Perché il debito pubblico potrebbe arrivare al 100% del Pil mondiale nel 2030

Secondo il Fondo monetario internazionale, il debito pubblico globale crescerà per via dei dazi di Trump. Ma il quadro è ancora più complesso L'articolo Perché il debito pubblico potrebbe arrivare al 100% del Pil mondiale nel 2030 proviene da Valori.

Apr 29, 2025 - 06:38
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Perché il debito pubblico potrebbe arrivare al 100% del Pil mondiale nel 2030

Secondo le stime del Fondo monetario internazionale il debito pubblico globale arriverà al 100% del Pil mondiale nel 2030. E già quest’anno crescerà di 2,8 punti, superando il 95%. La ragione di questa lievitazione, sempre secondo gli analisti del Fondo, sarebbero i dazi di Donald Trump. Questi, infatti, costringerebbero numerosi Paesi ad aumentare la propria spesa pubblica per alleviare gli effetti del protezionismo americano. A queste misure di sollievo si aggiungerebbero, nell’incremento del debito, i piani di difesa militare e il crescente peso degli interessi sul debito primario. La ricetta fornita dal Fondo, di fronte a tale situazione, è tuttavia molto semplice e consiste nel ridurre la spesa pubblica “improduttiva”.

In realtà la situazione è molto più complessa. Nel caso europeo la forte spinta al riarmo prevista da Readiness 2030 tenderà a generare un sensibile incremento dell’indebitamento dei Paesi che accettano di impiegare fino all’1,5% del proprio Pil in debito contratto a scopi di difesa. Con un aumento del volume complessivo del debito da contrarre e con un aggravio del costo degli interessi che imporrà, in termini di spesa corrente, un taglio ulteriore degli stanziamenti di bilancio per i servizi essenziali. In simili condizioni, abbattere ulteriormente la spesa sociale significherebbe peggiorare il livello di impoverimento di larga parte della popolazione. Comporterebbe inoltre una ulteriore riduzione della domanda interna, con effetti sul Pil tutt’altro che banali. Peraltro il rapporto del Fondo monetario internazionale indica una stentata crescita del Pil globale pari a circa il 2,5%.

Il grande tema del costo del finanziamento del debito pubblico

Ma il tema forse maggiormente rilevante – e poco trattato dal rapporto – di una ulteriore lievitazione del debito pubblico degli Stati è legato proprio al costo del suo finanziamento. Se, come probabile, cresceranno le emissioni di titoli pubblici, la concorrenza sui tassi diventerà essenziale. Gli Stati Uniti hanno un debito federale ormai vicino ai 37mila miliardi di dollari e pagano già oltre 1.000 miliardi di dollari di interessi. Nonostante gli auspici di Trump, difficilmente potranno ridurre i rendimenti dei loro titoli di Stato. A meno di non ricorrere alla pratica del quantitative easing ad opera della Federal Reserve. Una soluzione che ormai non hanno più adoperato dal 2020 perché sono riusciti a piazzare stock di 2.300 miliardi di dollari annui di debito da quella data al 2024 senza stampare nuova carta moneta.

Ma se il debito americano resterà molto remunerativo, data la vasta mole di titoli da collocare solo in parte alleviata da una riduzione del deficit dal 6,5 al 5,5%, è molto probabile che la Banca centrale europea (Bce) non riduca troppo i tassi per evitare fenomeni di carry trade, di indebitamento a tassi più bassi in Europa per comprare titoli statunitensi più remunerativi. La già ricordata spesa militare sarà un elemento aggiuntivo di aggravamento dei tassi perché necessita di compratori. Ed è molto difficile realizzare partite di debito comune per effetto della resistenza di Paesi come la Germania che puntano su un maggior collocamento del proprio debito, destinato a crescere molto, a tassi di interesse più bassi perché poggiati sulla forza dei conti pubblici teutonici.

La guerra dei tassi rafforzerà il potere oligopolistico dei grandi fondi

In questa “guerra dei tassi”, giocheranno un ruolo decisivo i grandi gestori del risparmio collettivo. A cominciare da BlackRock, Vanguard e State Street, che sono oggi detentori e acquirenti decisivi dei titoli pubblici verso cui far convergere i portafogli mondiali. Sono loro che, in presenza di un maggiore fabbisogno dei singoli Stati e di politiche monetarie non espansive, decideranno quali debiti comprare e a quali condizioni. Divenendo ancora più determinanti. In tale ottica, i dazi di Trump saranno particolarmente rilevanti rispetto alla questione del debito. Perché, se applicati in maniera generale e soprattutto nei riguardi della Cina, produrranno una nuova fiammata inflazionistica che contribuirà a rendere il denaro decisamente costoso, a cominciare dalla copertura in debito delle spese pubbliche.

Dunque, la questione cruciale dell’aumento, a differenza di quanto sostiene il Fondo, assai probabilmente dipenderà non tanto dai dazi ma da una serie di altri fattori. A cominciare dal riarmo e dall’onere del finanziamento del debito stesso che ha raggiunto ormai livelli monstre, innanzitutto negli Stati Uniti. L’effetto sarà un rafforzamento dei grandi monopoli finanziari nelle mani dei super fondi. Per loro, un rialzo dei tassi sul debito può garantire una soluzione almeno parziale allo sgonfiarsi della bolla attualmente in essere, soprattutto nelle Big Tech.

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