Prodi, Libero e il giornalismo ombelicale

Vi racconto come Libero ha dato conto della corrispondenza di pochi amorosi sensi tra Prodi e una giornalista di Quarta Repubblica (Rete4). La lettera di Teo Dalavecuras.

Mar 24, 2025 - 09:31
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Prodi, Libero e il giornalismo ombelicale

Vi racconto come Libero ha dato conto della corrispondenza di pochi amorosi sensi tra Prodi e una giornalista di Quarta Repubblica (Rete4). La lettera di Teo Dalavecuras

Caro direttore,

forse ti è sfuggita la prima pagina di Libero di domenica. A me è costata 2 euro perché non avevo intenzione di comprarlo, ma quando l’ho visto nell’espositore del supermercato con una foto a tutta pagina di Prodi e il titolo “Io, intimidita da Prodi”, non ho potuto resistere. Anche perché Romani Prodi lo conosciamo, gli piacciono le battute e qualche volta sa essere dispettoso (pensa alla battuta sulle statistiche che sono come i lampioni, servono a far luce ma agli ubriachi offrono un punto d’appoggio, dopo il solito fuoco d’artificio di statistiche esibito da Silvio Berlusconi, quando il Cavaliere non aveva saputo far altro che fingersi offeso).

Sì lo so, la battuta è di uno scozzese, un certo Andrew Lang, lo sa anche Romano, ma mica puoi fare una battuta con contestuale citazione della fonte, suvvia! Ma per tornare a Libero, il titolo, un po’ più vistoso di quelli dedicati dalle prime pagine dei grandi giornali americani al “martedì nero” del 29 ottobre 1929, annuncia il seguente sensazionale evento, con le parole della protagonista-vittima. Siccome nella veste di “intimidatore” (di giornalisti, poi…) Prodi non l’avevo ancora conosciuto ho voluto approfondire. Il racconto del grave episodio occupa tutta la pagina 4 del giornale, mentre l’intera pagina 5, allietata dal mezzo busto di Massimo Cacciari (che non c’entra niente ma ci sta sempre bene) è dedicato alle “reazioni”.

Le reazioni le avrei anche lasciate da parte (in sintesi: “da Romano atto volgare e sessista”) ma nel sommario leggo: “Eppure Giannini lo difende: ‘una lezione ai cronisti sicari di regime’”. Giannini però lo si deve capire, con Romano ha appena scritto un libro e poi non mi pare, di suo, uno che nel dubbio preferisca tacere, nè uno che con il dubbio abbia un rapporto felice.

Torniamo alla “storia”. “A margine della presentazione di un libro a Roma ecco la domanda su uno dei passi del manifesto citati in aula da Meloni”, si legge .“Cosa ne pensa? Lo condivide?” chiede Lavinia Orefici giornalista di Quarta repubblica e collaboratrice di Libero. La quale riferisce la prima reazione di Prodi in questi termini: “Ma che cavolo mi chiede? Io ho mai detto una cosa del genere?”. Così siamo arrivati alla fine della prima colonna. Il resto dell’articolo, che occupa l’intera pagina, compresa la sequenza di tre fotogrammi del Professore  destinata è illustrarne il nervosismo, è dedicata alla vera protagonista, la giornalista-collaboratrice che lamenta il tono “aggressivo e intimidatorio” della risposta di Prodi, lo accusa di averle “tirato” una ciocca di capelli (“ma no, le ho appoggiato una mano sulla spalla perché stava dicendo cose assurde” è la replica, e nemmeno la giornalista più tardi insiste su questo punto ma precisa che “Le cose più gravi  sono le inaccettabili parole, inappropriate e paternalistiche (sic) contro una giornalista…” che si era sentita offesa “come giornalista e come donna”.

Insomma, una prima pagina da bombe di Piazza Fontana, in totale tre pagine sulle trentasei che fa Libero, sul nulla. Certo, per la giovane Lavinia Orefici quel nulla è probabilmente tutto, forse per ragioni caratteriali, di sicuro per un riflesso generazionale. Ma il direttore di Libero non era un certo Mario Sechi, stretto collaboratore di Mario Monti a Palazzo Chigi, giornalista di lungo corso passato attraverso testate una più autorevole dell’altra, analista acuto di cose geopolitiche?

É possibile che – sia pure in un momento di distrazione – si sia scordato di quella regola del mestiere che dice che la notizia non è mai quel che fa il giornalista per scovarla, ma quello che fanno i protagonisti per nasconderla? Quando protagonista del pezzo è il giornalista che lo scrive, siamo nella dimensione dell’aria fritta, 3 pagine di aria fritta.

Quanto a Prodi.  Sa difendersi da sé, ma lasciami dire che uno scatto di  nervi di fronte a una domanda particolarmente sciatta è legittimo. Chiedere a Prodi che ne pensa del passo del manifesto di Ventotene citato da Meloni dopo che i 30-50 mila di Piazza del Popolo ne hanno fatto il loro “libretto verde” (scelta che dubito sia stata apprezzata dal Professore) mi fa tornare in mente lo sventurato reporter televisivo di quasi trent’anni fa che, arpionato sui binari un Cossiga un po’ scosso appena sceso dal Pendolino deragliato verso Piacenza chiede: “Presidente, che cosa ha provato?”. Ricordo ancora gli occhi sgranati di Cossiga che scuotendo la testa ha guardato il giornalista proseguendo poi in silenzio per la sua strada.