Mais, carne, navi e chip: ecco la grande guerra fra Usa e Cina
L'articolo di Luca Sebastiani

Che cosa sta succedendo fra Usa e Cina a suon di dazi.
L’ipotesi di un altro dietrofront di Donald Trump è sempre sul tavolo. D’altronde il presidente degli Stati Uniti utilizza la leva dei dazi per negoziare accordi e “fare business”. Intanto, però, le tariffe sulle importazioni cinesi sono già entrate in vigore e ieri sono scattate ufficialmente le contromosse di Pechino. La guerra commerciale tra Usa e Cina è quindi iniziata e riguarda una grande quantità di beni e settori, anche molto diversi tra loro.
LA GUERRA SULLE NAVI E L’IMPATTO PER MSC
Washington, infatti, sembra intenzionata a porre delle ingenti tasse alle imbarcazioni cinesi, e a quelle anche solo costruite in Cina, come condizione per entrare nei porti americani. Secondo l’amministrazione Trump è un modo per rivitalizzare la cantieristica navale degli Usa, andando a colpire allo stesso tempo il predominio di Pechino nei trasporti marittimi e nello shipbuilding. Ma le compagnie di navigazione non sono dello stesso avviso.
La prospettiva, secondo Reuters, è che gli armatori decideranno nel breve periodo di effettuare meno scali nei porti Usa, in modo da non essere troppo colpite dai dazi. E poi potrebbe esserci una redistribuzione a livello mondiale, con le navi non costruite in Cina che sarebbero reindirizzate verso il mercato statunitense. Un cambiamento che potrebbe però comportare diversi costi in termini di tempo e denaro. E una conseguenza potrebbe essere l’intasamento dei porti più grandi e un abbandono di quelli più piccoli. Scenario paventato dal ceo di MSC Soren Toft, che ha ipotizzato di evitare il porto di Oakland per attutire l’impatto delle tariffe.
In caso venisse confermata la scelta di Washington, infatti, a finirci di mezzo sarà anche Mediterranean Shipping Company (Msc). La più grande compagnia di container al mondo, fondata dall’italiano Gianluigi Aponte, infatti, si rifornisce di imbarcazioni dalla Cina.
I DAZI SUI BENI AGRICOLI
Come detto, Pechino ha dato il via alle risposte tariffarie. In particolare, sui prodotti agricoli americani. Da ieri, infatti, i dazi cinesi sono aumentati del 10% su soia, sorgo, frutta, verdura, carne suina e bovina, latticini e prodotti ittici, mentre l’incremento del 15% è su grano, mais, pollame e cotone provenienti dagli Usa. Come ricorda il Sole 24 Ore, “la ritorsione di Pechino è progettata come un utile strumento volto a colpire la base elettorale del presidente americano Donald Trump”.
La Cina è consapevole che i dazi americani comunque rischiano di assestare un colpo all’economia cinese, in un periodo non così roseo come in passato. Pochi giorni fa, il premier Li Quiang – nel suo intervento alla seduta annuale dell’Assemblea nazionale del popolo – ha sottolineato l’esigenza di far crescere la domanda interna, per diminuire il suo modello basato sugli investimenti e attenuare la crisi nel settore immobiliare. E già in questi due mesi del 2025, si è registrato un calo della crescita delle esportazioni cinesi, +2,3% su base annua rispetto alla crescita del 10,7% di dicembre 2024, ricorda il Sole 24 Ore.
LA BATTAGLIA DEI CHIP
Sullo sfondo c’è la fondamentale questione dei chip. Pochi mesi fa dagli Stati Uniti è arrivata un’ulteriore stretta sull’export di componenti ritenuti essenziali per la produzione dei semiconduttori più avanzati. Un modo per cercare di frenare l’avanzata tech di Pechino. Nonostante ciò, la Cina potrebbe essere vicina a uno scatto in avanti in termini tecnologici. Avvisa Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, sul Sole 24 Ore: “Secondo la Georgetown University gli studiosi cinesi hanno pubblicato nel quinquennio 2018-2023 un numero impressionante di articoli scientifici sui chip (circa 161.000) superiore alla somma degli tre Paesi più prolifici (Stati Uniti, India e Giappone)”. Un balzo nella ricerca e sviluppo che potrebbe, per esempio, far sì che Pechino avanzi nella fotonica del silicio, ricorda ancora Noci, riuscendo ad aggirare le sanzioni Usa e a raggiungere l’autosufficienza nella progettazione dei chip. E a quel punto, per gli Usa, sarebbero dolori.