Un primo bilancio della geopolitica di Francesco
Mentre Papa Francesco è ricoverato, il caos mondiale tocca nuovi vertici. Valutare la strategia globale del Vaticano con Bergoglio, però, non è facile. Estratto da Appunti di Stefano Feltri.

Mentre Papa Francesco è ricoverato, il caos mondiale tocca nuovi vertici. Valutare la strategia globale del Vaticano con Bergoglio, però, non è facile. Estratto da Appunti di Stefano Feltri
Diciamo che il tempismo è stato pessimo. Certo, papa Francesco ha 88 anni, e la sua salute è da tempo problematica, ma in questo momento la sua polmonite e il suo ricovero all’ospedale Gemelli di Roma assumono una rilevanza anche simbolica.
Nel momento di massima incertezza geopolitica, di suprema confusione morale, con Donald Trump che chiama il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “dittatore”, che attribuisce all’Ucraina le colpe della guerra e lavora per riabilitare la Russia, ecco, in un momento così il Papa è fuori gioco mentre in Vaticano si discute del prossimo conclave.
Intendiamoci, il Papa nella gestione della crisi ucraina non è stato particolarmente efficace, le sue posizioni sono sembrate spesso dettate più da reazioni umorali agli eventi che da una strategia precisa.
Ma proprio per questo, perché condivide con Donald Trump una gestione molto personale e imprevedibile del potere, avere Francesco in piena condizione in questo momento avrebbe potuto generare qualche spiraglio inatteso se non su un piano diplomatico, almeno su quello umano, etico.
Il Papa nella guerra
Nella Pasqua del 2022 papa Francesco ha portato in processione, durante la via Crucis, una famiglia ucraina e una russa, un invito a non perdere la compassione neppure verso i nemici che però è stato letto dai critici come un’equiparazione tra aggredito e aggressore.
Poche settimane dopo, a maggio 2022, ancora nel primo anno di guerra, Francesco definisce il patriarca ortodosso Kirill “chierichetto di Putin”. Kirill è un pezzo del potere del Cremlino e si è prestato a trasformare una guerra di aggressione in una specie di crociata per difendere i valori ancestrali della Russia dall’assedio della modernità occidentale.
Sempre in quei giorni, però, il Papa parla anche della Nato che “abbaia” alle porte della Russia, quasi a giustificare il senso di accerchiamento di Putin e quindi a validare una parte fondamentale della narrazione Russia che presenta l’attacco all’Ucraina come una difesa dalla pressione militare degli Stati Uniti nell’area.
A ottobre 2024, però, il Papa ha ricevuto per la terza volta in Vaticano Zelensky, mentre con Putin non ci sono state interlocuzioni dirette. Quelle diplomatiche con la Russia, affidate al cardinale Matteo Maria Zuppi presidente della Cei, non hanno portato a molto.
Insomma, l’azione geopolitica del Papa è segnata da una certa imprevedibilità e forse dall’assenza di una strategia. Anche se in un libro recente per Marsilio, L’Atlante di Francesco, il gesuita Antonio Spadaro ha suggerito un quadro più coerente di quello che di solito viene percepito.
Secondo Spadaro, “per Francesco il compito della Chiesa non è quello di adattarsi alle dinamiche del mondo, della politica, della società, per puntellarle e farle sopravvivere alla meno peggio, questo è da lui giudicato mondanità”.
Francesco non aderisce neppure, però, a un rifiuto del contingente perché proiettato su una “apocalisse agognata”.
Non cerca di “eliminare il male” – scrive Spadaro – cerca piuttosto di “neutralizzarlo, proprio qui sta la dialettica dell’azione bergogliana”.
Come spesso accade alle sottigliezze vaticane, non è facile capire cosa intendano Spadaro e Francesco. Provo a fare io una sintesi brutale: Francesco non aderisce a una visione strategica univoca, che porterebbe il Vaticano a stare con qualcuno e contro qualcun altro, con l’Ucraina contro gli Stati Uniti, o con pezzi di Europa contro altri pezzi d’Europa.
Anche in quanto Papa che arriva dalla “fine del mondo”, Francesco tiene un altro approccio, meno collaterale al potere temporale dei vari governi con cui interagisce.
Per secoli la Chiesa ha avuto una sua dottrina della guerra, alcune erano giuste e legittime o perfino sante, altre esecrabili. Francesco sceglie una posizione altra: la Chiesa non si schiera, la Chiesa condanna la violenza, respinge la realpolitik che considera la guerra parte delle cose umane e uno strumento per raggiungere obiettivi materiali, questo è il rifiuto della “teologia della prosperità”.
Per citare ancora Spadaro, papa Bergoglio si affida alla “teologia della misericordia” che ha il potere di “cambiare i processi storici”. Tradotto: il Papa si muove in una dimensione umana, si affida all’azione dei singoli individui, e non in una dimensione geopolitica che riguarda gli Stati, gli eserciti, le istituzioni sovranazionali.
Primi bilanci
Se questa strategia sia una approccio realistico del Vaticano alle relazioni internazionali, in un’epoca in cui il potere di incidere è minore, o un errore storico che certifica la rinuncia a una ambizione di influenza sulle crisi globali è questione che si può discutere
Manlio Graziano è un analista di geopolitica di Sciences Po a Parigi, firma di Appunti. Si è occupato a lungo della geopolitica delle religioni, per il Mulino ha pubblicato Geopolitica delle religioni, per Laterza Il secolo cattolico. Il Vaticano nel tempo di papa Francesco è ancora a modo suo una superpotenza geopolitica senza eserciti?
La Chiesa è comunque una potenza mondiale, chiunque la diriga. È una potenza mondiale perché ha un’esperienza accumulata che è incomparabile con qualunque altro tipo di istituzioni, di organizzazione.
Ha un radicamento anch’esso unico, con tutta la rete di parrocchie sparse per tutto il mondo ed è appunto questa estensione mondiale che la caratterizza e quindi questo gli dà anche la possibilità di avere una grande influenza politica.
Però la Chiesa di Bergoglio è sicuramente meno potente di quella di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per due ragioni, prima perché i tempi sono cambiati e poi perché il Papa è cambiato.
La tradizione anche recente, Wojtyła, di Ratzinger ma anche di Paolo VI era che la Chiesa doveva andare controcorrente, in una società secolarizzata si può fare politica soltanto andando controcorrente, offrire una prospettiva non soltanto diversa ma distintiva, unica, che possa dire io scelgo questa perché dice le cose diverse da tutti gli altri.
L’idea che tra l’altro Benedetto XVI ha anche spiegato molto in dettaglio è che la Chiesa deve essere controversa, deve scandalizzare, mentre a Bergoglio da quello che ho capito piace piacere, molte prese di posizione sono che vanno col tempo, mentre la Chiesa deve andare contro il tempo.
E quali sono le caratteristiche della geopolitica vaticana di Bergoglio rispetto ai predecessori?
C’è una continuità nel suo pontificato che è quella sulla campagna natalista, è una campagna che è nata con Paolo VI sostanzialmente, una campagna antimaltusiana che lui ha reso molto clamorosa con la sua incittiva contro la contraccezione ma che oltre alla questione della contraccezione si è basata su una battaglia contro il divorzio, contro l’aborto, contro l’omosessualità, tutto quello che potrebbe essere da ostacolo allo sviluppo della specie, perché la Chiesa si è accorta per prima che c’era una crisi demografica in vista e quindi ha preso le sue contromisure e ha fatto su questo delle campagne controcorrente.
Su questo Bergoglio è in linea di continuità perché nonostante che non faccia la battaglia sui principi che non possono essere contestati, lui ha spostato l’obiettivo sull’immigrazione, perché si è accorto che le campagne sull’aborto non servono ad incrementare le nascite e mentre oggi il problema della demografia deve essere affrontato anche grazie all’immigrazione, quindi ha scelto questo tema in continuità.
Non è soltanto il Papa a essere cambiato, ma sono cambiati i tempi, all’epoca di Wojtyła in particolare, ma anche prima, la Chiesa e la religione più in generale offrivano delle certezze della stabilità.
Oggi non bastano più perché la crisi è talmente forte che neanche la Chiesa basta più, tra l’altro questo ha fatto sì che la stessa Chiesa si sia trovata in difficoltà perché molti dei suoi settori hanno preferito scegliere le soluzioni più facili che sono quelle del populismo e abbiamo avuto per tre elezioni consecutive la maggioranza dei cattolici americani che ha votato per Donald Trump, per esempio, contro l’indicazione del Papa. Questo è un problema che secondo me i successori di Bergoglio dovranno affrontare.
C’è poi una dimensione molto specifica della geopolitica papale che riguarda il dialogo con le altre chiese cristiane e tra religioni.
Riccardo Cristiano è un giornalista esperto di Medio Oriente, a lungo vaticanista, oggi firma di Appunti e di Settimana News. Che cosa ha rappresentato fin qui il papato di Bergoglio per il dialogo all’interno del mondo cristiano e con le altre grandi religioni?
Il contributo assai fruttuoso che Papa Francesco ha dato al dialogo soprattutto con l’Islam è stato quello di renderlo un processo artigianale. Per questo l’aiuto primo che può dare oggi è quello di guarire, perché l’artigianato si fa in piccole botteghe con le proprie qualità.
La grande qualità che ha fatto fare un salto al dialogo con l’Islam, a mio avviso, origina nel suo non essere europeo e questo gli ha consentito di perseguire la stessa agenda di Papa Ratzinger, cioè di porre al centro la pari cittadinanza nei Paesi a maggioranza islamica, non finendo incagliato però nella trappola dell’equivoco euro-arabo maestro di scepolo, quello che un secolo fa creò l’idea tra gli arabi credenti di colonizzazione culturale.
Il tratto personale e la storia latino-americana lo hanno mostrato come un artigiano estraneo alla storia colonialista, che è europea non cristiana.
Eccoci così alla trasformazione dell’imam dell’università islamica del Cairo in un amico che ha firmato la dichiarazione sulla fratellanza che sceglie la pari cittadinanza, obiettivo storico della Santa Sede. Di qui è arrivata la dichiarazione di Giacarta che ha esteso il discorso al di là dei confini che furono ottomani.
E per quanto riguarda le interazioni con Chiese cristiane non cattoliche?
Il dialogo con le altre chiese cristiane ha dato frutti e avrà nei prossimi mesi un appuntamento cruciale al quale Bergoglio vuole partecipare e se riuscirà a fissare una data comune per la Pasqua sarà un passo enorme.
Ma si vedono evidenti anche le difficoltà, l’incomprensione di fondo con il Patriarca di Mosca, in un Papa che non è certo antirusso, il famoso Chierichetto di Putin, il simbolo di un problema con la religione non libera da lacci con poteri nazionali.
Il duro confronto con il vicepresidente USA, JD Vance, al quale il Papa ha risposto fermamente su cosa sia l’amore cristiano indica il nuovo terreno di confronto nel nome di un amore che non può fermarsi ai confini patri.
Non è ancora tempo per un bilancio definitivo di questo papato, neppure nella sua dimensione geopolitica.
Ma di sicuro anche le scelte di papa Francesco fin qui hanno contribuito a consolidare la consapevolezza che in questo nuovo disordine mondiale nessuno è in grado di determinare, da solo, la traiettoria degli eventi. Neppure se, come nel caso di Francesco, è uno degli ultimi sovrani con un potere quasi assoluto e con una influenza globale che va ben oltre i soli cattolici.