“Vi spiego il sogno di Ventotene del mio amico Altiero”: colloquio con Pier Virgilio Dastoli, storico assistente di Spinelli

Dopo l’“exploit interpretativo” (chiamiamolo così) della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il Manifesto di Ventotene è tornato alla ribalta delle cronache. Ma tra coloro che oggi ne parlano – per criticarlo come per difenderlo – quasi nessuno lo conosce bene come Pier Virgilio Dastoli, il più stretto collaboratore di Altiero Spinelli, che del manifesto “Per […]

Apr 24, 2025 - 10:08
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“Vi spiego il sogno di Ventotene del mio amico Altiero”: colloquio con Pier Virgilio Dastoli, storico assistente di Spinelli

Dopo l’“exploit interpretativo” (chiamiamolo così) della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il Manifesto di Ventotene è tornato alla ribalta delle cronache. Ma tra coloro che oggi ne parlano – per criticarlo come per difenderlo – quasi nessuno lo conosce bene come Pier Virgilio Dastoli, il più stretto collaboratore di Altiero Spinelli, che del manifesto “Per un’Europa libera e unita” fu co-autore.

Pier Virgilio, alcuni pensano che il Manifesto di Ventotene sia «datato» e andrebbe «contestualizzato» al periodo in cui è stato scritto. Ma così non si rischia di mettere in discussione la sua attualità relegandolo a un’epoca superata, a cui le nuove generazioni sono estranee?
«Mi è capitato spesso di ascoltare molti giovani convintissimi dell’attualità e della validità del pensiero di Spinelli, specialmente dell’idea di creare un potere democratico europeo, immaginato per offrire una soluzione permanente ai problemi comuni degli europei, proposta valida alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ed ancora più valida oggi. Il Manifesto inizia con l’affermazione che “la civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà secondo il quale l’uomo non deve essere mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”. Vedo molti giovani entusiasmarsi per la federazione proposta da Spinelli, che non è solo un bell’ideale, un invito a sognare, ma un obiettivo concreto per tutte le generazioni, specialmente le più giovani, ad agire e operare ora. L’azione per creare la Federazione europea (o, come Spinelli amava dire, gli Stati Uniti d’Europa) appartiene alla generazione attuale e non a una indeterminata generazione lontana nel tempo». 

Le parti del Manifesto citate dalla premier Meloni parlano di rivoluzione e di abolizione della proprietà privata…
«Si tratta di citazioni totalmente decontestualizzate su cui lo stesso Spinelli ha dato chiarimenti a più riprese. Riassumo: se sei nel 1941 e proponi una federazione fra quegli Stati europei che si stanno uccidendo a migliaia ogni giorno, è plausibile ritenere necessaria una vasta mobilitazione popolare contro i regimi nazifascisti che hanno invaso tutta l’Europa e sembrano invincibili. Vogliamo chiamarla “rivoluzione”? Agli autori del Manifesto sembrava necessaria, così come sembrava necessaria l’abolizione di quella proprietà privata in nome della quale si scatenavano le guerre, e se vogliamo quella “rivoluzione” è stata una premonizione poi avveratasi con la Resistenza». 

A proposito di Resistenza, il Manifesto fu completato all’inizio dell’estate 1941 per poi circolare tra i movimenti di resistenza in tutta Europa. Nei successivi 84 anni sono accadute molte cose: la Guerra fredda, la caduta dell’impero sovietico, il neocolonialismo americano, l’affermarsi di nuovi poteri dispotici su scala regionale. Oggi il Manifesto non rischia di essere superato dalla storia?
«Ripeto: tutto va contestualizzato, ma io penso che il Manifesto sia ancora attualissimo e anzi, forse era anche un po’ troppo in anticipo per l’epoca in cui venne scritto. Basti pensare al fatto che esso propone già nel 1941 il superamento della linea di divisione fra destra e sinistra nella cultura politica, sostituendola con la distinzione fra conservatori immobilisti, che difendono apparenti sovranità nazionali, e progressisti innovatori, pronti a battersi per una superiore sovranità europea». 

Nel libro che lei ha scritto con Emma Bonino “A che ci serve l’Europa” (Marisilio, 2024) si legge che in Europa «popoli di culture e lingue diverse si erano reciprocamente alleati, traditi, invasi, divisi (…). Continuavano a sopraffarsi l’un l’altro, a fare guerre, a reiterare soprusi (…). E così la guerra si tramutò in genocidio, le giovani democrazie si persero nei totalitarismi più sanguinari, le molte lingue e culture si aggrovigliarono in un abbraccio mortale che con due guerre mondiali lasciò sul continente più di quaranta milioni di vittime». A pensarci bene, ci voleva davvero una dose estrema di follia per proporre un’Europa unita nel momento in cui gli europei si stavano uccidendo…
«Pur confinati nell’isola di Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni erano stati capaci di analizzare con estrema lucidità lo stato della Seconda Guerra Mondiale nel 1941 e prevedere la sconfitta dell’imperialismo tedesco e delle potenze totalitarie le cui forze “hanno raggiunto il loro culmine e non possono ormai che consumarsi progressivamente”. Ma erano anche consapevoli che “la sconfitta della Germania non porterebbe però autonomamente al riordinamento dell’Europa secondo il nostro ideale di civiltà”, e dunque per affermare quell’ideale, e godere di una pace stabile, bisognava superare non solo il nazionalismo, ma il concetto stesso di “nazione” andando verso una federazione di popoli per una Europa di pace e prosperità». 

ventotene
Pier Virgilio Dastoli, storico assistente di Altiero Spinelli

In effetti è innegabile che la costruzione europea – seppur diversa da quella immaginata da Spinelli, Rossi e Colorni – abbia garantito 80 anni di pace a un continente che non riusciva a trascorrerne 20 senza guerre e carneficine…
«In questo gli autori del Manifesto avevano visto lungo. Ma vi è anche un altro elemento essenziale della visione del Manifesto: quello del superamento del principio di sovranità assoluta, che è stato sottolineato da Norberto Bobbio nel suo saggio “Il Federalismo nel dibattito politico e culturale della resistenza”. Il Manifesto, ricorda Bobbio, “inizia parlando del principio nazionale e della sua degenerazione e aggredisce poi il problema della sovranità assoluta. Il superamento della sovranità assoluta conduce allo Stato federale e il superamento del principio nazionale conduce all’idea d’Europa. E il movimento che sorge a Ventotene è insieme federale ed europeo. Ciò vuol dire che il meccanismo dello Stato federale può applicarsi a una realtà diversa dall’Europa come la federazione mondiale o le federazioni che si vanno tentando fra Stati del mondo arabo”». 

Meloni nel suo intervento alla Camera ha detto che quella del Manifesto di Ventotene non è la «sua idea di Europa». Considerato che il Manifesto di Ventotene è stato scritto da intellettuali imprigionati dal fascismo, verrebbe spontaneo domandarsi se, allora, la sua idea di Europa non sia quella di quegli Stati-nazione le cui truppe nel 1941 stavano distruggendo e massacrando l’Europa e il mondo…
«Per rispondere a questa domanda è necessario capire bene l’idea di Europa che aveva Altiero Spinelli. Il titolo esatto del Manifesto di Ventotene è “Per un’Europa libera e unita”. Quindi una Europa dove si affermano i principi di libertà e il superamento delle frontiere, la cui difesa aveva generato tanti lutti. Ma era anche chiaro che la liberazione dell’Europa dalle dittature che la stavano mettendo a ferro e fuoco, non sarebbe avvenuta pacificamente, ma attraverso una “rivoluzione” appunto. Perché, come spiega Bobbio, liberarsi non bastava. Bisognava anche unirsi, per evitare che opposti nazionalismi potessero degenerare di nuovo in catastrofi come quella che si stava vivendo. Non sono per niente sorpreso che questa idea d’Europa non piaccia a Giorgia Meloni e ai suoi “camerati”, eredi politici di quel regime che rinchiudeva gli oppositori a Ventotene…». 

Possiamo dire che nel Manifesto emerge l’idea di una federazione di Stati simile a quella americana, che unisce tutti i popoli europei rispettando però le specificità di ciascuno?
«II Manifesto fu il punto d’incontro fra posizioni politiche anche molto distanti tra loro. Da una parte l’ex comunista Altiero Spinelli, convinto sostenitore della libertà dell’individuo e della società ma anche dell’idea che l’Urss – dove si stava costruendo il socialismo – avesse progressivamente tradito la visione internazionalista diventando essa stessa nazionalista: Dall’altra il liberale Ernesto Rossi, amico di Luigi Einaudi, critico verso il comunismo e il sindacalismo, ma anche verso il capitalismo, e convinto di dover “abolire la miseria” innestando un pezzo di costituzione economica comunista in un’economia rigorosamente di mercato. E infine Eugenio Colorni filosofo, giornalista e professore, con la sua analisi sulle cause economiche della guerra che lo portarono prima a Giustizia e Libertà e poi ai socialisti, assassinato nel 1944 dai nazifascisti».

Forse è necessario anche ricordare a Meloni che il “comunista” Spinelli fu espulso dal Partito Comunista Italiano per le sue prese di posizione contro l’Unione Sovietica, che criticava per la mancanza di libertà e giustizia…
«Altiero Spinelli, teneva in grandissima considerazione la lotta per la libertà dell’individuo e della società e questo lo aveva portato alla rottura con il Pci già a Civitavecchia nel 1935, all’indomani dell’avvio della stagione del terrore stalinista. Questa rottura fu poi formalizzata nel 1937 a Ponza con l’espulsione dal partito per “deviazione ideologica e presunzione piccolo-borghese”. Nella sua autobiografia “Ragazzo Rosso” Giancarlo Pajetta ricorda la rottura del 1935: “Ci scontrammo con Spinelli, un giovane comunista che passava ormai per crociano in attesa di diventare poi federalista al confino (…). L’eretico impenitente, non disposto a sottomettersi, fu in qualche modo scomunicato e noi volevamo che fosse chiaro, quando sarebbe arrivato al confino, che a Civitavecchia le sue posizioni ideologiche e politiche erano state ritenute estranee, nel modo più assoluto, a quelle dei comunisti”». 

Anche il liberale Ernesto Rossi, che si era formato sui testi federalisti inglesi, era molto critico non solo con il comunismo ma anche con il capitalismo…
«In effetti Rossi aveva raggiunto la convinzione che “solo una federazione europea – inizialmente limitata a un nucleo di Paesi latini – avrebbe garantito maggiori risorse per lo sviluppo sottraendole alla preparazione delle guerre volute dal crescente potere delle élites militari e dall’accentramento amministrativo”. Si può affermare che Spinelli e Rossi, pur provenendo da esperienze politiche contrapposte, si erano incontrati a metà strada convergendo sull’idea che il potere doveva essere al al servizio della libertà e che lo Stato nazionale era il nemico della libertà. Per Spinelli gli Stati nazionali non erano il male assoluto, ma erano ormai diventati dei veri e propri “leviatani impazziti” e, in regime di democrazia, solo una federazione sarebbe stata in grado di controllarli, poiché lo “Stato federale avrebbe impedito agli Stati nazionali di diventare mezzi di oppressione e sarebbe stato da essi impedito di diventarlo lui”. In questo quadro si colloca la sua mai mutata convinzione che un potere democratico europeo poteva essere fondato solo su un metodo democratico e cioè da un potere europeo costituente». 

Nel suo famoso discorso al Parlamento europeo per l’approvazione della Costituzione, Spinelli paragonava l’Europa al pescatore nel racconto di Hemingway “Il vecchio e il mare” e ammoniva «a proteggere dagli squali il pesce che abbiamo preso, per non rimanere con la sola lisca». Oggi nel processo di integrazione europea chi sta vincendo, il pescatore o gli squali?
«Il pesce, per Spinelli, era il suo progetto di Costituzione europea approvato nel 1984 a larga maggioranza dal Parlamento europeo, e di quel pesce molte cose si sono salvate dal morso degli squali: innanzitutto il Parlamento su molte materie è diventato un co-legislatore, e non ha più solamente una funzione consultiva. Poi abbiamo una carta dei diritti e delle procedure per farli rispettare, molte competenze sono passate dagli Stati nazionali all’Ue, è stata introdotta una embrionale cittadinanza europea e c’è una politica monetaria federale. Purtroppo, però, gli squali proliferano e ci sono pochi pescatori capaci di “pescare” nuove competenze europee, ma la realtà sia europea che internazionale rende inevitabile la riapertura del cantiere europeo con un nuovo processo costituente che finalmente ci porterà agli Stati Uniti d’Europa, come propose un pazzo visionario a Ventotene nel 1941».