Rinnovabili e mobilità elettrica, il declino Usa nell’era Trump
“Le politiche di Trump, sia estere che interne, sembrano sempre più orientate all’indebolimento dell’America, o addirittura alla sua autodistruzione. Chi ne trae vantaggio? Solo Russia e Cina, che hanno osservato e aspettato in silenzio il suicidio dell’America. La scomparsa dell’“Occidente” e il crollo della leadership (e della democrazia) americana modificheranno drammaticamente la politica mondiale del […] The post Rinnovabili e mobilità elettrica, il declino Usa nell’era Trump first appeared on QualEnergia.it.

“Le politiche di Trump, sia estere che interne, sembrano sempre più orientate all’indebolimento dell’America, o addirittura alla sua autodistruzione. Chi ne trae vantaggio? Solo Russia e Cina, che hanno osservato e aspettato in silenzio il suicidio dell’America. La scomparsa dell’“Occidente” e il crollo della leadership (e della democrazia) americana modificheranno drammaticamente la politica mondiale del XXI secolo. L’ordine lascerà il posto al caos e il rischio di guerra aumenterà quando le superpotenze rivali si contenderanno la posizione. La stessa società americana rimarrà polarizzata, consumata dall’irrazionalismo e incline alle teorie cospirative.”
Questa fosca analisi è di Joschka Fischer, ministro degli Esteri e vice-cancelliere della Germania dal 1998 al 2005, e per quasi 20 anni leader del Partito tedesco dei Verdi.
Dazi, terre rare e tecnologie rinnovabili
In effetti le decisioni delle ultime settimane sui dazi sembrano guidate da una logica senza senso, autodistruttiva. Molti importanti attori del mondo economico e finanziario statunitensi sono di questo avviso e chiedono che si arresti questa politica. Mentre altri paesi, ad iniziare dal nostro, hanno lanciato messaggi rassicuranti.
La Cina di fronte al folle rilancio trumpiano di dazi Usa sulle merci cinesi del 145% ha risposto alzando i propri al 125%. Una doppia misura che di fatto paralizza il commercio tra i due paesi.
Per di più, la Cina ha bloccato l’esportazione di sette materiali strategici. La Cina detiene infatti una posizione quasi monopolistica sulle terre rare e metalli strategici come gallio (98%) e germanio (60%), essenziali per batterie, semiconduttori, turbine eoliche e tecnologie militari.
Trump aspettava una telefonata da Xi, che non è mai arrivata. Anzi, il ministro degli esteri cinese ha sottolineato come non ci sia mai stato alcun contatto tra i leader dei due paesi.
La realtà è che il presidente Usa ha dovuto precipitosamente fare marcia indietro sui dazi per alcuni prodotti come smartphone e computer, una mossa che consente di continuare la produzione in Cina a giganti della tecnologia come Apple e Dell.
Si consideri che nel 2018, Forbes aveva ipotizzato che un iPhone sarebbe costato “tra i 30.000 e i 100.000 dollari” se Apple avesse dovuto produrlo negli Stati Uniti. Forse un valore esagerato, ma che rende chiara l’estrema dipendenza di alcuni settori industriali statunitensi dalla Cina.
Ma torniamo alle terre rare, un gruppo di 17 elementi utilizzati nei settori della difesa, dei veicoli elettrici, dell’energia e dell’elettronica. Le restrizioni di Pechino alle esportazioni includono non solo i minerali estratti, ma anche magneti permanenti e altri prodotti finiti che saranno difficili da sostituire.
Disprosio e terbio, ad esempio, regolano il calore nei magneti che alimentano turbine eoliche offshore, jet e veicoli spaziali.
La decisione riguarda le esportazioni verso tutti i paesi, non solo gli Stati Uniti. L’impatto potrebbe riguardare, ad esempio, le turbine eoliche offshore che rischiano così di diventare non competitive.
Oggi gli Usa hanno una sola miniera di terre rare, in California. Ma non possiedono le competenze necessarie per trasformarle in magneti ad alte prestazioni. Gli analisti stimano che all’America occorrerebbero dai tre ai cinque anni per costruire una filiera che bypassi la Cina.
La manovra di Trump, insomma, è risultata decisamente avventata. La combinazione del calo di Wall Street e della fermezza della Cina stanno mettendo un freno a politiche insensate e cervellotiche.
Le battaglie di Trump contro ambiente, clima e rinnovabili
Il presidente difende il mondo dei fossili e detesta le rinnovabili, le auto elettriche, la transizione energetica più in generale.
Considera “disgustosi” gli impianti eolici e ha bloccato l’autorizzazione per alcuni parchi offshore, inclusi quelli che già stavano iniziando i lavori.
Trump ha inoltre criticato le auto elettriche, definendole costose, con un’autonomia limitata e dannose per l’industria automobilistica statunitense. Malgrado il supporto ricevuto da Musk, ha sospeso l’adozione della mobilità elettrica nei veicoli governativi, fermando gli ordini di flotte a zero emissioni, chiudendo alcune stazioni di ricarica federali e bloccando l’acquisto di scuolabus elettrici già finanziati.
Sono state inoltre eliminate le regole dell’EPA (Environmental Protection Agency) che imponevano limiti alle emissioni di CO2 e metano per l’industria petrolifera e del gas, definendole “un ostacolo alla crescita economica”.
Trump ha autorizzato nuove trivellazioni in aree precedentemente protette, come l’Arctic National Wildlife Refuge in Alaska, semplificando i permessi per progetti di estrazione di petrolio e gas su terreni federali.
E, naturalmente, ha rilanciato il progetto dell’oleodotto Keystone XL, fortemente contestato dagli ambientalisti.
Un effetto dirompente delle politiche sui dazi riguarda il rallentamento economico globale, con un Pil che potrebbe calare al 2% nel 2025. Questo andamento influenzerebbe, tra l’altro, al ribasso il prezzo del greggio, con il WTI che è già calato.
Secondo Rystad Energy per garantire la redditività del settore petrolifero statunitense non si dovrebbe scendere sotto i 62 dollari al barile. Ma lo stesso governo Usa stima per il 2026 un prezzo del greggio WTI a 61 dollari.
Secondo Bloomberg una discesa dei prezzi fino a 50 dollari, abbatterebbe la produzione di un milione di barili al giorno costringendo Washington ad importare 750mila barili dall’estero.
Sempre sul fronte fossile, Trump ha inoltre promesso di “rimettere i minatori al lavoro” attraverso misure come l’eliminazione di normative ambientali, incentivi per nuove centrali a carbone e l’apertura di giacimenti su terreni federali.
Una battaglia ideologica, considerando il drastico declino del carbone negli ultimi decenni (passato dal contribuire dal 50% al 15% della produzione elettrica Usa tra il 2000 e il 2025) dovuto alla maggiore competitività del gas e delle rinnovabili.
Nell’ansia distruttrice, Trump ha raccomandato anche forti tagli alla divisione di ricerca della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), l’agenzia scientifica statunitense che monitora il clima, gli oceani e l’atmosfera.
Ultima ciliegina sulla torta, Donald ha confermato la decisione adottata nella sua prima presidenza di uscire dall’Accordo di Parigi, definendolo “un freno all’economia americana”.
Rinnovabili in crescita con delle nuvole all’orizzonte
Le nuove politiche di Trump si scontrano con un contesto di forte ripresa interna delle fonti rinnovabili.
La crescita del fotovoltaico negli Usa è infatti stata significativa. Dieci anni fa, nel marzo 2015, l’energia solare rappresentava solo l’1% della produzione di elettricità. Nel marzo 2025 era salita al 9,2%.
Nel 2024, l’energia eolica e quella solare hanno raggiunto insieme il record del 17% del mix elettrico degli Stati Uniti, superando per la prima volta il carbone calato al 15%.
Ricordiamo, peraltro, che durante il suo primo mandato la produzione di energia solare era raddoppiata e quella eolica era aumentata del 32%.
Va comunque detto che l’introduzione di dazi del 30% sui pannelli FV importati nel 2018 ha portato alla cancellazione o al congelamento di progetti per 2,5 miliardi di dollari.
Il secondo mandato appare molto più aggressivo e cervellotico, con divieti espliciti sui progetti eolici e un attacco più ampio alle politiche climatiche.
Ma è significativo il fatto che a marzo gli Stati Uniti hanno toccato un nuovo minimo storico della quota di combustibili fossili nel mix elettrico, 49,2%, in gran parte grazie all’aumento dell’energia eolica e solare.
Bloomberg prevede che la domanda globale di elettricità crescerà di circa il 20% entro il 2035, grazie alla diffusione dei data center, che potrebbero rappresentare l’8,6% della domanda di elettricità degli Stati Uniti per quella data, in aumento rispetto al 3,5% dell’anno scorso.
Le rinnovabili sono predestinate a coprire larga parte dell’aumento della richiesta. Ma il loro contributo potrebbe essere ridimensionato dalle follie trumpiane. C’è chi ha proposto di riattivare il reattore di Three Miles Island non toccato dall’incidente del marzo 1979 che bloccò per oltre trent’anni negli Usa la realizzazione di nuove centrali nucleari.
La vera superpotenza, comunque, continua ad essere la Cina con un contributo rinnovabile aumentato del 25,7% nel 2024, raggiungendo 1,83 TW, tanto che le emissioni di CO2 del comparto elettrico stanno raggiungendo il loro picco.
Ma sul fronte della rapida riduzione della produzione elettrica da carbone, è interessante citare il caso della Polonia che ha visto risultati molto interessanti, proprio in relazione alla crescita delle energie rinnovabili (grafico a destra).
Gli scenari per l’auto elettrica
Le vendite di veicoli elettrici negli Stati Uniti sono aumentate dell’11% nel primo trimestre, raggiungendo circa 300.000 unità tra auto e camion leggeri, con una crescita più significativa rispetto al mercato automobilistico complessivo, rimasto stagnante.
Tesla domina il mercato interno, ma le sue vendite sono passate al 44% nel 2025 dal 51% dell’anno precedente. In due anni, la sua quota nel mercato statunitense dei veicoli elettrici è crollata da quasi due terzi a meno della metà.
In realtà, la crisi di Tesla è globale. Le consegne durante il primo trimestre 2025 in tutti i mercati sono diminuite del 13%, attestandosi a 337mila veicoli. Certamente hanno contribuito le posizioni estremiste di Musk in appoggio a personaggi dell’estrema destra.
La diminuzione delle vendite di Tesla si è registrato anche in Cina, con -11,5% a marzo, un calo legato in questo caso alla fortissima concorrenza dei modelli locali. BYD domina infatti la scena con una quota del 27%, e ha venduto oltre 1 milione di EV nel primo trimestre 2025.
Nel 2024, le vendite di veicoli elettrici (inclusi BEV e PHEV) hanno raggiunto 12,9 milioni di unità, pari al 47,9% delle vendite totali di auto in Cina, un balzo in avanti rispetto al 6,3% del 2020.
E le proiezioni per il 2025 indicano una quota di mercato del 57%. Nel 2024 Pechino ha esportato 1,29 milioni di EV (+24,3% rispetto al 2023), diventando il primo esportatore mondiale di auto. E questo, mentre sempre nel 2024 la Ue ha visto un calo del 5% delle vendite di auto elettriche. Nel grafico l’evoluzione delle vendite di auto elettriche nel mondo.
Questo divario pone seri problemi all’industria dell’auto europea che ha difficoltà a competere con modelli tecnologicamente molto avanzati e più economici.
Probabilmente, una scelta, che si inizia già a delineare, è quella di una collaborazione tra costruttori occidentali e cinesi per realizzare fabbriche di auto in Europa.
L’articolo è l’editoriale della rivista bimestrale QualEnergia n.2/2025The post Rinnovabili e mobilità elettrica, il declino Usa nell’era Trump first appeared on QualEnergia.it.