“Vivi ancora con i tuoi?”. Perché recuperare la serie Netflix ‘Mo’
di Stella Saccà In uno degli episodi della seconda stagione della serie tv Netflix “Mo”, il protagonista ha una discussione con Maria, l’amore della sua vita, che lo accusa di essere immaturo perché vive ancora con la madre. Durante la lite, Mo spiega a Maria che nella sua cultura, vivere con la propria madre anche […] L'articolo “Vivi ancora con i tuoi?”. Perché recuperare la serie Netflix ‘Mo’ proviene da Il Fatto Quotidiano.

di Stella Saccà
In uno degli episodi della seconda stagione della serie tv Netflix “Mo”, il protagonista ha una discussione con Maria, l’amore della sua vita, che lo accusa di essere immaturo perché vive ancora con la madre. Durante la lite, Mo spiega a Maria che nella sua cultura, vivere con la propria madre anche da adulti, quando ancora non si ha una famiglia propria, non è una questione di pigrizia o immaturità, ma una questione culturale. Una questione culturale. Ma come abbiamo fatto a non pensarci prima?
Sballottolati in una centrifuga di narrativa nord-occidentale e divorati dalla globalizzazione, noi italiani abbiamo messo da parte la nostra identità in favore di una visione totalmente distante da noi. Per lo meno dalla capitale in giù. “Vivi ancora con i tuoi?” è tutt’ora una domanda pericolosa, e quell’ancora parla chiaro. Giovani e meno giovani che stentano a guadagnare uno stipendio che permetta loro di pagare un affitto ma anche al contempo di fare viaggi, attività sportive e di intrattenimento, temono la suddetta domanda, perché sanno che ora, socialmente, toglie qualcosa all’entità dell’individuo in oggetto. Se vivi ancora con i tuoi, non vali niente. E forse sì, chi vive ancora con i suoi non vale niente agli occhi degli americani, dei nord europei, ecc. ma di certo non per il sud del mondo, dove è, appunto, una questione culturale.
Perché dovrebbe creare vergogna vivere con i propri genitori? Ammesso che essi siano d’accordo ovviamente, altrimenti da Mo ci spostiamo al film del 2001 Tanguy di Etienne Chatiliez, che racconta un’altra storia. Perché non dovrebbe creare più perplessità vivere con degli estranei, in una casa di cinque stanze e un bagno solo, dove i freezer scoppiano e i frigoriferi hanno l’eco? Ovviamente non stiamo parlando di chi vive fuori sede ed è costretto a vivere con altri coinquilini, ma di quelli che vivono nello stesso luogo dove sono cresciuti, e che invece di spendere 700 euro per una stanza, decidono di risparmiare vivendo con la propria famiglia, mangiare sicuramente meglio, e aiutare a loro volta.
Ognuno sceglie la modalità esistenziale che vuole, e non dovrebbe subire emozioni imposte da una predominanza culturale che non ci è mai appartenuta. Vivere con la famiglia di origine, quando ancora non se ne ha una propria, non dovrebbe essere un problema, anzi. Mo lo spiega a Maria, e in effetti la serie mostra un personaggio che sì, vive ancora con la mamma, ma ha una maturità emotiva nettamente superiore a quella degli altri personaggi, che invece rispondono a ciò che viene spacciato per socialmente accettabile.
Creata e scritta da Mohammed Mo Amer e Ramy Youssef, la serie prodotta da A24 funge quasi da approfondimento di uno dei personaggi della serie tv Ramy (sempre prodotta da A24, scritta da Youssef e distribuita negli USA da Hulu). Mo racconta la vita di un palestinese americano, residente in Texas da oltre vent’anni e ancora privo di permesso di soggiorno e passaporto.
Al di là della battaglia a tutela delle tradizioni, che è sicuramente la direzione che il Sud del mondo ha preso da un anno a questa parte (anche l’ultimo bellissimo album di Bad Bunny, cantautore portoricano da oltre 94 milioni di ascolti al mese su Spotify conferma questa tendenza a rivendicare le proprie origini), “Mo” andrebbe vista soprattutto per un altro motivo: è una serie che racconta di immigrazione ed emigrazione, che mette in luce le problematiche che chi vive negli Stati Uniti d’America affronta ogni giorno, che fa commuovere e ridere allo stesso tempo (che è l’obiettivo primario del genere comico se vuole essere di successo e non fine a se stesso) e che spiega un po’ meglio cosa significa essere oppressi. O semplicemente palestinesi.
L’ultimo episodio della seconda stagione, che si ambienta il 6 ottobre 2023 e sta avendo un ottimo riscontro negli Usa in termini di ascolti e critica, racconta la sofferenza di chi vive prigioniero nella propria terra, e mostra cosa significa far parte di una popolazione dimenticata, sfruttata, ignorata da troppo tempo. Una serie scritta, diretta, interpretata benissimo, che dovrebbe essere vista da tutti, specialmente da chi non sa niente di quella parte del mondo. Nonostante, magari, viva solo.
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