Rabbia pandemica: un sentimento rivoluzionario?
Seguire i “lavori” della commissione d’inchiesta parlamentare sulla gestione dell’emergenza Covid mi ha portato a risvegliare emozioni pesanti: per lo più rabbia e frustrazione. Ho avuto l’onere e l’onore di […]

Seguire i “lavori” della commissione d’inchiesta parlamentare sulla gestione dell’emergenza Covid mi ha portato a risvegliare emozioni pesanti: per lo più rabbia e frustrazione. Ho avuto l’onere e l’onore di vivere quei momenti drammatici come deputato della Repubblica (prima con il M5S, poi con Alternativa in opposizione al Governo Draghi). Mi ritengo fortunato ad aver vissuto quei momenti da quella posizione privilegiata. La rabbia scaturiva dal subire tutta una serie di ingiustizie e dal vedere come veniva gestita l’emergenza, in particolare dal vederla “da dentro”, la frustrazione invece dall’essere sostanzialmente impotente.
E’ una rabbia che ha le sue ragioni: siamo stati presi in giro, rinchiusi in casa, ci hanno obbligato a vaccinarci, una grossa fetta degli italiani è stata esclusa dalla vita sociale, il sistema sanitario è stato ulteriormente danneggiato, l’emergenza è stata sfruttata per un tentativo di controllo delle masse. E’ una rabbia che viene continuamente alimentata dall’arroganza dei potenti. Viene alimentata dalla recente dichiarazione di Speranza “il protocollo tachipirina e vigile attesa non esiste”. Viene alimentata dagli imbarazzanti interventi (non tutti, ma molti) dei componenti della commissione d’inchiesta, dal fatto che alcune audizioni sono segrete e non di pubblico dominio.
Siamo arrabbiati chiediamo verità e giustizia, abbiamo subito una violenza mai vista nell’era repubblicana. C’è un fervore che, anche ad anni di distanza, vuole sapere perché la situazione è stata gestita in quel modo. Un fervore che sento prima di tutto dentro di me.
Tutto questo mi ha portato a riflettere: cosa me ne faccio di questa rabbia? Come posso gestire questa giusta rabbia che cova dentro ognuno di noi? Avendo intrapreso un percorso di consapevolezza ormai da alcuni anni, alcune cose le ho capite.
Prima di tutto questa rabbia va guardata, accolta, è una rabbia giustificata, è una rabbia che vuole smuoverci, dobbiamo, però, stare attenti a non essere schiavi di questa rabbia. Il Buddha diceva: “trattenere la rabbia è un po’ come afferrare un tizzone ardente per scagliarlo contro qualcun altro; in realtà, chi si scotta sei tu.”
Nel XXI secolo ci sono stati vari movimenti che hanno raccolto ed alimentato la rabbia. Ad esempio, i no global, il m5s, occupy wall street, ovviamente anche i cosiddetti “no vax” ed altri. Purtroppo, questi movimenti hanno raggiunto solo uno scopo dimostrativo, non si sono concretizzati in reali battaglie (e risultati) politici. La rabbia per lo più è stata cavalcata per fini di consenso elettorale. Per questo motivo, questi movimenti sono naufragati o sono stati inglobati dal sistema.
Siamo quindi arrabbiati e ci sentiamo impotenti, inerti, rassegnati. Invece è possibile raccogliere questa rabbia come forza coraggiosa d’azione. Il filosofo Peter Sloterdijk, partendo dalla tradizione omerica, parla di “thymos”, lo traduce proprio come “focolare del moto”, una spinta all’agire. Una spinta che fonda la sua energia proprio sulla rabbia, sull’indignazione per un torto subito, come Achille nell’Iliade.[1]
Dobbiamo essere lucidi, dobbiamo usare questa energia-rabbia, incanalarla verso un concreto scopo creativo. Questa energia può essere usata per agire collettivamente, per favorire una rivoluzione che è già in atto!
Dobbiamo usare questa energia per stanare il sistema in tutti quei trucchetti che usa per cercare di spegnere il bollore che c’è nella comunità. Dobbiamo uscire dalla dialettica si-vax/no-vax, è il classico trucchetto del divide-et-impera. Dobbiamo cercare la verità, cercarla senza farci scottare dal tizzone di rabbia che teniamo in mano, ma usare questo calore per leggere con lucidità quello che sta accadendo.
Martin Luther King diceva: “Non dico alla mia gente di rinunciare al loro scontento. Piuttosto ho cercato di dire che questo normale e sano scontento vada incanalato nello sbocco creativo dell’azione diretta non violenta.”
L’azione non-violenta richiede molto più coraggio! Ora, con coraggio, è possibile chiedere giustizia, ora è possibile un movimento rivoluzionario che possa denunciare dati alla mano quello che è successo e come è stato gestito. Non smettere di cercare e pretendere giustizia.
Ci sono due aspetti di gestione della rabbia, quello personale di cui abbiamo parlato poco fa e quello collettivo. La filosofa Martha Nussbaum nel suo libro “Rabbia e perdono” descrive bene cos’è e come funziona la rabbia. Secondo lei, la vittima che subisce un’ingiustizia o crimine ha davanti a sé tre vie: via dello status, via della restituzione e via della transizione.
La via dello status si focalizza su un declassamento personale, la vittima (e chi le è intorno) si sente ferita per la perdita o abbassamento del proprio status sociale. Subisce una mancanza di riconoscimento che tocca l’orgoglio. La via della restituzione punta a far soffrire il colpevole così da riequilibrare la bilancia metafisica del dolore.
Infine, c’è la via della transizione, una via che ci concentra più sul generale che sul particolare, è un “passaggio a pensieri lungimiranti di benessere” dice la Nussbaum. Questa via non cerca ritorsione o vendetta, cerca una vera evoluzione per tutti: vittime e colpevoli. Cerca un futuro, lavorare per un mondo più giusto e libero.
In un passaggio del libro la Nussbaum scrive:
“Nelson Mandela non era un santo e la sua tendenza alla rabbia fu un problema costante contro cui dovette lottare. Come lui stesso testimonia, gran parte della sua meditazione introspettiva in carcere riguardò la sua tendenza alla rabbia sotto forma di desiderio di restituzione. […] Si noti che anche nelle iniziali esperienze di rabbia, che Mandela identifica come formative, predomina l’orientamento al futuro. Egli vuole cambiare il sistema ed emancipare il suo popolo, non infliggere dolore o condizioni peggiori di altri.”[2]
A mio avviso c’è un passaggio interiore da attuare. Ogni giorno, possiamo accogliere e raccogliere la nostra rabbia, sintetizzarla in energia ed indirizzare questa energia consapevolmente verso un chiaro obiettivo: una rivoluzione quotidiana.
Come da aspettative, la commissione parlamentare d’inchiesta non ci sta dando grosse soddisfazioni, ma il mondo cambia rapidamente e sul tema Covid molto si sta muovendo, pensiamo al report dei repubblicani USA dove molti aspetti della gestione pandemica vengono criticati e ribaltati, pensiamo alla nomina di Robert Kennedy a Segretario della Salute USA, pensiamo alle varie vittorie giuridiche che stanno emergendo come la sentenza di un giudice di Pace di Bologna che dichiara che i DPCM sul divieto di spostamenti erano illegittimi.
Tutti, come singoli o comunità, possiamo accelerare il processo di ricerca della verità, abbandonando la violenza e la vendetta. Abbiamo bisogno di un movimento politico in grado di incanalare questa energia-rabbia e trasformarla (singolarmente e collettivamente) in un coraggio che rompa il muro dell’impotenza e della rassegnazione. Questa è l’unica via per una società più umana.
Note:
- Peter Sloterdijk, “Ira e tempo”, Marsilio, 2019;
- Martha C. Nussbaum, “Rabbia e perdono”, il Mulino, 2017, p. 336