Troppi punti deboli nei piani di transizione climatica delle grandi banche europee

Uno studio di Reclaim Finance descrive come parziali, inefficaci e deboli i piani di transizione climatica delle venti banche europee sistemiche L'articolo Troppi punti deboli nei piani di transizione climatica delle grandi banche europee proviene da Valori.

Mag 14, 2025 - 07:44
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Troppi punti deboli nei piani di transizione climatica delle grandi banche europee

A roadmap to nowhere, un piano che non porta da nessuna parte. Così la Ong Reclaim Finance ha intitolato un rapporto che analizza i piani di transizione climatica delle venti più grandi banche europee e britanniche. Potrà sembrare un giudizio fin troppo lapidario. Ma i voti attributi agli istituti, sulla base di sessanta diversi criteri valutati e ponderati uno per uno, dicono proprio questo. Che questi piani esistono ma non sono solidi, non sono credibili, non sono incisivi. Le grandi banche dunque si sono impegnate a fare la loro parte per gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e l’azzeramento delle emissioni ma, per ora, le loro sembrano soltanto parole.

L’analisi dei piani di transizione climatica di 20 grandi banche

Lo studio di Reclaim Finance prende in esame venti banche di importanza sistemica, tra cui le inglesi Barclays e Hsbc, l’olandese Ing, le francesi Bnp Paribas e Crédit Agricole. Per l’Italia ci sono Intesa Sanpaolo e Unicredit. Messi insieme, i loro asset superano i 26mila miliardi di euro. Ad esclusione della tedesca DZ Bank, tutte fanno parte della coalizione internazionale per il clima Net Zero Banking Alliance (Nzba). Per valutare ogni parametro, i ricercatori si sono affidati ai documenti pubblicati dalle banche stesse: non soltanto i piani di transizione climatica propriamente detti ma anche bilanci integrati, note metodologiche e così via.

Il punteggio complessivo che ne emerge è ben poco lusinghiero. Su una scala da zero a cento, si va da un minimo di 26,3 punti per DZ Bank a un massimo di 55,6 per La Banque Postale. Unicredit è nona con 42,1 punti e Intesa Sanpaolo quattordicesima a quota 38. La media delle venti banche è di appena 41 punti, una sonora insufficienza, e solo Ing – insieme alla già citata La Banque Postale – supera i 50.

Per giunta, in un certo senso queste valutazioni sono gonfiate. I sessanta parametri sono infatti suddivisi su cinque pilastri: le banche incassano i voti più alti su quello relativo a Reporting e governance, con una media di 70/100. In sostanza, le banche si concentrano sulla rendicontazione perché a chiederlo sono i regolatori e il mercato. Viceversa, sono molto più titubanti quando devono abbattere il proprio impatto negativo su clima e biodiversità. Tant’è che la media scende visibilmente (29 punti su 100) quando si passa al pilastro Strategia di decarbonizzazione che comprende, ad esempio, le restrizioni ai finanziamenti alle fonti fossili. E ancor più al pilastro Strategia di engagement (20 punti), con i tentativi di spingere i clienti a decarbonizzare.

Con il pacchetto Omnibus il quadro potrebbe peggiorare ulteriormente

Risultati che a un primo sguardo possono stupire, visto che le banche hanno iniziato già da diversi anni ad annunciare obiettivi settoriali di decarbonizzazione. Il problema sta nel fatto che, spiega il report, «questi restano in gran parte nebulosi e non possono essere messi in relazione né con una reale riduzione delle emissioni nell’economia reale, né con traiettorie emissive compatibili con l’obiettivo di 1,5 gradi centigradi». Sono inoltre «compromessi da un’opacità persistente e da gravi difetti strutturali (ad esempio copertura parziale, metriche inadeguate, ecc.)». Mancano in particolare le strategie per raggiungerli, questi obiettivi. Tanto più perché le banche continuano a garantire sostegno finanziario al settore dei combustibili fossili, apertamente incompatibile con qualsiasi intento di ridurre le emissioni. L’eccezione in positivo è La Banque Postale, le cui politiche di esclusione e dismissione di carbone, petrolio e gas risultano convincenti.

Ma addirittura la rendicontazione, cioè l’ambito su cui le banche si stanno comportando meglio, sconta grossi limiti. Perché «è spesso frammentaria, copre di norma solo alcune metriche e si riferisce esclusivamente all’anno di reporting». Non è detto che il top management sia coinvolto nella strategia climatica, né che i suoi obiettivi siano correlati agli incentivi in termini di retribuzione. C’è di più. Il pacchetto Omnibus proposto dalla Commissione europea snellisce e annacqua molti requisiti della Csrd, la direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità a cui si devono attenere sia le banche sia le società da esse finanziate. Se verrà approvato in questa forma, per le imprese non finanziarie soggette alla due diligence (Csddd) verrà anche meno l’obbligo di attuare i piani di transizione climatica. Potranno limitarsi ad adottarli formalmente, senza dover dimostrare di aver agito davvero.

La Banca centrale europea continua ad accettare asset fossili come garanzie

Un altro studio pubblicato sempre da Reclaim Finance insieme a Urgewald si concentra invece sulla Banca centrale europea. In particolare sulle tipologie di asset che accetta come garanzie da parte delle banche quando concede loro dei prestiti. Di norma si tratta di obbligazioni societarie, titoli di Stato e così via. Nel suo Piano d’azione per il clima, che risale al 2021, la Bce si era data la priorità di integrare considerazioni legate al clima nella scelta delle garanzie ammissibili. Così non è stato: la misura è rimasta soltanto una proposta, poi accantonata nel 2024.

Si arriva così alla paradossale situazione per la quale, tra luglio 2024 e marzo 2025, la Banca centrale europea ha aggiunto alla sua lista di garanzie ammissibili gli asset provenienti da nove aziende legate ai combustibili fossili. Nomi come Eni, Bp, TotalEnergies, Repsol. Per un valore di finanziamenti che sfiora i 13 miliardi di euro. Nell’elenco figurano titoli di debito con una scadenza che arriva addirittura a vent’anni. Il che trasmette un messaggio pericoloso: quello per cui le società dell’oil&gas, principali responsabili del riscaldamento globale, siano solide, affidabili e finanziabili.

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