Semeraro, l’amico di Papa Francesco. “Mi ha detto: fai il bravo. E’ stato un addio”

Il cardinale, scelto per la guida del Dicastero dei Santi, ricorda una vita passata con Bergoglio. “Per me era un fratello maggiore. Gioioso e ironico, l’ho incontrato lunedì prima di Pasqua”

Apr 23, 2025 - 03:13
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Semeraro, l’amico di Papa Francesco. “Mi ha detto: fai il bravo. E’ stato un addio”

Roma, 23 aprile 2025 – "L’ultima volta che ci siamo visti nel suo appartamento, lunedì prima di Pasqua, mi fa, come faceva spesso al commiato, “portate bien“, “fai il bravo”. Per me era un saluto da fratello maggiore. Una frase consueta con la quale da sempre mi salutava. Non immaginavo certo, almeno io, una morte in pochi giorni, una morte che mi ha preso di sorpresa, tanto più dopo la sua uscita di domenica mattina in Piazza San Pietro in mezzo ai fedeli. Quando l’ho saputo ero nella cappella privata per recitare la liturgia delle ore: ho provato una grande emozione e ho continuato a pregare".

A raccontare gli ultimi giorni del Papa, ma anche il Francesco "amico gioioso e ironico, pronto alla battuta" e il Francesco delle "periferie umane" e del "chiostro e della pampas" è il cardinale Marcello Semeraro, scelto dal Pontefice per la guida del Dicastero dei Santi, legato da un lungo rapporto di confidenza e familiarità con Jorge Mario Bergoglio.

Il cardinale Marcello Semeraro
epa10852134 The Pope's envoy, Cardinal Marcello Semeraro (C), celebrates the religious service to beatify Jozef and Wiktoria Ulma and their seven children, who were murdered in 1944 by German Nazis for sheltering Jews, in Markowa, where the Ulma family once lived, in southeastern Poland, 10 September 2023. Wiktoria and Jozef Ulma, a Polish couple from Markowa, hid eight Jews in their home during the Second World War. In March 1944 they were executed by the Nazis together with their six children and the Jewish fugitives. At the time of her execution, Wiktoria Ulma was eight months pregnant, and their oldest daughter was eight years old. EPA/Darek Delmanowicz POLAND OUT

Eminenza, che cosa vi siete detti nell’ultimo incontro?


"Mi hanno chiamato perché il Papa voleva vedermi, sia per consegnarmi dei decreti già firmati sia per parlare di alcuni progetti sia per salutarci. Sono stato poco perché era evidente che era in sofferenza nel parlare: la voce era molto flebile. Non pensavo, però, che fosse alla fine. È stato davvero un conforto poterlo salutare di persona".


Lei è una delle persone, se non la persona, che è stata più vicina a Papa Francesco: come è nato questo rapporto?


"Per la confidenza e la familiarità posso darle ragione, perché sotto l’aspetto delle responsabilità ci sono, invece, altre figure nella Curia romana che gli sono state vicine. La nostra conoscenza è avvenuta un po’ casualmente, anche se per noi la casualità è anche una dimensione provvidenziale: ci siamo conosciuti dopo la tragedia delle Torri Gemelle, quando io ero già segretario speciale del sinodo dei vescovi e San Giovanni Paolo II nominò il cardinale Bergoglio relatore generale in sostituzione dell’arcivescovo di New York che non poteva più farlo per quello che era successo. Il Papa mi vincolò al segreto in attesa della nomina. Ma Bergoglio mi volle incontrare per offrirmi un caffè e io capii che sapeva. Da allora è nata una vicinanza di carattere familiare e personale che è diventata istituzionale dopo la sua elezione per gli incarichi che ha voluto attribuirmi".


Come era Papa Francesco nel "privato"? Ci racconti qualche aneddoto…


"Papa Francesco era una persona molto gioiosa e sapeva essere anche molto ironico: era dotato di grande umorismo. Tra noi i rapporti erano, come le anticipavo, di confidenza, anche prima che diventasse Papa. Dopo la sua elezione, da Vescovo di Albano andavo frequentemente a trovarlo alla Domus Santa Marta. Una volta divenuto cardinale sapevo che ormai c’erano gli incontri mensili e quindi ho sempre preferito non disturbarlo nella forma privata. Ma, per dire di come era fatto, le racconto un aneddoto su questo".


Prego.


"Per la prima udienza ufficiale da cardinale andai, come vedevo fare di consueto, con la talare filettata, la fascia e, diremmo, in abito ufficiale. Ma lui, quando mi vede arrivare, mi guarda e mi dice: ‘Se la prossima volta vieni così ti caccio via’. Le altre volte sono andato sempre in clergyman".


Che cosa lo angosciava e lo preoccupava maggiormente, soprattutto negli ultimi anni?


"Diciamo che negli ultimi anni era maggiormente sofferente per quella che egli ha chiamato “la terza guerra mondiale a pezzi“. Da qui anche gli appelli dell’Angelus, la domenica, a pregare per la pace del mondo: non solo per quelle guerre che sono sui media, dall’Ucraina al Medio Oriente, ma per le tante situazioni di conflitto che ci sono nel continente africano, nel continente asiatico. Per lui non erano frammenti di guerra, ma un’unica versione della crisi che aveva manifestazioni diverse in tutto il mondo: egli vedeva una crisi che l’intera umanità sta attraversando".


Che cosa resta, in questo passaggio d’epoca, di Papa Francesco?


"Guardi, io sottolineerei anzitutto questa visione di Chiesa che vede l’incontro tra i fedeli, il popolo santo di Dio e chi ha la missione di guidarla. Ricordiamoci il gesto che egli fece proprio la sera in cui per la prima volta apparve sul balcone di San Pietro quando chiese, prima di benedire tutti noi, che pregassimo per lui e che noi a nostra volta lo benedicessimo. Egli ha vissuto fortemente quella indicazione che, un po’ ricordando un’espressione antica, diceva San Cipriano: la Chiesa è nel Vescovo, il Vescovo è nella Chiesa. Per cui questa visione di Chiesa, che io chiamerei Chiesa estroversa, è quella della Chiesa in uscita: di una comunità cristiana che si mette in movimento, che si mette in uscita. L’altra sua eredità che voglio sottolineare è quella che egli chiamava delle periferie umane".


Che cosa sono le"periferie umane" di Papa Francesco?


"Non sono soltanto i destinatari di una missione, ma le periferie sono, mi permetta l’espressione, un principio ermeneutico: un luogo, un punto di vista da cui occorre mettersi per comprendere la realtà. Non guardare la realtà dalla prospettiva di chi è al governo, è ricco, ha potere, ha prestigio. Papa Francesco ci ha chiesto di osservare la realtà a partire dalla periferia, capovolgendo la prospettiva. Non è un caso che il giovedì santo scorso sia andato a visitare i carcerati: è un luogo di emarginazione, c’è un mondo di sofferenza. È da quelli che egli chiamava gli scarti della società che noi come Chiesa dobbiamo collocarci per comprendere qual è la nostra missione, perché, come usava dire fin da quando frequentava le periferie di Buenos Aires, occorre entrare e abitare nei chiostri avendo in mente la pampas, la prateria".