Insultare il marito e umiliarlo davanti al figlio: è reato di maltrattamenti
lentepubblica.it Lotta alla violenza familiare, qualsiasi sia la fonte e l’origine: a certe condizioni ed in casi particolari, anche la moglie può essere condannata per maltrattamenti se si è resa responsabile di ingiurie e umiliazioni a carico del marito. È uno degli effetti della riforma che ha interessato il procedimento in materia di famiglia, la […] The post Insultare il marito e umiliarlo davanti al figlio: è reato di maltrattamenti appeared first on lentepubblica.it.

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Lotta alla violenza familiare, qualsiasi sia la fonte e l’origine: a certe condizioni ed in casi particolari, anche la moglie può essere condannata per maltrattamenti se si è resa responsabile di ingiurie e umiliazioni a carico del marito.
È uno degli effetti della riforma che ha interessato il procedimento in materia di famiglia, la riforma Cartabia, che ha trasformato i vari procedimenti processuali in un rito unico per le controversie in materia di persone, minorenni e famiglie. La legge tutela chiunque subisca violenze psicologiche e fisiche in ambito domestico. Il reato di maltrattamenti in famiglia – contemplato dall’art. 572 del codice penale – si configura, infatti, in presenza di comportamenti abituali che offendono la dignità e l’integrità della vittima, indipendentemente dal genere.
Il caso
Il pronunciamento in merito, destinato a fare giurisprudenza, viene dalla sentenza 15 aprile, n. 14522/2022 della Corte di Cassazione, sezione VI penale. Ricostruendo l’intera vicenda, la Corte d’Appello aveva deliberato, capovolgendo la sentenza del tribunale che in precedenza l’aveva condannata, assolvendo una donna per insussistenza del fatto con riferimento all’imputazione per il delitto di maltrattamenti, perpetrato ai danni del proprio marito, con l’aggravante di aver commesso il fatto in presenza del figlio minorenne. Secondo la sentenza del tribunale la donna risultava precedentemente condannata a due anni e sei mesi di reclusione, avendo il giudice riscontrato gli estremi del reato di maltrattamenti nei confronti del marito.
La Corte d’appello aveva escluso il reato in danno del coniuge perché le ingiurie e le minacce non gravi non avevano una rilevanza penale, in assenza di una vessazione nei confronti di una persona vulnerabile. Un clima di vessazioni, quello documentato dall’uomo stretto in una convivenza intollerabile, caratterizzato da frasi offensive pronunciate dalla donna al cospetto del figlio, sopportato soltanto a causa del ricatto di poter perdere l’affetto del proprio figlio. Nonostante questo quadro probatorio la Corte d’Appello aveva evidenziato che le ingiurie e le minacce non rivestissero una tale gravità e non avrebbero avuto rilievo penale perché non svolte ai danni di una vittima fragile.
A sua volta la Corte di Cassazione, sentenza n. 14522/2022, ribaltava la pronuncia territoriale giudicando errato il riferimento inserito da questi ultimi alla necessità che le condotte vessatorie debbano essere connotate da violenza o da intenti di sopraffazione per essere identificate come tali, pronunciandosi testualmente affermando come: “essendo al contrario sufficiente la reiterazione di condotte consapevolmente offensive sorrette da un dolo generico, che risultino tali da generare sofferenza nella vittima, specie quando tali offese siano in grado di incidere sul rapporto padre e figlio”.
Insultare il marito e umiliarlo davanti al figlio: è reato di maltrattamenti
Per fare ancora maggiore chiarezza, il fatto che l’uomo vittima delle offese della moglie non possa essere considerato un soggetto vulnerabile non esclude, secondo la sentenza, la condanna della donna per il reato di maltrattamenti in famiglia. La Cassazione ha accolto così il ricorso della Procura e del marito, che si era costituito parte civile, contro la decisione della Corte d’appello di assolvere la donna per insussistenza del fatto. La moglie, in questo modo, viene condannata per maltrattamenti, costituite da ingiurie e umiliazioni poste in essere a carico del marito davanti al figlio, per rispetto del quale il marito rimaneva in famiglia.
Non si tratta di semplici diverbi e qualche parolaccia pronunciata in un momento di litigio, in questo caso. Molto gravi le azioni e le condotte poste in essere dall’imputata che ha messo in atto continue aggressioni verbali e insulti tesi a svalutare la vittima e minarne l’autostima, reiterato minacce e pressioni psicologiche al fine di mantenere il controllo sull’uomo e sulla situazione in genere, dando vita ad un clima che può essere definito di paura.
Come se non bastasse sono stati resi noti e documentati anche diversi episodi di umiliazione, sia in pubblico che in privato ed un atteggiamento finalizzato all’isolamento sociale dell’uomo e della famiglia, limitando i rapporti della vittima con amici e familiari.
Le conclusioni dei giudici
L’insieme di tutti questi comportamenti si considera non sostenibile e inaccettabile dalla Corte, che ha ribadito come il reato di maltrattamenti in famiglia miri a proteggere l’integrità psico-fisica delle persone coinvolte, senza discriminazione di genere.
Il tribunale ha ribadito il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, si riporta testualmente, “integra il delitto di maltrattamenti in famiglia anche la sostanziale privazione della funzione genitoriale del componente della famiglia, realizzata mediante l’avocazione delle scelte economiche, organizzative ed educative relative ai figli minori e lo svilimento, ai loro occhi, della sua figura morale”.
Questa deriva di violenza e sopraffazione è resa ancora più grave nel caso in cui e ciò le condotte persecutorie di un genitore nei confronti dell’altro siano poste in essere alla presenza del figlio, costretto ad assistervi quotidianamente.
Una condotta espressiva di consapevole indifferenza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali del minore e idonea a provocare nel giovane traumi e disorientamento rispetto alle figure genitoriali e sentimenti di sofferenza e frustrazione.
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