L’interesse nazionale e i dazi. Il grande bivio dell’Italia | L’intervento dell’economista Giuseppe Coco

Nell’affannosa ricerca di una razionalità nelle successive dichiarazioni del Presidente Trump alcuni commentatori si sono spinti fino a ipotizzare una magica capacità di fare accordi con il resto del mondo solo dopo averlo umiliato. In realtà la umiliante retromarcia cui lo hanno costretto i mercati, come aveva previsto l’Economist, il suo più grande oppositore, sarebbe […] L'articolo L’interesse nazionale e i dazi. Il grande bivio dell’Italia | L’intervento dell’economista Giuseppe Coco proviene da Osservatorio Riparte l'Italia.

Apr 29, 2025 - 08:29
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L’interesse nazionale e i dazi. Il grande bivio dell’Italia | L’intervento dell’economista Giuseppe Coco

Nell’affannosa ricerca di una razionalità nelle successive dichiarazioni del Presidente Trump alcuni commentatori si sono spinti fino a ipotizzare una magica capacità di fare accordi con il resto del mondo solo dopo averlo umiliato.

In realtà la umiliante retromarcia cui lo hanno costretto i mercati, come aveva previsto l’Economist, il suo più grande oppositore, sarebbe stato il mercato delle obbligazioni di Stato americane, racconta solo di quanto le previsioni e le strategie del miliardario approdato alla Casa Bianca fossero ignoranti.

Chiariamo che il problema che ha Trump è reale. Gli Stati Uniti sono un paese con due squilibri strutturali collegati, quello del commercio con l’estero e quello del bilancio pubblico.

Gli americani consumano e investono molto più di quello che producono sostanzialmente indebitandosi, soprattutto attraverso il bilancio pubblico che negli anni della crisi dei mutui subprime è andato letteralmente fuori controllo.

Dal 2008 il debito è cresciuto dal 65% del Pil al 130 per cento circa nel 2021 per poi diminuire velocemente per la crescita sostenuta post COVID.

Il problema del debito americano è minore di quello di alcuni paesi europei per effetto della maggiore crescita economica, ma la polarizzazione politica e la retorica populista rendono difficile rimettere sotto controllo i conti pubblici, il deficit l’anno scorso era il 7% del PIL. Troppo impopolare tagliarlo.

In un mondo normale i due squilibri hanno una sola medicina, una manovra di bilancio restrittiva, che metterebbe a posto i conti e anche il deficit di bilancia commerciale. Trump invece ha cercato di affrontare entrambi gli squilibri facendo pagare ad altri i costi, tramite i dazi.

La follia di questa strategia si è vista immediatamente. Anche prima che i dazi producessero qualunque effetto, i mercati hanno capitalizzato nei prezzi una recessione (le previsioni di crescita negli USA sono state tagliate dell’1%) e le conseguenti difficoltà di bilancio.

Gli annunci incoerenti e pasticciati hanno aumentato sistematicamente l’incertezza sui mercati, il principale nemico di ogni investimento. I tassi a cui si scontano i titoli sono cresciuti e forse qualche paese ha cominciato a vendere titoli pubblici americani.

Manovra politica della Cina: è possibile, ma anche più semplicemente voi vi sentireste rassicurati a comprare titoli di Stato di un paese con un deficit al 7% in cui il Presidente è chiaramente in preda a deliri di onnipotenza e cambia idea ogni 2 giorni?

Il paradosso è che, se Trump voleva crearsi uno spazio fiscale magari per fare un taglio di tasse folle in autunno senza creare una crisi del debito, il risultato è che spenderà di più in interessi e che gli americani pagheranno comunque il costo dei dazi nel breve periodo sia attraverso prezzi maggiori sia attraverso la recessione che comunque ci sarà. La sua speranza è che ci colpirà spostando investimenti da Europa e Cina verso gli Stati Uniti.

E qui veniamo a cosa dobbiamo fare noi europei e soprattutto un paese a vocazione manufatturiera come il nostro. Il governo italiano ha due posizioni, entrambe opposte alla razionalità economica.

In un afflato di improvviso liberismo, il nostro governo sostiene che non ha senso rispondere alle tariffe trumpiane con ritorsioni, ci faremmo solo più male. Mentre nel breve periodo questo è vero, nel medio una strategia accomodante convincerà le multinazionali industriali a disinvestire ancora più velocemente in Europa, e ricordiamoci che le poche fabbriche di grande dimensione ancora esistenti in Italia sono nel Mezzogiorno.

Senza ritorsioni Pomigliano e Melfi sono segnate, non si capisce perché una multinazionale dovrebbe produrre in un mercato declinante se poi deve pure pagare dazi per accedere al mercato più ricco.

La seconda reazione consiste nell’annunciare l’uso di 11 miliardi, sottratti a politiche di coesione e finalità del PNRR, per sostenere le imprese colpite dai dazi.

In questo caso dipende da come saranno attuate concretamente le misure, ma supponiamo che le imprese ricevano compensazioni per i dazi. Questo equivarrebbe a un sussidio all’export. Cioè, in realtà staremmo finanziando direttamente i dazi di Trump.

Il prossimo taglio di tasse degli americani ricchi lo pagherà il contribuente italiano. Molto meglio usare quelle risorse, magari un po’ meglio di quanto abbiamo fatto finora, per il nostro paese.

(Pubblicato sul Corriere della Sera edizione Mezzogiorno)

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