Intervista ai Negrita: “Eravamo entrati in un tunnel di modernità che non ci rendeva felici”

Intervista ai Negrita che tornano sulla scena con un nuovo album di inediti, "Canzoni per anni spietati", che arriva a 7 anni dal precedente L'articolo Intervista ai Negrita: “Eravamo entrati in un tunnel di modernità che non ci rendeva felici” proviene da imusicfun.

Mar 28, 2025 - 11:46
 0
Intervista ai Negrita: “Eravamo entrati in un tunnel di modernità che non ci rendeva felici”

Intervista ai Negrita che tornano sulla scena musicale con un nuovo album di inediti, Canzoni per anni spietati, che arriva a 7 anni dal precedente. Qui il link per l’acquisto.

Il disco segna un’ulteriore evoluzione nel sound della band. Dopo anni di successi e sperimentazioni, i Negrita continuano a reinventarsi, pur mantenendo intatta la propria identità rock, questa volta arricchita da una forte attitudine folk.

In questa intervista, i Negrita raccontano la genesi del disco, le ispirazioni dietro i brani e il loro rapporto con il pubblico.

Intervista ai Negrita sul nuovo album “Canzoni per anni spietati”

“Canzoni per anni spietati” è davvero un gran disco. Avete anche voi la consapevolezza di aver portato a casa un ottimo lavoro? Durante la composizione avete trovato difficoltà nel fotografare questo periodo storico.

Sì, ci siamo resi conto che stavamo creando qualcosa di folle dal punto di vista creativo, perché è un disco che va al di là delle logiche di mercato. Per noi era l’unico modo di manifestarci come musicisti. Se non avessimo scritto questo tipo di disco, probabilmente avremmo preferito non fare nulla. Ci siamo stupiti da soli e questo ci ha dato la spinta per lavorare. La composizione è stata rapida, poi abbiamo lavorato per dare al disco il suono Negrita, partendo da una base folk con chitarra acustica e voce.

Avete avuto il coraggio di accollarvi il rischio che il disco potesse non funzionare.

Assolutamente sì. Ma quando senti che le cose che scrivi hanno significato e possono parlare anche agli altri, allora accetti volentieri il rischio. Non siamo mai stati un gruppo barricadero, ma neanche pavidi. Abbiamo sempre avuto coraggio. Il nostro primo singolo del 1994, Cambio, parlava di un cambio di mentalità, e da allora abbiamo sempre mantenuto un’attenzione sia al sound che ai temi trattati.

Nella vostra carriera avete esplorato tante sonorità, ma mantenendo sempre un’impronta riconoscibile. Come ci siete riusciti?

Siamo voraci appassionati di musica e abbiamo sviluppato un nostro lessico musicale fin dal primo album. Certo, ci ispiriamo ai nostri maestri, ma alla fine ognuno di noi porta qualcosa di personale. Studiando i grandi artisti, impari che la cosa più importante è essere se stessi e vivere la musica con intensità.

In questo album avete fatto un passo indietro, tornando all’essenza e abbandonando l’elettronica.

Non è stato un atteggiamento snob, è stata una scelta spontanea. Eravamo entrati in un tunnel di modernità che non ci rendeva felici e neanche la musica che ne usciva era convincente. Se dobbiamo essere onesti, in questo disco ci sono brani migliori rispetto agli ultimi quattro o cinque messi insieme.

Parliamo del brano “Ama o lascia stare”, che ha un groove funky con un’atmosfera particolare.

Sì, quel pezzo ha un’anima latina, con una chitarra acustica che parte dall’Andalusia e diventa funky. C’è la volontà di sperimentare, che è sempre stata il nostro marchio di fabbrica. Forse è un ponte tra passato e presente.

Il disco ha un senso di circolarità e chiude con due brani molto significativi: “Viva l’Italia” di Francesco De Gregori e “Non si può fermare”.

Sì, è un disco che racconta il presente, ma è anche proiettato verso il futuro. Non ci fermiamo qui, abbiamo ancora tanto da raccontare. E’ un racconto con un inizio, uno sviluppo e una coda. Questo lo rende quasi un concept album, con richiami al cinema e alla letteratura.

C’è un forte legame tra De Gregori e Bob Dylan, che anche voi citate e omaggiate.

Sì, alla fine tutto ha un senso. Sono due artisti che hanno lasciato un segno profondo nella musica e che continuiamo ad ammirare.

Il brano “Dov’è che abbiamo sbagliato” è una riflessione generazionale molto lucida. Come siete riusciti a trasmettere questo messaggio senza risultare paternalistici?

Non lo sappiamo. L’abbiamo scritto così, come lo sentivamo. Abbiamo scritto il minimo indispensabile, perché bastavano poche parole per esprimere il concetto. In fondo, è una canzone che si sarebbe potuta chiudere in poche righe.

Infine, “Buona Fortuna” è un pezzo che risale a parecchi anni fa.

Sì, l’abbiamo ritrovato in un hard disk, risale al 1999. Sono passati 26 anni, ma mantiene un’attualità incredibile. Alcune canzoni invecchiano bene, altre no, ma questa ha ancora qualcosa da dire.

Advertisement
Advertisement

L'articolo Intervista ai Negrita: “Eravamo entrati in un tunnel di modernità che non ci rendeva felici” proviene da imusicfun.