Nba Freestyle | Al via l’All-Star Game 2025: pillole in freestyle sui titolari della partita delle stelle
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Il quintetto dell’Est
Jalen Brunson (New York Knicks) – Play mancino sottodimensionato (1.88) con un serpente a sonagli al posto della mano sinistra. Maestro degli isolamenti, croce e delizia. Sotto la sua guida, i Knicks stanno facendo molto bene da un paio di stagioni. Non è poco. Per adesso, sono terzi a Est. Ha aumentato la media assist in quest’anno (7,5), anche se far felici gli altri non è mai stato il suo principale passatempo. Per il resto, è ormai un’icona del Madison Square Garden, incantato dai suoi tiri fuori equilibro e dagli arcobaleni, impensabili per uno con la sua taglia. Tipo Iverson. La verità è che può metterla in faccia a chiunque e chiederli pure il resto.
Donovan Mitchell (Cleveland Cavaliers) – Dapprima considerato uno in grado “solo” di mettere punti a referto (anche 71 in una gara). Adesso, l’ex Utah, sa anche vincere (grazie alla mano coach Atkinson). I Cavs sono primi a Est da inizio stagione. Realizzatore esplosivo, a tratti anche un po’ selvaggio tatticamente. Sa crearsi il proprio tiro sia sul perimetro che andando al ferro, perché è atletico, saltatore, e tratta molto bene la sfera. Molto preciso da tre (quasi 40%) e ai liberi (oltre l’80%). C’è da dire che non è mai diventato, nonostante le performance e il gioco spettacolare, un nome che “chiama”.
Jayson Tatum (Boston Celtics) – Che dire qui, i gusti son gusti. C’è a chi piace e a chi non piace. I primi citano il suo fisico michelangiolesco al servizio di due piedi davvero molto mobili. Il suo palleggio arresto e tiro andando a sinistra con un rilascio della palla più fluido di un ruscello di montagna. La sua capacità di segnare in tanti modi, senza peraltro accentrare troppo il gioco su di sé. I secondi, dal canto loro, parlano di un giocatore che quando si inceppa in attacco diventa deleterio per i Celtics. Che non ha un tiro sicuro. Che è discontinuo da fuori. Che forse non è il giocatore più importante dei Celtics. Chi ha ragione?
Giannis Antetokounmpo (Milwaukee Bucks) – Giocatore per certi versi rivoluzionario. Un palleggiatore così bravo delle sue dimensioni non c’è mai stato. Negli anni ’90, ci si meravigliava per un Vin Baker che se la passava dietro schiena o per un Kevin Garnett che sapeva metterla a terra anche in contropiede. Il Greco è un altro livello come trattamento della palla. Per il resto, semplicemente uno dei migliori finalizzatori della storia del gioco, con due spalle che fanno provincia e un Titolo NBA nel cassetto.
Karl-Anthony Towns (New York Knicks) – L’aria della Grande Mela gli ha fatto proprio bene. Lo ha ispirato. Lo ha rinvigorito. Non che a Minnesota lo scorso anno avesse fatto male. Ma Towns è senza dubbio alla miglior stagione in carriera. Centro di categoria “evolution”, gioca in modo molto naturale. È tra i migliori lunghi tiratori della lega (43,8%), cosa che gli permette anche di andare al ferro, puntando un difensore che gli sta attaccato per paura della bomba. Grande perdita per i T-Wolves. I love New York?
Il quintetto dell’Ovest
Stephen Curry (Golden State Warriors) – È in fase calante, causa anni che passano, ma è ancora tra i migliori tiratori e tra i top 10 nell’attuale NBA. Se sia un bene o un male giudicatelo voi. Ha fatto vedere al mondo che il tiro da fuori dal palleggio può essere una conclusione ad alta percentuale. Prima di lui, tutti i più grandi cecchini della storia usavano il catch-and-shoot. Reggie Miller, Ray Allen, Dale Ellis, Steve Kerr o Chuck Person. È arrivato Jimmy Butler a dargli una mano. Ne avrà bisogno, perché i Warriors sono in gran confusione. E decimi a Ovest.
Shai Gilgeous-Alexander (Oklahoma City Thunder) – Semplicemente un killer palla in mano, che agisce in stile ninja. Non lo vedi nemmeno arrivare, ha già messo a referto 30 punti e deciso una partita. Una star con zero atteggiamenti da divo, punta di diamante di una squadra, Oklahoma City, che farà parlare molto di sé negli anni a venire (se la mantengono intatta). Fondamentali perfetti, gioco dalla media vecchio stile, possibilità addirittura di MVP. Altro?
Kevin Durant (Phoenix Suns) – Si parla di una sua possibile partenza da Phoenix a fine anno. Di nuovo. Uno dei migliori attaccanti della storia non ha mai trovato (o voluto trovare) una dimora fissa. Non ha mai messo radici. È passato da squadra in squadra, da big 3 a big 3, come un viaggiatore qualunque. Questo elemento rischia di macchiare un po’ la sua carriera, al di là dei due anelli vinti nella Bay Area. Diciamo che l’unione con Booker e Beal in Arizona non ha portato i frutti sperati. Un vero peccato.
LeBron James (LA Lakers) – Si è già detto e scritto di tutto su James. Riporto una frase pronunciata da Dru Joyce II, il suo allenatore al liceo St. Vincent St. Mary di Akron. Quando gli chiesero come capì il destino di LeBron James, lui rispose: “Molti giocatori migliorano di anno in anno, Bron migliorava di ora in ora”.
Nikola Jokic (Denver Nuggets) – Quando Arvidas Sabonis negli anni ’90 sbarcò nella NBA a 30 anni, molti erano impressionati non dalla sua stazza, non dalla sua mano, ma dal modo in cui serviva i propri compagni dal post basso. Raffinato, talentuoso, un artista. Era qualcosa di straordinario anche per gli States. Ecco, in un’epoca diversa, Jokic fa sembrare quelle evoluzioni del Principe del Baltico roba elementare. Qui c’è il rischio che nei prossimi anni si faccia questo elenco: Kareem Abdul-Jabbar, Bill Russell, Wilt Chamberlain, Shaquille O’Neal e Jokic. Il titolo dell’elenco mettetelo voi. Leggenda.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.
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