Vi spiego cosa c’è dietro le critiche di Meloni al manifesto di Ventotene
Giorgia Meloni sul manifesto di Ventotene? Non solo provocazioni: il capo del governo si sta preparando al 25 aprile... L'intervento di Battista Falconi

Giorgia Meloni sul manifesto di Ventotene? Non solo provocazioni: il capo del governo si sta preparando al 25 aprile… L’intervento di Battista Falconi
La tesi prevalente. secondo cui il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, avrebbe letto e criticato alcuni stralci del Manifesto di Ventotene per distrarre l’attenzione dalle divergenze in seno alla maggioranza sul disegno di riarmo europeo è attendibile ma non esaustiva. Il capo del governo si è comportato come qualcuno che, nel mezzo di una trattativa d’affari, conoscendo l’opposto colore calcistico dell’interlocutore, tirasse fuori la Roma e la Lazio: la passione si accenderebbe all’istante e il tifo seppellirebbe qualunque possibilità di intesa.
Sì, è una lettura credibile, conoscendo la grande capacità provocatoria di Meloni e la dabbenaggine con la quale le opposizioni continuano da più di due anni a cercare di costringerla nell’angolo fascista-antifascista, nonostante sia ormai chiarissimo che agli elettori italiani della questione che rimanda a ottant’anni fa importa poco. Credibile ma non del tutto, però, poiché le divergenze con la Lega sul ReArm dell’Ue fanno il paio con quelle che si consumano tra le sinistre, assai più laceranti, e dunque la premier avrebbe avuto molte altre vie di uscita retoriche senza usare la provocazione.
Il senso quindi deve stare anche altrove. Chi ama gli scontri da derby attende con grandi aspettative il prossimo 25 aprile, in cui si raggiungerà l’apice della querelle fascistologica, e probabilmente Meloni si prepara alla bisogna poggiando su uno dei punti forti a sua disposizione: l’antifascismo non fu un movimento liberale, conteneva anzi al suo interno componenti che volevano sconfiggere il nazi-fascismo per imporre un’altra dittatura. Lo aveva fatto ben capire, la presidente, incontrando una partigiana “bianca”. Anche la sua perfida quanto efficace allusione ai documenti citati ma non letti va in questo senso: uscire dalla retorica partigiana, guardare a un antifascismo più ampio (che comprende Esercito del Sud, cattolici, Internati militari, etc.), condannando la dittatura mussoliniana assieme a coloro che volevano abbatterla per sottomettere l’Italia e l’Europa all’Urss.
E se comunque gaffe fosse, quella di Meloni, sarebbe comunque di gran lunga inferiore a quella commessa e ribadita dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha equiparato l’invasione russa dell’Ucraina al nazismo proprio nel momento in cui Mosca festeggia l’anniversario del suo trionfo sul Terzo Reich. Anche lì, un fondo di senso storico c’è: non basta averci liberato da Hitler, visto che il disegno di Stalin era avere campo libero per fare qualche altro milione di morti. Quindi l’insulto ai russi non è proprio del tutto una bestemmia.
Mattarella però non si è certo inerpicato in un simile paragone giustificativo. Al contrario, avrà digerito malissimo la battuta meloniana di ieri. Ma qui entriamo in un altro discorso, cioè la statura non proprio gigantesca dei protagonisti che dovrebbero cavarci d’impaccio da una situazione contorta in cui, invece, ci stanno affossando sempre di più. La schizoide tattica di Trump fa il paio con l’Unione capeggiata dalla signora Von Der Leyen, che non è politicamente né eticamente all’altezza. Meno peggio allora la passività della cosiddetta “palude” meloniana, che almeno ci salva da mossa avventate. E benissimo il pragmatismo del ministro Guido Crosetto, che sul riarmo solleva dubbi oggettivi: l’Ue non vincola i suoi membri da questo punto di vista e comunque non può includere Gb e Turchia, meglio quindi affidarci alla Nato, come ha fatto intendere oggi in una lettera al Corriere della sera. Peccato che a Istanbul regni un altro personaggio come Erdogan: quanto sia pericoloso lo vediamo in questi giorni con l’ennesima stretta autoritaria.