Mercati: la Rotta Atlantica
A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor Guardando le mappe in tempo reale del traffico aereo, una delle rotte più trafficate è la cosiddetta Rotta Atlantica: è tracciata e aggiornata due volte al giorno da controllori di volo in Scozia e Canada in modo da massimizzare il vento a favore e minimizzare il vento... Leggi tutto

A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor
Guardando le mappe in tempo reale del traffico aereo, una delle rotte più trafficate è la cosiddetta Rotta Atlantica: è tracciata e aggiornata due volte al giorno da controllori di volo in Scozia e Canada in modo da massimizzare il vento a favore e minimizzare il vento contrario per efficientare consumi e tempo di volo. L’unica rotta che rimaneva costante nel tempo era quella del Concorde, che seguiva un tracciato prefissato e indipendente dalle condizioni atmosferiche vista l’altitudine superiore a cui viaggiava l’aereo supersonico. In media sulla Rotta Atlantica transitano più di duemila aerei al giorno, rendendola una delle più battute dal traffico aereo mondiale.
Nel corso del 2025 ha viaggiato su questa rotta un particolare bene, che sta impattando in modo significativo alcune statistiche che hanno molta influenza sui mercati finanziari.
Stiamo parlando dell’oro: la potenziale introduzione di dazi e tariffe in USA sull’import di oro, con le relative conseguenze catastrofiche sui trader in caso di un posizionamento errato, ha portato a un flusso di oro fisico senza precedenti sulla rotta atlantica da Londra a New York.
La negoziazione dell’oro vede Londra come mercato per lo più fisico, mentre New York principalmente “su carta”, dove si opera con futures e altri derivati sul metallo giallo, senza scambi fisici e con regolamento prevalentemente per cassa. I due mercati lavorano in simbiosi da diversi decenni, con poche necessità di trasbordi intercontinentali grazie alla fiducia e alle consuetudini createsi in più di cinquant’anni di negoziazioni.
Di recente, però, l’incertezza geopolitica che spinge al rialzo la domanda di oro e la potenziale introduzione di tariffe hanno portato a un prezzo sul mercato cartaceo di New York superiore a quello fisico, di Londra. Si è quindi aperta la possibilità di un arbitraggio, ovvero l’acquisto di oro fisico a Londra, il conseguente trasporto in Svizzera per fonderlo (lo standard inglese prevede un lingotto pesare 400 once, quello americano 100, rendendo necessaria una lavorazione) e in ultimo la spedizione a New York per effettuare una consegna fisica del future, su richiesta dell’investitore, chiudendo con un utile certo l’operazione.
Per dare un’idea della dimensione del fenomeno, si parla di un aumento dei magazzini americani di oro del 70% solo nel mese di dicembre, pari a un incremento di 82 miliardi di dollari e al 12% della produzione annuale mondiale di oro. Cifre importanti che hanno un impatto sul PIL. Infatti, una delle voci che determinano il prodotto interno lordo di un paese è il saldo tra le esportazioni e le importazioni, la cosiddetta bilancia commerciale: un paese che importa più di quello che esporta vede un calo del PIL totale.
Nel mese di gennaio l’import di oro ha rappresentato due terzi del peggioramento della bilancia commerciale USA. Questo evidenzia come questi spostamenti transatlantici possano pesare sulla crescita economica americana, a tal punto che il dipartimento del commercio sta pensando di escludere l’import/export di oro dalle statistiche sul PIL, dato il loro impatto.
Un ulteriore indicatore riguarda le statistiche sul PIL, che vengono rilasciate su base trimestrale, prevedendo la prima pubblicazione del dato di stima per il primo trimestre del 2025 il prossimo 30 aprile. Nel frattempo i mercati guardano sia le aspettative degli economisti, con una stima media per il primo trimestre del 2,2%, sia il GDPNow, un valore calcolato dalla Fed di Atlanta. Il modello GDPNow è stato sviluppato da statistici ed economisti per avere un dato il più possibile vicino al valore puntuale della crescita del PIL sulla base di dati macroeconomici rilasciati giorno per giorno. Non ci sono aggiustamenti discrezionali o interventi dell’uomo ed è solamente l’effetto del risultato matematico del modello. Tutte le informazioni possono essere trovate sul sito della Fed di Atlanta.
Questo indicatore è molto seguito dal mercato perché ha dimostrato storicamente di essere abbastanza vicino al valore ufficiale: prendendo l’ultimo trimestre 2024, ad esempio, il valore al 31/12/2024 stimato era del +2,5%, contro il dato ufficiale del +2,3% uscito circa un mese dopo. Ancora più importante è monitorare il trend: se il GDPNow inizia a scendere è un’indicazione di rallentamento dell’economia americana e i mercati rapidamente lo scontano.
Questo indice è peggiorato notevolmente da fine febbraio passando dal +2,3% al -2,4% attuale, segnalando una forte recessione potenziale in America nel trimestre in corso. In parte è il risultato delle turbolenze di mercato degli ultimi giorni: si è creata, infatti, una forte incertezza sulla capacità dell’economia USA di mantenere una crescita economica superiore al 2%, con alcuni operatori di mercato che vedono una recessione non molto lontana, supportata anche dal dato proveniente da Atlanta.
Analizzando dettagliatamente, si nota come oltre 3,5 punti percentuali del calo del PIL implicito nella stima della Fed derivi dal forte deficit commerciale. Come abbiamo visto in precedenza, ciò dipende in parte da una maggiore importazione di oro e dall’altra da un probabile anticipo di acquisti da parte di operatori industriali di merci che potrebbero diventare oggetto di dazi nei mesi a venire. Al netto anche di questa componente del PIL, il rallentamento economico americano è evidente e vede una stima per l’economia domestica poco sotto il 2%, contro la stima media degli economisti in area 2,17%.
Siamo quindi di fronte al dilemma che gli operatori si sono posti negli ultimi anni: questo rallentamento sarà solo un singhiozzo (hiccup in inglese) e torneremo rapidamente alla crescita precedente, oppure dobbiamo prepararci a un cambio di scenario introducendo la possibilità di una recessione?
Risulta difficile dare una risposta ora, lo scenario attuale è molto più complesso rispetto agli ultimi anni in cui bastava valutare l’impatto del rialzo dei tassi, necessario per contrastare l’inflazione, sulla crescita economica, una correlazione per cui esistono tantissimi studi storici e ampiamente studiata nei corsi di Economia Politica. Oggi, invece, abbiamo altre variabili, alcune imprevedibili (come i dazi) e complesse da monitorare, che causeranno uno strutturale aumento della volatilità, la possibilità di rapide correzioni e altrettanti rapidi rimbalzi. Di conseguenza, è necessario adottare una logica di scenario, in quanto al momento è difficile ipotizzare cosa potrà accadere alle principali variabili macroeconomiche.