Milena Vukotic: “Non sono stata solo Pina, Fellini mi cambiò la vita. Con mio marito viviamo in due appartamenti separati uniti da un balcone”
L’attrice: “Non aver lavorato con Woody Allen unico rimpianto della mia carriera”

Milano, 5 maggio 2025 - “Non mi sono mai immaginata novantenne e nemmeno adesso me ne rendo conto. Pensavo solo alle cose che speravo di fare. Per fortuna, molte ne ho fatte”. Novant’anni e non sentirli. “Come ho festeggiato? Sul palco”, dice l’attrice romana Milena Vukotic. “Mi hanno preparato una cena dopo lo spettacolo, nella caffetteria del teatro: che sorpresa magnifica”. Nipote di un pope ortodosso, figlia di un ambasciatore e di una pianista, il 23 aprile ha compiuto 90 anni. Al telefono la voce è quella di sempre. “È il teatro che mi dà gioia – assicura –. Poter fare ciò che amo ogni giorno, mi dà la forza, l’energia per andare avanti”. È al teatro Franco Parenti di Milano fino al 18 maggio, con “Lezione d’amore” di Andrée Ruth Shammah.
Vukotic, partiamo dal presente. Di che cosa parla “Lezione d’amore”?
“È la storia dell’incontro fra due anime fragili. Lei è una vecchia signora, una famosa pianista che vive a Parigi, lui un adolescente con grossi problemi psicologici. Avviene una connessione fra le loro due vite, cresce un legame forte. A un certo punto, la signora chiederà al ragazzo un’enorme prova di fiducia”.
Una prova che riguarda una sua scelta?
“Esattamente. Lei chiede al ragazzo di aiutarla ad andarsene, il giorno in cui sentirà di non farcela più. Ma non è uno spettacolo triste: in realtà è un inno alla vita, un incitamento a vivere pienamente il qui ed ora”.
Però affronta anche il problema della fine vita, e della possibilità di scegliere. Al riguardo, qual è la sua posizione personale?
“Se fossi messa alle strette, e dovessi rispondere ‘sì’ o ‘no’ alla possibilità di scegliere di morire, direi di sì. Piuttosto di vedere esseri umani ridotti a vegetali, che respirano col polmone artificiale e non hanno più speranza di tornare quelli che erano, preferirei scegliere”.
Più di 100 film in carriera. Ha lavorato con Bunuel, con Lina Wertmuller, con Oshima, Fellini, Tarkovskij, Monicelli, Risi, Bertolucci. Chi sente più importante nella sua storia?
“Fellini. L’incontro con Federico Fellini è stato il punto cruciale della mia storia di attrice. Vedere ‘La strada’ mi ha cambiato la vita. Ho capito che il cinema poteva raccontare tutto, vita, morte, sogni, amore, dolore. Poi ho avuto la fortuna di lavorare con il genio che aveva pensato quel film, Fellini appunto”.
In “Giulietta degli spiriti”…
“Prima ancora, feci una piccola parte in ‘Boccaccio 70’. Ero talmente emozionata che non gli detti neppure la lettera di presentazione che avevo portato con me. Ma riuscii a entrare ugualmente nel suo mondo. Fellini era un genio, un mondo intero, un faro”.
Ricorrono 50 anni dall’uscita del primo “Fantozzi”. Lei, a partire dal terzo, ha interpretato 10 film nel ruolo della Pina, la moglie. Che ricordo ha di Paolo Villaggio?
“Era una persona affettuosa, gentile, di una sensibilità d’animo che spesso celava sotto un’aria provocatoria. Un partner memorabile, che non era solo attore, ma anche scrittore. Con Fantozzi Villaggio ha creato una maschera universale, il cui significato va oltre i confini nazionali”.
A proposito di confini. Lei è sempre stata cosmopolita, a 20 anni aveva già vissuto in ogni luogo d’Europa. Che conseguenze porta?
“Da una parte, sentivo che questo mi arricchiva. Dall’altra mi limitava: non ho mai avuto amici fissi, ero sempre costretta ad andare via. Parigi è stata la mia prima vera città del cuore”.
In una carriera pienissima, ha rimpianti?
“Uno sì. Non ho mai avuto la fortuna di lavorare con Woody Allen, che adoro, stimo, venero. Ma tanti registi mi affascinano, e mi sarebbe piaciuto far parte del loro mondo”.
Ha amici nel mondo dello spettacolo?
“Siamo tutti un po’ amici e un po’ no: si vive per il tempo di un set, con una comunanza e una sintonia fortissime, poi ci si perde. Per ritrovarsi, magari, in un nuovo film”.
Come vive i social?
“Bene, non li ho. Preferisco esserne fuori: mi sembra già tanto complicato tener dietro a tutto quello che succede nella vita reale”.
Quali hobby ha, quali passioni?
“Beh, ho un marito, Alfredo Baldi: appena ho un po’ di tempo, andiamo al cinema o a teatro. E ho dei nipoti sparsi ovunque”.
Ma con suo marito, critico cinematografico, vivete sempre in due appartamenti separati, uniti dal balcone?
“Sì, certo. È molto meglio così, per tutti e due. Io devo stare sola quando provo i testi di teatro, Alfredo ha bisogno di privacy quando prepara le sue conferenze. Ognuno ha il suo appartamento con la sua entrata, e abbiamo tutto come se vivessimo da soli. Ma a cena ci ritroviamo. Solo, ognuno non invade la vita dell’altro”.
Ha ricevuto l’anno scorso il David di Donatello alla carriera, dopo aver ricevuto il premio Eleonora Duse e il premio Ubu per il suo lavoro nel teatro. Che cosa significano questi riconoscimenti, per lei?
“Quando mi hanno telefonato dal David di Donatello, mi sono chiesta: ma quest’anno non ho fatto film, avranno sbagliato?Non me lo aspettavo proprio. Mi ha fatto piacere, ma bisogna sempre evitare il pericolo di prendersi troppo sul serio. E ricordarsi che in francese recitare si dice jouer, e in inglese to play: giocare. È sempre solo un lavoro che è un gioco”.