L’illusione di Trump: rilanciare il carbone, ignorando la realtà
Il presidente americano Donald Trump ha firmato la settimana scorsa quattro ordini esecutivi per cercare di salvare e rilanciare l’industria del carbone negli Stati Uniti, ignorando completamente l’evoluzione del mercato energetico degli ultimi decenni. Lo ha fatto evocando l’emergenza energetica nazionale da lui stesso dichiarata e sfruttando i poteri speciali previsti dal Defense Production Act […] The post L’illusione di Trump: rilanciare il carbone, ignorando la realtà first appeared on QualEnergia.it.

Il presidente americano Donald Trump ha firmato la settimana scorsa quattro ordini esecutivi per cercare di salvare e rilanciare l’industria del carbone negli Stati Uniti, ignorando completamente l’evoluzione del mercato energetico degli ultimi decenni.
Lo ha fatto evocando l’emergenza energetica nazionale da lui stesso dichiarata e sfruttando i poteri speciali previsti dal Defense Production Act del 1950.
Il piano prevede la possibilità di mantenere in funzione vecchie centrali a carbone, la riapertura delle concessioni minerarie su terre pubbliche e anche azioni legali per bloccare le leggi ambientali dei singoli Stati Usa.
Trump giustifica queste mosse con l’aumento della domanda elettrica legato a intelligenza artificiale, auto elettriche e criptovalute. “Stiamo riportando in vita un’industria abbandonata,” ha dichiarato, circondato da minatori con l’elmetto durante una cerimonia alla Casa Bianca.
Questa offensiva arriva in un momento storico in cui, come per altro ammesso dallo stesso Trump, l’economia americana dell’energia ha voltato le spalle al carbone, in modo sempre più irreversibile, aggiungeremmo.
Le sei misure principali degli ordini esecutivi
Gli ordini esecutivi firmati da Trump prevedono:
- Il blocco per due anni delle chiusure di centrali a carbone, anche se vecchie o altamente inquinanti.
- La fine della moratoria dell’ex presidente Barak Obama sulle concessioni minerarie su terre federali.
- Una corsia preferenziale per nuovi permessi di estrazione di carbone.
- La classificazione del carbone metallurgico, usato per produrre acciaio, come “minerale critico”.
- L’apertura di un fondo da 200 miliardi di dollari per finanziare tecnologie legate al carbone, come la cattura della CO2.
- Un mandato al dipartimento della Giustizia per tentare di bloccare le leggi ambientali statali che limitano l’uso del carbone.
Si tratta di provvedimenti che, nella visione di Trump, dovrebbero riportare in auge miniere e centrali elettriche a carbone negli Stati Uniti. Nella realtà dei fatti, queste misure sono con tutta probabilità destinate a rimanere confinate nel cestino dei provvedimenti anacronistici della politica, senza un seguito pratico su vasta scala.
Il carbone Usa: un settore in crisi da vent’anni
Dal 2000 a oggi, la produzione elettrica a carbone negli Stati Uniti è crollata dal 50% al 16% della generazione complessiva. Il gas naturale e le rinnovabili hanno progressivamente eroso la quota di mercato del carbone, grazie a costi più bassi, maggiore flessibilità e regole ambientali più severe.
Nello stesso periodo, il numero di minatori è sceso da circa 70mila a 40mila, la produzione di carbone si è ridotta del 45% e il numero di centrali a carbone operative è diminuito drasticamente.
Le sempre meno numerose centrali a carbone oggi funzionano mediamente solo il 42% del tempo. Le aziende preferiscono farle girare solo nelle ore in cui i prezzi dell’elettricità sono più alti, per evitare perdite.
Anche il tentativo di classificare il carbone metallurgico come “minerale critico” appare più un artificio politico che una reale necessità industriale. Negli Usa, l’acciaio prodotto con carbone rappresenta una quota minoritaria rispetto all’acciaio riciclato.
Nell’illustrazione, l’evoluzione del mix elettrico negli Stati Uniti dal 2000.
Riaprire le vecchie centrali: idea costosa e spesso impossibile
Trump promette di far riaprire decine di centrali a carbone chiuse negli ultimi anni. Ma i numeri dicono altro.
Secondo l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (Ieefa), dal 2021 negli Stati Uniti sono stati chiusi ben 102 impianti a carbone. Di questi: 24 sono già stati demoliti, 13 sono stati convertiti a gas e gli altri richiederebbero interventi di manutenzione costosissimi.
L’età media di questi impianti è di 56 anni e “riaprire centrali a carbone già chiuse non ha alcun senso economico”, perché richiederebbe interventi molto costosi per riparare o sostituire impianti vecchi, secondo l’analisi dello Ieefa.
Il caso più emblematico è la centrale di Homer City, in Pennsylvania: chiusa nel 2023, demolita nel 2024, eppure citata da Trump tra gli impianti “salvabili”.
Il carbone non è competitivo
Il presidente Trump continua a definire il carbone “l’energia più potente, economica e sicura”. Ma, anche in questo caso, la realtà è molto diversa. Secondo la U.S. Energy Information Administration, i costi medi per produrre un megawattora (MWh) di nuova energia sono:
- Carbone: 90 $
- Gas naturale: 43 $
- Fotovoltaico: 23 $
Non solo. Il carbone è anche la fonte più inquinante:
- 1 MWh di elettricità da carbone emette circa 1 tonnellata di CO2
- Il gas naturale ne emette meno della metà
- Le rinnovabili praticamente zero.
Secondo il think tank indipendente di politiche climatiche Energy Innovation, il 99% delle centrali a carbone esistenti negli Usa è più costoso da mantenere rispetto alla costruzione di nuovi impianti fotovoltaici, eolici o a batterie.
Entusiasmo nei territori minerari, scontro con alcuni Stati
Negli Stati a vocazione mineraria, come la West Virginia, gli ordini esecutivi di Trump sono stati accolti con entusiasmo dalla politica locale. Il governatore Patrick Morrisey ha parlato di “un’epoca d’oro per l’America” grazie al ritorno del carbone.
Di segno opposto le reazioni di molti governatori democratici, come Kathy Hochul (New York) e Michelle Lujan Grisham (New Mexico), che hanno annunciato ricorsi legali: “Il governo federale non può cancellare i diritti costituzionali degli Stati”.
Anche esponenti del movimento ambientalista hanno criticato il piano di Trump.
“Questi ordini esecutivi sono un tentativo disperato di mantenere in vita centrali a carbone vecchie, sporche, non competitive e inaffidabili”, ha dichiarato Kit Kennedy, direttrice del programma energetico del Natural Resources Defense Council, all’agenzia Associated Press.
Il mercato va in un’altra direzione e non tornerà indietro
Gli ordini esecutivi di Trump rappresentano l’offensiva più radicale degli ultimi decenni a favore del carbone negli Stati Uniti.
Ma l’economia dell’energia americana, e globale, si muove già da tempo in tutt’altra direzione (vedere anche Trump e la sua rivoluzione energetica alla rovescia).
Non sono stati l’“ideologia” ambientalista o il buonismo dei democratici a decretare il tramonto irreversibile del carbone, ma il mercato, il capitalismo, che teoricamente dovrebbe essere la stella polare di Trump.
Le utility si sono fatte due conti e hanno visto che ci sono fonti molto più convenienti sotto molteplici punti di vita e semplicemente stanno abbandonando in massa il carbone. Cercare di infondere nuova vita a questa fonte creerebbe uno zombie energetico, significa ignorare la realtà, cioè i dati di mercato, aumentando i costi per le società di generazione, i prezzi per i consumatori e ritardando la transizione energetica.
È una battaglia ideologica insensata e senza fondamento pratico, che vede già le rinnovabili e il gas ampiamente vittoriosi. Difficile pensare che saranno tanti gli imprenditori che ignoreranno le evidenze dei fogli di calcolo per seguire le illusioni degli ordini esecutivi di Trump.The post L’illusione di Trump: rilanciare il carbone, ignorando la realtà first appeared on QualEnergia.it.