermato con forza: “Possono dire quello che vogliono, ma i numeri non mentono. In un’Italia segnata dall’inverno demografico, rinunciare al capitale umano degli italiani nel mondo è assurdo. Invece di valorizzarli, li si stigmatizza. Natitaliani è contro ogni forma di abuso o mercificazione della cittadinanza. Per noi la cittadinanza è un valore, un diritto fondamentale. Criminalizzare la nostra comunità è una scelta suicida.”
Flavia Di Pilla, del Direttivo Natitaliani ha ribadito: “Gli italo-discendenti rappresentano un formidabile strumento di soft power per l’Italia nel mondo. Perché privarsene proprio ora? Perché l’Italia vuole auto-sabotarsi?”
Perfino la Premier Giorgia Meloni, in un recente intervento al Senato, ha dichiarato: “Gli italiani all’estero sono la più grande rete diplomatica del nostro Paese.”
Un’affermazione chiara, quasi un riconoscimento ufficiale. Ma allora, come si concilia questa visione con la mannaia del DL Tajani?
La battaglia continua: è una questione di dignità e di futuro
Mentre in Senato si continua a discutere, fuori dal Palazzo cresce la mobilitazione a livello globale. 112.000 firme non sono solo numeri: sono persone, famiglie, radici, sogni.
Sono la prova tangibile di una realtà che la politica italiana continua a ignorare—quella di una cittadinanza pronta a tornare, a investire, a sentirsi parte di una nazione che invece la respinge.
Il quesito, tanto semplice quanto cruciale, resta aperto: l’Italia è davvero disposta a voltare le spalle ai milioni di figli nati all’estero, privandosi della ricchezza culturale, economica e sociale che essi potrebbero portare?
La risposta a questa domanda definirà non solo il futuro di queste persone, ma anche quello del nostro Paese.
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