Usa: ecco perchè una recessione non è così probabile

La recente flessione del mercato azionario statunitense sembra più una sana correzione che l'inizio di un mercato ribassista dettato dai timori di recessione", afferma Alberto Conca, gestore del fondo Zest Quantamental Equity di Zest,

Mar 25, 2025 - 18:46
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Usa: ecco perchè una recessione non è così probabile

La volatilità osservata nei mercati azionari nelle ultime settimane è stata in gran parte influenzata dalla comunicazione impetuosa e imprevedibile del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Le sue dichiarazioni contrastanti hanno alimentato l’incertezza tra gli investitori, generando preoccupazioni su una possibile recessione e rendendo difficile delineare una traiettoria economica chiara e stabile. Tuttavia, “la recente flessione del mercato azionario statunitense sembra più una sana correzione che l’inizio di un mercato ribassista dettato dai timori di recessione“, afferma Alberto Conca, gestore del fondo Zest Quantamental Equity di Zest, che di seguito spiega nei particari le ragioni della view.

Un elemento chiave a sostegno di questa tesi è la profonda trasformazione dell’economia statunitense dopo la pandemia di Covid-19, che l’ha resa significativamente meno sensibile all’andamento dei tassi di interesse rispetto al passato. L’ampio stimolo fiscale e il rifinanziamento diffuso dei mutui a tassi storicamente bassi hanno rafforzato la capacità di resilienza di consumatori e imprese, consentendo loro di affrontare meglio eventuali incrementi dei tassi.

Un ulteriore indicatore a supporto della bassa probabilità di recessione è la ripresa dell’indice PMI manifatturiero. L’indice globale ha superato la soglia critica dei 50 punti, che distingue la fase di espansione economica da quella di contrazione, e il numero di paesi in cui il PMI manifatturiero si attesta sopra i 50 punti è in aumento. La ripresa del settore manifatturiero è favorita dall’atteggiamento accomodante delle banche centrali globali, la maggior parte delle quali ha adottato politiche di allentamento monetario. Oltre l’80% delle banche centrali ha infatti ridotto i tassi di interesse nell’ultima riunione, un ulteriore segnale positivo per il ciclo manifatturiero.

Parallelamente, il settore dei servizi continua a dimostrare solidità, con una domanda di lavoro ancora robusta. Il mercato del lavoro statunitense resta resiliente, nonostante i recenti tagli occupazionali, dovuti in gran parte a licenziamenti governativi attuati dall’amministrazione Trump. L’unico comparto più debole è quello immobiliare, con le perdite occupazionali concentrate principalmente nei settori legati al settore Real Estate, in particolare nelle agenzie immobiliari e negli istituti di credito che emettono finanziamenti a imprese e consumatori. L’aumento dei tassi ha infatti inciso sul mercato immobiliare negli ultimi due anni, tuttavia, rimane relativamente solido, sostenuto da una domanda strutturale ancora elevata.

Un ulteriore fattore che potrebbe contribuire a ridurre l’incertezza sui mercati finanziari è l’andamento dell’indice US Breakeven a 5 e 10 anni, che riflette le aspettative di inflazione media annua nei prossimi anni. Dopo aver raggiunto un picco a inizio anno, questi indicatori sono tornati a scendere, scongiurando il rischio di una nuova impennata inflazionistica. Tre fattori principali spiegano questa tendenza: la crescita salariale sta rientrando in un’area non inflazionistici (circa il 4% annuo), il mercato immobiliare (in particolare il segmento degli affitti) sta mostrando segnali di stabilizzazione, e i prezzi del petrolio – una variabile chiave per l’inflazione – sono in calo. Storicamente, l’inflazione non accelera senza un aumento del prezzo del petrolio, e la tendenza attuale conferma questo quadro.

Considerando la ridotta sensibilità dell’economia ai tassi di interesse, la ripresa del settore manifatturiero, la solidità dei servizi e la resilienza del mercato del lavoro, la probabilità di una recessione negli Stati Uniti appare inferiore a quanto indicato dai modelli tradizionali.

L’analisi condotta dalla società indipendente Ned Davis, basata su dati storici dal 1928 al 2024, mostra la performance media dell’S&P 500 equipesato, tenendo conto delle performance annuali, del primo anno di ogni ciclo presidenziale e del quinto anno di ogni decennio. Se questa tendenza si ripetesse nel 2025, la correzione registrata dall’inizio di marzo potrebbe rientrare nella normale stagionalità dell’indice, che storicamente tra marzo e aprile si muove lateralmente o leggermente al ribasso, per poi riprendere la crescita. L’analisi suggerisce che l’S&P 500 potrebbe chiudere l’anno con un incremento intorno al 10%.

Questa ipotesi è supportata anche dalla revisione al rialzo delle stime sugli utili per azione (EPS) delle società dell’S&P 500 negli ultimi sei mesi, con un’accelerazione significativa della crescita annualizzata degli EPS negli ultimi cinque anni. Inoltre, il ROE (Return on Equity) dell’indice si attesta su livelli storicamente elevati. In virtù della composizione dell’indice, si può stimare una crescita degli utili compresa tra il 10% e il 12%, un elemento che potrebbe sostenere la ripresa dei mercati nei prossimi mesi.