Mika, tra palco e realtà: “La musica mi ha salvato la vita”
Mika è pronto a tornare in Italia, non solo con le date estive del suo tour, ma anche come co-conduttore della serata dei David di Donatello L'articolo Mika, tra palco e realtà: “La musica mi ha salvato la vita” proviene da imusicfun.

Mika è pronto a tornare in Italia, non solo con le quattro date estive del suo tour, ma anche come co-conduttore della serata dei David di Donatello, il prossimo 7 maggio, accanto a Elena Sofia Ricci. Uno show che, promette l’artista, sarà «poetico, elegante, curato». E mentre si prepara a calcare il palco di uno dei premi cinematografici più prestigiosi, Mika si racconta con una sincerità disarmante in un’intervista al Corriere della Sera, tra aneddoti inediti, confessioni intime e riflessioni sul mestiere dell’artista.
«Ho avuto l’infanzia più bella del mondo», racconta, anche se non tutto è stato semplice. «Andavo a scuola, ma era una mer*a: mi hanno cacciato, per sette mesi non ho parlato, non sapevo leggere, non sapevo scrivere». È proprio in quel momento che la musica irrompe nella sua vita come un’ancora di salvezza. «Così ho cominciato a cantare e sono stato catapultato a Covent Garden in una scenografia di David Hockney. Mi sono ritrovato in queste scatole magiche dove il mondo diventava un’altra cosa». Un’esperienza che lo ha formato e che ancora oggi alimenta la sua creatività. «La musica mi ha salvato la vita», ammette.
Tornando indietro nel tempo, Mika non dimentica l’impatto iniziale con la TV italiana, durante la sua esperienza a X Factor: «Il primo giorno non parlavo italiano. Simona Ventura mi fece un monologo di dieci minuti e io non capii nulla. A destra c’era Elio travestito da vecchio mago, con la barba fino al pavimento. A sinistra Morgan con un libro di Dante in mano. E io mi dissi: ca*zo, perché ho accettato?».
A chi gli chiede se si sente un “divo”, Mika risponde con naturalezza: «Dipende. Nella vita di tutti i giorni sono normale, ma quando salgo sul palcoscenico mi trasformo totalmente. È come un rito spirituale». Un rituale che lo protegge da ciò che definisce la “Fame Culture”: «Una cultura tossica. Noi lo sappiamo e ci giochiamo in maniera non sana. L’artigianato artistico mi aiuta a restare con i piedi per terra».
L’artista confessa che il contrasto tra la dimensione pubblica e quella privata è forte: «Davanti a 50mila persone mi sento potente. Ma quando torno a casa, solo con il mio pianoforte, mi sento una mer*a: mi chiedo se sarò ancora capace di creare qualcosa di nuovo». Un dilemma comune a molti artisti, reso ancora più intenso dalla sua lunga esperienza sotto i riflettori.
Nato in Libano, cresciuto tra Parigi, Londra e New York, Mika porta con sé un patrimonio culturale vasto e multiforme. «Dalla parte newyorkese ho preso la praticità. Dall’Inghilterra, la disciplina e il bisogno costante di nutrirmi culturalmente. E l’Italia? È la mia parte passionale, teatrale, il gusto di creare qualcosa di unico, ogni volta».
E mentre si prepara alla serata dei David, Mika porta con sé – ancora una volta – tutte le sue vite. Quelle che gli hanno permesso di non smettere mai di sognare, reinventarsi e, soprattutto, restare libero.
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