The Last of Us 2×02 – Il momento che tutti stavamo aspettando
ATTENZIONE: seguiranno spoiler sul secondo episodio di The Last of Us 2 Quando si attende un evento narrativo già noto, la tensione si nutre del come, più che del cosa. La seconda puntata della nuova stagione di The Last of Us ha risposto esattamente a questa logica, costruendo intorno alla morte di Joel un racconto che, pur… Leggi di più »The Last of Us 2×02 – Il momento che tutti stavamo aspettando The post The Last of Us 2×02 – Il momento che tutti stavamo aspettando appeared first on Hall of Series.

ATTENZIONE: seguiranno spoiler sul secondo episodio di The Last of Us 2
Quando si attende un evento narrativo già noto, la tensione si nutre del come, più che del cosa. La seconda puntata della nuova stagione di The Last of Us ha risposto esattamente a questa logica, costruendo intorno alla morte di Joel un racconto che, pur essendo annunciato e quasi obbligato, si veste di una sorprendente e devastante intensità emotiva.
La forza di questo episodio sta nel modo in cui sceglie di accompagnarci verso l’inevitabile. Non c’è nulla di rassicurante nelle prime sequenze: siamo subito immersi in un’atmosfera crepuscolare, dove ogni piccolo dettaglio urla il suo presagio. Joel è già “fuori dallo schermo” (off-screen) dai primi minuti della puntata, in avanscoperta con Dina, come a sancire la profezia d’assenza che di lì a poco è destinata a manifestarsi categorica e definitiva. Sono attimi brevi e apparentemente insignificanti, che nascondono però un’indicibile bellezza malinconica, quelli che scandiscono i preparativi dell’operazione di soccorso imbastita da Ellie e Jesse, ancora inevitabilmente ignari del peggio.
È anche nella consapevole assenza che il personaggio di Pedro Pascal incarna perfettamente quel surrogato di figura paterna che si sta congedando. Una progressione che prepara il terreno già nel primo episodio (qui trovi la nostra recensione), nel modo in cui Joel evita di guardare Ellie negli occhi mentre prova a prometterle che tutto andrà bene, mentre prova ancora una volta a “impadronirsi” del diritto di protezione che la ragazza ha rinnegato ormai da tempo.
Come cambiano le sensazioni dello spettatore, rispetto al videogioco?
Ma è nella brutalità di quella che sarà (o forse no?) la scena clou della stagione che l’episodio raggiunge il suo apice tragico. La scelta registica è tanto precisa e spietata quanto diversa da ciò cui è pronto da tempo lo spettatore videogiocatore. The Last of Us ha già dimostrato la scelta di non esitare mai a soffermarsi sui dettagli più duri, scegliendo volutamente di privare lo spettatore di ogni scudo emotivo. Una caratteristica tipica anche del gioco, che da questo punto di vista è estremamente rispettato per quanto abbia nelle caratteristiche intrinseche del medium alcuni tratti intrasmissibili tramite trasposizione in serie tv.
Intrasmissibile è infatti il point of view, che nel gioco varia con una crudeltà ambigua e (piacevolmente) irrispettosa, costringendo il videogiocatore a “essere” Abby ed Ellie, a due tempi e parallelamente, ingannando quasi a tratti sulla legittimità delle azioni che il videogiocatore stesso compie. Lasciando quest’ultimo a chiedersi per chi stia realmente combattendo. La sequenza in cui Joel viene ucciso non concede alcun sollievo allo spettatore, com’è ovvio che sia, nel gioco come nella serie. Nel primo caso, tuttavia, questo genera un paradosso: le azioni compiute dallo stesso videogiocatore, nelle quali si è immerso e per le quali si è impegnato, sono finalizzate al raggiungimento di un obiettivo che, sorprendentemente, è in antitesi con le volontà del giocatore stesso.
Un paradosso che non può che mancare nella serie, in cui lo spettatore percepisce stupore e dolore, ma non senso di colpa. Eppure, l’impermeabilità di alcune emozioni è chiara ed evidente anche dal montaggio televisivo. La macchina da presa si concentra a lungo sul volto devastato di Ellie, sulle sue grida disperate e inascoltate, in un montaggio serrato che alterna le immagini della violenza sul corpo inerme di Joel con il dolore straziante di Ellie che, impotente, assiste all’orrore. Abby prende la mira, punta al collo di Joel. Poi è silenzio, perché un cambio del punto di vista se lo concede anche la serie, ed è quello più tragico e doloroso possibile: lo spettatore diventa Joel. Dapprima quasi stremato, poi ancora muto, sordo di emozioni.
Ellie ed Abby, le due “nuove” protagoniste della serie
Alla tanto criticata Bella Ramsey, in questo episodio, vanno fatti i complimenti a conferma del fatto che le doti recitative e l’empatia col personaggio non siano in dubbio. Il passaggio che compie Ellie, dal panico alla rabbia fino alla quieta disperazione, è raccontato con un’interpretazione di rara intensità, capace di trasmettere un intero universo emotivo senza bisogno di parole ma con un semplice sguardo. Nel bene e, soprattutto, nel male, com’è sempre stato tra Ellie e Joel, e come sarà nel loro ultimo incrocio di sguardi attraverso il quale passano veloci i rimpianti di promesse attese ancora ignote allo spettatore. Il momento in cui gli uomini di Abby trascinano via Ellie, impotente, segna una rottura definitiva: è la morte dell’innocenza, il doloroso abbandono della sicurezza costruita faticosamente nel legame – anche conflittuale – con Joel.
Curiosa si è rivelata la gestione di Abby, il cui arco narrativo era stato già sorprendentemente svelato dopo il primo episodio (operazione in antitesi col colpo di scena del videogioco). La serie sceglie di mostrarci da subito e con attenzione i suoi dubbi, la sua paura e persino la sua fragilità, sottolineando come dietro ogni atto di violenza ci sia sempre una complessa stratificazione di motivazioni. Abby qui viene presentata come antagonista, più che come specchio deformato di Ellie, eppure è ciò che sono, o meglio che diventeranno: l’una il riflesso dell’altra. Entrambe mosse dal dolore, entrambe spinte a una violenza che sembra inevitabile.
È nella scena del confronto finale tra Abby e Joel che si può quasi notare come non ci sia odio in Abby (e ce ne renderemo conto sempre più, strada facendo, anche nella serie). Non completamente, almeno, piuttosto un miscuglio amaro di vendetta e disperazione, una sorta di inspiegabile atto necessario e inderogabile da portare a compimento per “ristabilire l’equilibrio delle cose”. Nella serie, questa deriva autodistruttiva è anticipata dal monologo stesso di Abby, poco prima di colpire Joel, che sottolinea “non importa che si abbia un codice o meno, ci sono cose che sono semplicemente sbagliate”.
HBO ci ha messo la sua proverbiale impronta
Il comparto tecnico di questa 2×02 di The Last of Us è semplicemente impeccabile: la fotografia è fredda, quasi glaciale, perfetta per veicolare il senso di perdita e isolamento emotivo. La colonna sonora che si conclude con “Through the Valley” di Ashley Johnson (che nel videogame è il volto di Ellie) accompagna magnificamente il dolore dei personaggi, con note che sembrano quasi lamenti lontani. Sottolineando il vuoto lasciato non solo dalla morte di Joel, ma anche dalla desolazione di Jackson dopo l’assedio alle mura della città.
Un conflitto, quest’ultimo, assente nel videogioco, ma che contribuisce ad arricchire la narrativa con dinamismo tragico, intervallando fasi di dolore con i virtuosismi tecnici e gli effetti speciali degni della migliore HBO, offrendo già a The Last of Us la sua piccola versione della “battaglia oltre la barriera” di Game of Thrones. E, al netto di ogni qualsivoglia paragone, con un altro episodio potente, doloroso e tremendamente bello nella sua capacità di ferire (e uccidere), The Last of Us si sta certamente mostrando un’opera autonoma, matura e profonda, seppur rispettosa dell’opera originale.
Quella che più della morte ha fatto dell’assenza il tema principale.
Che più dei conflitti ha sottolineato i silenzi.
Che più di quella dei fatti, ha sottolineato la gravità delle bugie.
La storia che più dell’esito dei legami, ha sottolineato l’importanza delle intenzioni e delle promesse. Come quella di Ellie a Joel, che gli ostinati silenzi hanno reso eternamente incompiuta.
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