Vi racconto la storia di Zhao Weiguo, il re dei chip condannato a morte in Cina
Zhao Weiguo, ex leader di Tsinghua Unigroup, ha ricevuto una condanna a morte per la corruzione e gli altri crimini di cui è stato ritenuto colpevole dalle autorità cinesi. Perché la sua figura è così importante? L'analisi di Alessandro Aresu.

Zhao Weiguo, ex leader di Tsinghua Unigroup, ha ricevuto una condanna a morte per la corruzione e gli altri crimini di cui è stato ritenuto colpevole dalle autorità cinesi. Perché la sua figura è così importante? L’analisi di Alessandro Aresu
Il 14 maggio 2025, l’account social di People’s Daily China ha diffuso l’immagine di Zhao Weiguo in manette, dichiarando che l’ex leader di Tsinghua Unigroup ha ricevuto una condanna a morte, pur sospesa, per la corruzione e gli altri crimini di cui è stato ritenuto colpevole dalle autorità cinesi. La storia della sua incredibile ascesa e caduta meriterebbe senz’altro un film, o una serie tv, che con ogni probabilità non vedremo mai. Chi è Zhao Weiguo e perché racconta uno dei grandi temi del nostro tempo?
Nasce nel 1967 in Xinjiang da genitori che sono inviati lì in piena Rivoluzione Culturale e così trascorre i suoi primi anni lavorando come pastore e porcaro. La sua ascesa comincia con l’ammissione nel 1985 alla prestigiosa università Tsinghua. Dopo la laurea in ingegneria elettronica, opera nel polo tecnologico di Zhongguancun a Pechino, allora in forte crescita, ma anche in aziende coinvolte nel boom immobiliare. Nel 1993, torna a Tsinghua per un master in ingegneria elettronica, con specializzazione in telecomunicazioni e inizia a lavorare per un veicolo legato all’università, Tsinghua Unigroup, e per un’altra società affiliata all’università, in cui segue operazioni di fusioni e acquisizioni. L’ingegnere ed ex porcaro acquisisce poi una quota della stessa Tsinghua Unigroup attraverso le sue società finanziarie, e nel 2009 ne è nominato presidente e CEO. Tsinghua Unigroup, con la guida di questo singolare manager e il “marchio” prestigioso dell’università, diviene un attore di primo piano nella fase che si apre per Pechino nel periodo della Grande Recessione. È un periodo segnato dalla volontà crescente – e per qualche anno sottovalutata in Occidente – di crescere nelle filiere tecnologiche. In particolare, i semiconduttori, su cui Tsinghua Unigroup guida una campagna aggressiva e ambiziosa di acquisizioni, con decine di operazioni fino al 2019, che sono inserite in un preciso progetto politico-industriale.
La campagna di Tsinghua è anche favorita dalle politiche pubbliche cinesi, soprattutto con le risorse del National Integrated Circuit Industry Investment Fund, noto come Big Fund, e con il piano Made in China 2025 del 2015, che mette nero su bianco l’ambizione di un’autonomia e possibile autosufficienza nell’industria decisiva della vita digitale.
Tsinghua Unigroup, quindi, punta a fare scouting internazionale delle capacità di cui la Cina ha bisogno nei vari segmenti della filiera microelettronica, spesso realizzando acquisizioni senza valutazioni di mercato appropriate. Il veicolo contribuisce, nei primi anni ’10, alla crescita dell’industria fabless cinese. A metà degli anni ’10 è poi protagonista della fondazione di Yangtze Memory Technologies (YMTC) di Wuhan, con cui la Cina vuole superare il suo cronico ritardo nelle memorie. Tsinghua acquisisce tra l’altro Linxens, un produttore francese di componenti, e H3C Technologies, la divisione cinese di data-networking di Hewlett-Packard.
Soprattutto, l’attivismo di Tsinghua Unigroup, come ho ricordato nei miei libri “Il dominio del XXI secolo” e “Geopolitica dell’intelligenza artificiale”, è un campanello d’allarme per gli Stati Uniti. Il tentativo di acquisire il gigante statunitense delle memorie, l’azienda dell’Idaho Micron fondata coi capitali del “re delle patate”, naufraga, così come l’investimento in Western Digital attraverso una controllata, fino al caso di Lattice Semiconductor. Dal 2015 al 2017, il Committee on Foreign Investment in the United States (CFIUS) porta avanti una nuova politica, di mancate autorizzazioni e possibili divieti, segnalando il cambiamento della postura statunitense verso la geografia degli investimenti e portando a una maggiore diffusione internazionale di questi strumenti di controllo sulle acquisizioni estere. Nel 2015, proprio in riferimento all’attivismo di Tsinghua Unigroup anche a Taiwan, viene chiesto pubblicamente al re della produzione taiwanese dei semiconduttori, Morris Chang, se è disposto a vendere una quota ai cinesi, e lui risponde possibilista, dicendo che chi vuole una quota di TSMC, qualunque sia la sua nazionalità, dovrà però essere disposta a pagarla profumatamente. È un passaggio decisivo della guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina.
Dietro questa scalata, c’è però un castello di carte di investimenti improbabili, per esempio nell’immobiliare, tra emissioni di obbligazioni ed enormi debiti. Viene così svelato un gigantesco sistema predatorio e corruttivo di cui Zhao Weiguo è protagonista. Nel 2021 Tsinghua Unigroup finisce in un baratro finanziario e nel 2023 inizia formalmente il processo dell’ex re dei semiconduttori cinese, che porta il 14 maggio alla condanna a morte, con sospensione condizionale dell’esecuzione per due anni. La prassi cinese è che queste condanne siano commutate in ergastolo.
Zhao Weiguo ha fatto una brutta fine ma l’ecosistema cinese dei semiconduttori, col protagonismo di Huawei e altre realtà, ha fatto lo stesso enormi passi da gigante. La proprietà di Tsinghua Unigroup è passata a veicoli riconducibili allo Stato. Il cammino cinese dei semiconduttori non è interrotto nemmeno dai più eclatanti casi di corruzione e di sprechi.