L’Italia ha un problema con i femminicidi: quasi tre al mese nel primo trimestre del 2025

Undici. È il numero delle vittime di femminicidio in Italia nel primo trimestre del 2025. Strangolate, fatte a pezzi, uccise da ex, fidanzati o mariti, per il semplice fatto di esistere. E di essere donne. Nella mente dell’assassino la vittima non è più vista come un essere umano, ma come un oggetto. Nelle ultime settimane […]

Apr 24, 2025 - 10:08
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L’Italia ha un problema con i femminicidi: quasi tre al mese nel primo trimestre del 2025

Undici. È il numero delle vittime di femminicidio in Italia nel primo trimestre del 2025. Strangolate, fatte a pezzi, uccise da ex, fidanzati o mariti, per il semplice fatto di esistere. E di essere donne. Nella mente dell’assassino la vittima non è più vista come un essere umano, ma come un oggetto. Nelle ultime settimane due drammatiche storie – quelle di Sara Campanella e Ilaria Sula – hanno riacceso i riflettori su un tema su cui c’è ancora tanta strada da fare, in primis sul piano della cultura e dell’educazione.

Numeri di sangue
Secondo i dati ufficiali del ministero dell’Interno, sono stati 17 gli omicidi con vittime femminili nei primi tre mesi del 2025. Dati in calo del 25 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Ma dall’8 marzo al 2 aprile, in poco più di tre settimane, la lista si è allungata: altre cinque donne sono state uccise da uomini che non accettavano i loro no e la loro libertà. 

Numeri in diminuzione, dunque, ma non per questo da sottovalutare. Secondo il recente report fornito dal Viminale, i femminicidi sono aumentati tra il 2020 e il 2023, per poi scendere del sei per cento tra il 2023 e il 2024. Solo lo scorso anno le donne uccise sono state 113, di cui 61 ammazzate dal compagno o dall’ex. 

I femminicidi in ambito familiare e affettivo hanno subito un progressivo decremento tra il 2021 e il 2023, ma sono aumentati del tre per cento durante lo scorso anno (38 casi). Nell’ambito degli omicidi familiari, le vittime femminili costituiscono il 65 per cento delle vittime totali sia nel 2023 che nel 2024.

Nell’anno passato, oltretutto, sono leggermente aumentati i femminicidi in cui l’assassino è un ex partner della vittima: in questi casi, è chiara la predominanza delle vittime di genere femminile, con un’incidenza pari all’86 per cento. L’età delle decedute è compresa tra i 18 e i 50 anni, con una predominanza nella fascia di età tra i 30 e i 50 anni (donne sposate o conviventi), proprio come i loro aggressori.

Storie simili
Ma più dei numeri, sono le storie a farci comprendere la gravità del fenomeno. Come detto, da inizio anno sono undici le vittime di femminicidio, cioè donne uccise in quanto tali. 

La mattina del 5 gennaio a Gaifana, una frazione di Gualdo Tadino, in provincia di Perugia, vengono trovati all’interno della loro abitazione i corpi senza vita di Eliza Stefania Feru, 29 anni, e del marito Daniele Bordicchia, 39 anni. Lui, guardia giurata, ha utilizzato la pistola d’ordinanza per uccidere la moglie, poi si è suicidato. 

Pochi giorni dopo, il 14 gennaio, a Rivoli, in provincia di Torino, Maria Porumbescu, 57 anni, di origini romene, viene ammazzata dal suo ex compagno, Emilio Martini, macellaio in pensione, con uno dei quattro fucili da caccia che aveva in casa. Poi l’assassino si è ucciso.

A Milano è morta invece il 24 gennaio Jhoanna Nataly Quintanilla Valle, babysitter di 40 anni, uccisa in casa dal compagno. Il cadavere, gettato dall’uomo da una scarpata, è riaffiorato oltre un mese dopo sulle rive dell’Adda. 

Eleonora Guidi, 35 anni, è stata uccisa lo scorso 8 febbraio a Rufina (Firenze) dal marito, Lorenzo Innocenti, che le ha inferto 24 coltellate. Al collo, alla testa, alla schiena. L’uomo ha poi tentato il suicidio, lanciandosi nel vuoto, ma è sopravvissuto riportando gravi traumi.

Appena un giorno dopo, il 9 febbraio, Cinzia D’Aries, 51 anni, è stata ammazzata in casa dal marito, Pietro Quartuccio. L’uomo l’ha aggredita alle spalle con un coltello, poi ha pulito la lama e ha ingerito dei farmaci nel tentativo di suicidarsi. Il 17 febbraio a Montignoso (Massa Carrara) l’80enne Tilde Buffoni è stata uccisa dal marito con un colpo di pistola alla testa. L’omicida ha poi utilizzato la stessa arma per suicidarsi.

Sabrina Baldini Paleni, 56 anni, è stata invece strangolata dal compagno Franco Pettineo, al culmine di una lite. Il femminicidio è avvenuto il 13 marzo a Chignolo Po (Pavia). Otto giorni dopo, il 21 marzo, a Napoli, Ivan Chornenhyy ha ucciso la moglie 46enne Ruslana Chornenka, colpendola con un corpo contundente e poi si è tolto la vita impiccandosi nel bagno dell’abitazione. 

E ancora il 26 marzo la 36enne Laura Papadia è stata strangolata in un appartamento nel centro di Spoleto dal marito Nicola Gianluca Romita. L’omicida è stato fermato nei pressi di un ponte dal quale minacciava di gettarsi nel vuoto. 

Arriviamo così ai due recenti casi che hanno scosso l’opinione pubblica. Il 31 marzo Sara Campanella, studentessa 22enne di Misilmeri, viene uccisa in strada con cinque coltellate tra schiena e collo (una delle quali letale alla giugulare), dal 27enne Stefano Argentino, anche lui studente universitario. Il giovane si era allontanato in auto dopo l’omicidio, ma la sua fuga è durata poche ore. La vittima subiva da due anni le attenzioni moleste di Stefano, che non si rassegnava a essere respinto. «Non mangia, non beve e insiste nella propria volontà di voler morire», hanno raccontato i legali di Argentino. 

Ilaria Sula, un’altra studentessa, è scomparsa lo scorso 25 marzo. Il suo corpo senza vita è stato ritrovato il 2 aprile in una valigia in fondo a un dirupo nei pressi di Poli, in provincia di Roma. L’ex fidanzato, Mark Samson, 23 anni, ha confessato di averla accoltellata al culmine di una lite. Secondo i primi risultati dell’autopsia, la giovane sarebbe stata tramortita con pugni e schiaffi prima di essere uccisa a coltellate. L’omicida ha poi tentato di sviare le indagini, fingendosi lei in alcune chat con le amiche di Ilaria: «Non so se sto per fare una cazzata. Ma vado a casa di un tizio che ho conosciuto per strada. Ho fatto la birichina», scriveva Samson appropriandosi dell’identità della sua ex fidanzata. Ilaria però era già morta. 

Il caso Turetta
Uno dei femminicidi che ha maggiormente scosso le coscienze di tutti è senz’altro quello di Giulia Cecchettin. Nelle ultime settimane hanno fatto discutere le motivazioni della sentenza con cui Filippo Turetta è stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio dell’ex fidanzata, uccisa con 75 coltellate. 

La Corte d’Assise di Venezia lo ha condannato alla massima pena ritenendolo colpevole di omicidio aggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Da un lato, secondo i giudici, l’omicidio è stato aggravato da due circostanze: la premeditazione, cioè il fatto che l’omicidio fosse stato pianificato in anticipo, e la relazione affettiva. Dall’altro lato, sono state escluse due aggravanti: gli atti persecutori (o stalking) e la crudeltà. Quest’ultima mancata aggravante è stata la più contestata. Secondo i giudici non ci sono «elementi da cui poter desumere con certezza, e al di là di ogni ragionevole dubbio», che Turetta «volesse infliggere alla vittima sofferenze gratuite e aggiuntive». La crudeltà giuridica, infatti, è qualcosa di diverso da quella dettata da un parametro etico-morale. Il numero di coltellate sferrato in un omicidio, dunque, non è di per sé un elemento sufficiente per stabilire l’aggravante della crudeltà: bisogna capire se l’aggressore voleva solo uccidere o se ha infierito in modo gratuito.

Secondo la Corte, la dinamica dell’omicidio è stata «certamente efferata», ma è stata la conseguenza «della inesperienza e della inabilità» di Turetta, che «non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e “pulito”, così ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione dei colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia non c’era più».

Patriarcato ancora radicato
Un odio nei confronti nelle donne, che porta a violenze sempre più estreme fino all’omicidio, frutto del retaggio di un sistema culturale patriarcale ancora molto radicato. Secondo il noto psichiatra Paolo Crepet, innanzitutto bisognerebbe ripristinare un maggior dialogo tra genitori e figli. «Spegnete la tv e fate un sacrificio estremo, evitate Netflix per una settimana, una dieta a puntate invece che a punti, spegniamo ogni settimana un dispositivo», ha dichiarato in un’intervista a Il Riformista. «Poi chiederei ai genitori: di cosa avete parlato ieri sera? Non si parla più, non con chi avete chattato, di cosa avete parlato ieri sera. Genitori e figli che al massimo si chiedono con un messaggino per dirsi cosa hanno mangiato. Il problema è che non sappiamo più cosa dirci come gli ergastolani non sanno più cos’è la libertà, non reggiamo un discorso di un’ora con un adolescente in crisi. Non sappiamo più parlarci».

Secondo Paolo Giulini, criminologo clinico, «gli autori di femminicidi non sono mostri. Definirli “mostri” significa utilizzare uno stigma che consente di prendere le distanze da un problema che ci turba profondamente, come individui e come collettività. Ci dà una scorciatoia». «La quasi totalità degli assassini non ha agito in preda a raptus, a impulsività», ha sottolineato l’esperto alla rivista Vita. «Gli autori di reati violenti sono persone che potenzialmente hanno bisogno di aiuto, di affrontare, nell’ambito di uno specifico percorso trattamentale, i propri aspetti “mostruosi”, ma anche di conoscere meglio le proprie risorse, per assumersi la responsabilità di quanto commesso».

Norme insufficienti
Introdotto nel 2019, il cosiddetto Codice rosso ha aumentato le tutele per le vittime di violenza di genere, come atti persecutori e maltrattamenti. La legge ha inserito quattro nuovi reati nel nostro Codice penale: il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (il cosiddetto “revenge porn”), il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (“sfregio del volto”), il reato di costrizione o induzione al matrimonio e la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Il Codice rosso inasprisce inoltre le pene per alcuni reati già esistenti, come i maltrattamenti contro familiari e conviventi, lo stalking e la violenza sessuale di gruppo. Vengono poi accelerate alcune operazioni, a tutela delle persone a rischio. Entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, il Pm deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. Mentre la vittima ha 12 mesi di tempo per sporgere denuncia, e non più sei come in precedenza. 

Un altro passo in avanti si è avuto a marzo, quando il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che propone di introdurre il reato di “femminicidio” nel Codice penale. «Riconoscere e segnalare la specificità di un fenomeno, come fa la nuova legge sul reato autonomo, può aiutare molto nel modo di prevenire e di affrontare la violenza, soprattutto da parte degli operatori, per intervenire tempestivamente e impedire ciò che può essere impedito. Questo conferma la specificità della situazione del femminicidio, della sua differenza rispetto all’omicidio. Non come una maggiore gravità dal punto di vista etico, ma proprio perché ha una diversità che è testimoniata anche dal numero di casi», ha detto a tal proposito la ministra delle Pari Opportunità Eugenia Roccella. 

Il ddl introduce nel Codice penale il reato di femminicidio, distinto dal reato di omicidio, e punito con l’ergastolo. Il disegno di legge propone poi che le circostanze con cui è commesso il reato di femminicidio siano considerate come aggravanti, ossia come motivazioni per aumentare la pena, nei “reati più tipici” del Codice rosso. Tra le novità previste, c’è l’obbligo per il pubblico ministero, che conduce le indagini, di ascoltare personalmente la donna vittima di violenza, senza possibilità di delega alla polizia giudiziaria. Inoltre la vittima deve essere avvisata della richiesta di patteggiamento dell’uomo e in caso di sua scarcerazione, evasione o cessazione della misura di sicurezza detentiva. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per i reati da Codice rosso, inoltre, vengono applicate le misure della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. Il testo ora dovrà essere esaminato e approvato dai due rami del Parlamento. 

Nuove leggi, dunque, eppure non basta. C’è bisogno di un cambio culturale, promosso da campagne di sensibilizzazione ed educazione affettiva nelle scuole, di una maggiore attenzione al linguaggio, compreso quello utilizzato dai media. La strada da fare è ancora lunga, ma bisogna intervenire subito se vogliamo invertire la rotta e smettere di contare i giorni che ci separano dall’ennesimo caso di una donna uccisa dalle mani violente di un uomo che diceva di amarla.