Suicidio assistito, Marco Cappato rischia il processo per aver aiutato Massimiliano a morire in Svizzera: l’imputazione coatta

Insieme al tesoriere dell'Associazione Coscioni anche Felicetta Maltese e Chiara Lalli che accompagnarono il 44enne toscano malato di sclerosi multipla in una clinica privata svizzera L'articolo Suicidio assistito, Marco Cappato rischia il processo per aver aiutato Massimiliano a morire in Svizzera: l’imputazione coatta proviene da Open.

Mar 24, 2025 - 17:56
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Suicidio assistito, Marco Cappato rischia il processo per aver aiutato Massimiliano a morire in Svizzera: l’imputazione coatta

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La giudice per le indagini preliminari (gip) di Firenze ha respinto la richiesta di archiviazione e disposto che il pubblico ministero formuli l’imputazione coatta a carico di Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese, indagati per aver aiutato Massimiliano, un 44enne toscano affetto di sclerosi multipla a raggiungere la Svizzera per accedere alle procedure di suicidio assistito. Per la gip De Girolamo, secondo quanto riporta l’Associazione Luca Coscioni, Massimiliano non era mantenuto in vita da un trattamento di sostegno vitale, ovvero una delle condizioni definite dalla Corte costituzionale per poter accedere al suicidio assistito. In sintesi, la gip – che ha ritenuto che non sussistessero tutte le condizioni di non punibilità del fine vita – ha imposto alla procura di esercitare l’azione penale. Toccherà ora alla giudice per l’udienza preliminare decidere se mandare i tre a processo. Il reato per aiuto al suicidio è punito da cinque a dodici anni di carcere. La giudice ha inoltre rilevato che, come stabilito nella sentenza n° 135 del 2024, la Consulta ha sottolineato la necessità di una valutazione da parte di una struttura pubblica del sistema sanitario nazionale. In altre parole, ai fini di stabilire se Massimiliano rientrasse nei requisiti previsti dalla legge italiana, «si nega l’equivalenza della verifica delle condizioni del paziente fatta in Svizzera rispetto a una verifica fatta in Italia».

Cappato: «La nostra è stata un’azione di disobbedienza civile»

Nel 2022, Maltese e Lalli si erano autodenunciate ai carabinieri di Firenze dopo aver accompagnato Massimiliano in Svizzera. Insieme a loro, anche Cappato – a cui si era rivolto l’uomo che da 6 anni conviveva con la sclerosi multipla e che in un messaggio aveva chiesto di «essere aiutato a morire a casa mia». Il 44enne da un paio di anni soffriva terribilmente a causa della sua malattia. «Ho iniziato a documentarmi su internet su metodi di suicidio indolore», diceva nel suo appello per poter ricorrere al suicidio assistito. «Perché non posso farlo in Italia, a casa mia o in ospedale, con i parenti, gli amici vicino? No, devo andarmene in Svizzera». «La nostra è stata un’azione di disobbedienza civile: con Chiara Lalli e Felicetta Maltese ci eravamo autodenunciati perché eravamo, e siamo, pronti ad assumerci le nostre responsabilità, nel pieno rispetto delle decisioni della magistratura, e nella totale inerzia del Parlamento», afferma Cappato dopo la pronuncia della giudice. I tre, fanno sapere, continueranno la loro «azione» fino a quando «non sarà pienamente garantito il diritto alla libertà di scelta fino alla fine della vita, superando anche le discriminazioni oggi in atto tra malati in situazioni diverse».

Foto copertina: ANSA / Alessandro Di Marco | Marco Cappato durante la conferenza stampa sulla proposta di legge di iniziativa popolare sul suicidio assistito, 20 febbraio 2024

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