Marco Ferrari: "Comunista e imperatore, da Livorno all’Etiopia: le mille vite di Barontini"

"Eroe in Spagna, Ilio venne mandato a organizzare la resistenza abissina contro gli italiani. Fumantino, sempre pronto alle battute, era un maestro della guerriglia. Anche psicologica".

Apr 6, 2025 - 07:23
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Marco Ferrari: "Comunista e imperatore, da Livorno all’Etiopia: le mille vite di Barontini"

Accanto alla storia dei grandi nomi ce n’è un’altra, meno nota ma altrettanto importante. Marco Ferrari, giornalista e scrittore, ama scandagliare le pieghe delle vicende umane per raccontare memorie collaterali. Il libro s’intitola Il partigiano che divenne imperatore.

Chi era Ilio Barontini? "Era nato a Cecina nel 1890 ma visse a Livorno", spiega Ferrari. "Era stato tra i fondatori del Pci, nella famosa scissione di Livorno del ‘21. Da ragazzo aveva lavorato al cantiere Orlando, poi alla Breda a Milano. Licenziato per le sue idee politiche, faceva parte del gruppo Ordine Nuovo di Gramsci. Nel ‘31, per evitare le persecuzioni della polizia politica fascista Ovra, dal porto di Livorno scappò in Corsica".

Era iniziata così la sua epopea di guerriero... "Raggiunse le Brigate internazionali impegnate nella guerra civile in Spagna. Poiché il capo della sua brigata, Randolfo Pacciardi, maremmano, era malato, prese il comando dei soldati repubblicani e compì un’impresa leggendaria: riuscì a sconfiggere i franchisti nella battaglia di Guadalajara. Era però in dissidio con il comandante Manfred Stern, nome di battaglia Emilio Kleber, che lo aveva definito “un codardo“ perché non era riuscito a espugnare Saragozza, e quindi non venne confermato nel ruolo. Barontini era un toscano energico, fumantino, sempre pronto alle battute. Dopo due ore che lui e i suoi soldati attendevano sotto la pioggia battente che il comandante del Corpo d’armata Segismundo Casado Lopez li passasse in rassegna, sbottò: ‘’’sto bischero non si fa vedere, andiamo via’’. Così fu allontanato e si rifugiò in Francia".

Come divenne “vice imperatore d’Etiopia“? "A Parigi si incontrò con Giuseppe Di Vittorio, Ruggero Grieco e con Lorenzo Taezaz, il segretario del Negus Hailè Selassiè. I servizi segreti inglesi e soprattutto francesi cercavano militari esperti che aiutassero la resistenza in Abissinia per contrastare le truppe italiane. Paradossalmente, avevano individuato le figure giuste proprio in tre comunisti! La loro esperienza nella guerra spagnola era preziosa. Barontini era considerato un eroe, grazie alla sua vittoria nella battaglia di Guadalajara".

Dunque i tre vennero mandati in Africa Orientale... "Passarono dal Sudan, controllato dagli inglesi, e da lì in Etiopia, dove arrivarono nell’estate del ‘39. Erano Bruno Rolla, Antonio Ukmar, sloveno, e Barontini. Il loro compito era addestrare e organizzare la resistenza locale, divisa tra molte tribù e vari capi, spesso in lotta tra loro. Barontini riuscì innanzitutto a riunirli in un fronte comune, e in seguito ad addestrarli a una lotta diversa. Fino ad allora gli abissini avevano combattuto come ai tempi dei romani: affrontavano il nemico schierati in campo aperto, spesso armati solo di lance. In una battaglia, per esempio, morirono 20mila abissini e solo 840 italiani. Barontini invece li divise in piccoli gruppi di 15-20 elementi che adottarono tecniche di guerriglia. Riuscì a formare un esercito di ben 250mila effettivi. I loro obiettivi erano soprattutto i fortini italiani che stentavano a controllare un territorio così vasto".

Barontini era un toscanaccio che usava ogni tipo di arma... "Anche quella psicologica. Di notte si avvicinava ai fortini italiani e con un megafono cominciava a gridare, in italiano, ma anche nella lingua locale degli ascari: ‘’Le vostre mogli se la spassano con i gerarchi fascisti e voi state chiusi lì dentro!’’. Spesso i soldati, furiosi, uscivano, e venivano uccisi o catturati. I guerriglieri locali, sotto le istruzioni di Barontini, che in questo campo era un maestro, organizzarono anche molti attentati. Grazie a loro l’esercito italiano finì per controllare soltanto le città".

E torniamo alla domanda: Barontini come diventò vice imperatore? "Il Negus, Hailè Selassiè, era esiliato a Londra. Per dare a Barontini l’autorità e l’autorevolezza necessaria a comandare un esercito così composito, lo nominò vice-imperatore, consegnando a Barontini i simboli del potere: spade e fazzoletti di seta che testimoniavano la sua nomina".

Che successe allo scoppio della guerra? "Barontini lo scoprì per caso, perché trovò un giornale nella tasca di un ufficiale italiano incontrato in mezzo al deserto. Con Rolla ferito e con Ukmar salvato per un pelo dalla morte, rientrò in Europa attraverso il Sudan, dove gli inglesi lo accolsero come un eroe. In Francia i suoi due compagni vennero catturati, mentre lui riuscì a sfuggire in modo rocambolesco e a riparare in Italia, dove coordinò la resistenza in Emilia Romagna. Per questo gli venne assegnata la cittadinanza onoraria di Bologna. Nel 1946 fu eletto per il Pci all’assemblea costituente, e nel 1948 al Senato. Morì nel ‘51, a 60 anni, in un incidente stradale misterioso mentre si stava recando al congresso del Pci. Incidente misterioso perché il manoscritto delle sue memorie scomparve. Inutilmente è stato cercato per anni anche presso le sue donne...".

Che carattere aveva Barontini? "Era un uomo affascinante, energico, spiritoso, vitale, guascone. Aveva lasciato la moglie a Livorno con due figlie, che rivide solo alla fine della guerra, aveva una compagna russa e un’altra in Francia, oltre ad altre relazioni occasionali. Un uomo dalle molte vite".