L’Europa si arma senza sapere (o chiarire) il perché

Quanta confusione c’è nell’attuale dibattito politico? Bisogna riarmarci o pensare alla pace? Essere per la guerra o contro le armi? Difendere l’Europa dalla Russia, dalla Cina o dagli USA di […]

Apr 15, 2025 - 12:02
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L’Europa si arma senza sapere (o chiarire) il perché

Quanta confusione c’è nell’attuale dibattito politico? Bisogna riarmarci o pensare alla pace? Essere per la guerra o contro le armi? Difendere l’Europa dalla Russia, dalla Cina o dagli USA di Trump? Essere contro o pro Israele? E l’Ucraina che fine farà?

Partendo dal piano di riarmo europeo, proviamo a delineare 4 paradossi su cui riflettere per aiutare quantomeno a trovare ognuno una propria direzione di pensiero.

Armiamoci e … partite!

C’è un principio semplice, quasi banale, che dovrebbe guidare ogni tentativo di costruzione politica: non si costruiscono castelli su fondamenta di sabbia. Eppure l’Unione Europea ci riprova. Con un piano di riarmo da 800 miliardi di euro, battezzato prima ReArm Europe e poi pudicamente ribattezzato Readiness 2030 per evitare fraintendimenti bellicisti, Bruxelles sogna un’Europa che si difende da sola. Ma da chi? Con quale autonomia? E, soprattutto, con quale coerenza politica e storica?

È legittimo pensare che un’ipotetica federazione europea, con una politica estera comune e una visione strategica condivisa possa e debba rafforzare le proprie capacità difensive. Ma nel contesto attuale, questa mossa assume un tono grottesco: una pantomima di potenza, recitata da attori scoordinati che non condividono il copione, tantomeno il palco.

E tutto diventa più chiaro se si analizzano i paradossi celati sotto i recenti annunci propagandistici, compreso l’inquietante (o comico, fate voi) video sul “kit di sicurezza per sopravvivere tre giorni”.[1]

1° paradosso: ognuno per sé, Dio per tutti

Partiamo dal primo paradosso: ogni Paese europeo, nella cornice di questo piano, si armerà da solo. Nessuna regia comune. Ognuno acquisterà, produrrà, investirà come vuole. Francia, Germania, Italia, Spagna, Baltici e Polonia: ognuno con il proprio arsenale, le proprie industrie, i propri alleati, i propri interessi strategici. Altro che esercito europeo. Sembra piuttosto un ritorno alla vecchia Europa delle potenze in competizione, con il vincolo aggiuntivo di doversi fingere uniti.

Il dubbio che sorge è che più che il piano di riarmo europeo questo sia il modo in cui la Germania, in cerca di una nuova identità e commercialmente molto vicina a Pechino, possa riarmare se stessa.

L’Italia, in questa cornice, che ruolo strategico vuole avere?

2° paradosso: quale autonomia?

Come si può parlare di “autonomia strategica” in un continente in cui la difesa è affidata a una NATO sempre più incerta, dove gli Stati Uniti sono insediati con basi e armi senza alcuna consultazione democratica? In Italia e Germania, la presenza militare americana è massiccia e radicata[2], e molti settori strategici — dalle telecomunicazioni alla produzione industriale — sono controllati da capitali stranieri. Questa non è autonomia: è delega di sovranità. E la cosa più inquietante è che ci siamo talmente abituati da non accorgercene più. Invece di immaginare un’Italia capace di agire come attore politico, ne rafforziamo la dipendenza tecnologica, industriale e strategica (pensare alla recente vendita al fondo KKR della rete di telecomunicazioni italiana[3] o al possibile appalto a Starlink di Elon Musk per le comunicazioni satellitari). Chiamiamo “autonomia” un processo che ci rende sempre più simili al un campo di battaglia altrui.

E cosa succede quando gli “alleati” a cui abbiamo delegato la nostra protezione si mostrano “meno amici” del previsto?

3° paradosso: il nemico “da trovare”

Ma veniamo alla domanda fondamentale: da chi ci staremmo difendendo? Dalle sedicenti mire imperialistiche della Russia? O dagli Stati Uniti di Trump, che ci considerano “parassiti” e ci minacciano con dazi e isolamento strategico? Uno scenario impensabile da dichiarare apertamente, perché vorrebbe dire ammettere che l’Europa deve difendersi proprio dal suo alleato più ingombrante. O probabilmente ci stiamo riarmando per difenderci in un futuro confronto, che vedrà contrapposti l’Occidente e Pechino? Questa è veramente un’ipotesi realistica?

In assenza di chiarezza il sospetto cresce: forse non sappiamo neppure noi da chi ci vogliamo difendere. Forse stiamo solo reagendo alla paura davanti a un mondo che cambia, in modo irrazionale, compulsivo, come chi compra un’arma perché “non si sa mai”.

4° paradosso: il déjà vu di inizio ‘900

Il paradosso più profondo, però, è storico. Questo piano di riarmo ricorda drammaticamente il periodo che precedette la Prima Guerra Mondiale. Ogni potenza (al tempo europee, oggi principalmente fuori dal nostro continente) si armava per sentirsi più sicura, e finiva per sentirsi ancora più minacciata a causa del rafforzarsi degli altri. La corsa agli armamenti non portò maggiore stabilità, ma rese inevitabile la guerra. Alleanze, contro-alleanze, sospetti incrociati, diplomazie paralizzate dalla sfiducia reciproca: tutto questo inizia ad avere un sapore inquietantemente familiare.

E oggi come allora, in Europa, invece di costruire ponti, costruiamo missili.

Come una banderuola: guidati dal vento

ReArm Europe non è un piano strategico condiviso. È un esercizio retorico, un’illusione di unione strategica in un mondo che si sta riassestando. È il tentativo disperato di un’Europa che vuole apparire forte e unita senza esserlo davvero. Perché la forza, quella vera, nasce dalla chiarezza e soprattutto dalla consapevolezza dei propri limiti e dei propri interessi.

E allora la domanda finale forse non è “quanto dobbiamo armarci per essere considerati”, ma: quando la smetteremo di lasciarci guidare dal vento che tira e inizieremo a giocare la nostra partita sulla scacchiera?

Perché prima di difenderci dovremmo forse capire chi siamo. Il dubbio rimane: che in Europa e specialmente in Italia, prima di pensare alle armi, avremmo bisogno di più idee.


[1] Ci si riferisce al kit di sopravvivenza consigliato da Bruxelles per affrontare guerre e crisi. A presentarlo sono state la vicepresidente della Commissione europea Roxana Mînzatu e la commissaria all’Uguaglianza e alla Gestione delle crisi Hadja Lahbib, condiviso su X il 26 marzo 2025. Fa parte della Preparedness Union Strategy, un piano per preparare i cittadini europei a gravi scenari di crisi.

[2] Ci sono almeno 9 basi militari con personale USA in Italia (comprese quelle Nato), mentre in Germania addirittura 40. Sul territorio italiano sono schierati (dati al 2019) almeno 13mila uomini, mentre in Germania quasi 40mila. Sul suolo di entrambi i paesi sono presenti fra le 20-50 testate nucleari (il numero esatto non è confermato, si tratta di stime attendibili). I dati possono essere estrapolati facilmente dalle pagine di Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_United_States_Army_installations_in_Germany e https://it.wikipedia.org/wiki/Basi_militari_statunitensi_in_Italia

[3] Il 1° luglio 2024 TIM ha ufficializzato la vendita di la cessione di NetCo al fondo americano KKR. Fonte: https://www.gruppotim.it/it/archivio-stampa/corporate/2024/CS-Closing-NetCo-1-luglio.html