Lucio Corsi, l’essenzialità come dono per l’Eurovision

Ci siamo: Lucio Corsi si è svelato all’Europa, con la sua celebre “Volevo essere un duro”. Una performance pura, essenziale e necessaria per presentarsi fuori concorso nella prima semifinale dell‘Eurovision 2025. La contrapposizione come strumento e chissà, come ricetta magica per un podio internazionale. Infatti l’artista toscano non si snatura per la grande manifestazione europea, […] The post Lucio Corsi, l’essenzialità come dono per l’Eurovision appeared first on Indielife.it - Magazine indipendente dedicato agli artisti emergenti.

Mag 14, 2025 - 17:04
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Lucio Corsi, l’essenzialità come dono per l’Eurovision

Ci siamo: Lucio Corsi si è svelato all’Europa, con la sua celebre “Volevo essere un duro”. Una performance pura, essenziale e necessaria per presentarsi fuori concorso nella prima semifinale dell‘Eurovision 2025. La contrapposizione come strumento e chissà, come ricetta magica per un podio internazionale. Infatti l’artista toscano non si snatura per la grande manifestazione europea, anzi sbalordisce proprio per la sua coerenza stilistica e musicale che lo ha portato alla ribalta durante questi mesi.

Nessun ballerino, nessun suono tecnologico, nessun effetto speciale fantascientifico: Lucio Corsi abilita anche dal punto di vista coreografico, una “debolezza” marcata rispetto alle altre scuderie, per valorizzare forse l’aspetto piu debole della stragrande maggioranza degli artisti in gara: la poetica.

Il testo di “Volevo essere un duro” diventa infatti centrale per tutta l’esibizione svizzera, internazionalizzandosi soltanto dal punto di vista grafico, dal momento che è stato tradotto in inglese nel sottopancia dei nostri devices. Un’esperienza anacronistica affianco al suo collega Tommaso Ottomano, che riporta l’ascoltatore a una fase sempre più ghettizzata: la riflessione.

Mettici poi un color seppia come filtro, due amplificatori alle spalle dei cantanti e l’uso di tre strumenti musicali suonati dal vivo (ai limiti del regolamento EBU) e ci ritroviamo di fronte un live anni ’70, in linea con l’outift del nostro Pierrot toscano. Un’esibizione sulla falsariga del Festival di Sanremo, che si concretizza con quegli strumenti nazional-popolari che ci riportano a quella fase cantautorale che ha fatto sognare per decenni il nostro Paese.

Sará la scelta giusta? Non possiamo saperlo, ma quel che conta è aver ritrovato finalmente onestà intellettuale e dignità artistica, in un’epoca sempre più liquida e povera di contenuti!

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