La sfida impressionante della musica
Perché Gli impressionisti ci hanno già detto tutto? Provo a dare una risposta di getto. Ciò che contraddistingue l’arte impressionista è l’apertura infinita dell’orizzonte. Il fatto che dipingere en plein […]

Perché Gli impressionisti ci hanno già detto tutto? Provo a dare una risposta di getto. Ciò che contraddistingue l’arte impressionista è l’apertura infinita dell’orizzonte. Il fatto che dipingere en plein air (all’aria aperta) fosse fondamentalmente riuscire a raccogliere un’immagine del mondo e di se stessi meno squadrata, meno triangolare, più sensoriale, più emotiva, e quindi, in definitiva, più autentica.
La nostra prima impressione non è qualcosa da scartare, da rigettare perché troppo superficiale; al contrario, il rimanere rapiti di fronte alla realtà, che si manifesta sempre multicolore e multiforme, è esattamente la chiave d’accesso per entrare immediatamente, senza filtri, dentro il cuore delle cose. Il tradizionalismo sigilla lo sguardo dentro la scatola del passato nostalgico, e rimane cieco davanti al divenire miracoloso della vita. La modernità invece, quella dei Monet, dei Renoir, dei Degas, fino ad arrivare all’immenso Van Gogh, libera la mente da ogni residuo d’impero, e allontana la polvere del tempo che prepotentemente si accumula ovunque sopra ogni cosa, sopra ogni discorso.
La canzone di Roberto Michelangelo Giordi ci fa riscoprire la necessità del qui e ora. Ci ricorda, in punta di piedi, che la vera rivoluzione estetica risiede nell’atto poetico illuminante. Non lasciatevi ingannare dalla melodia malinconica, dalla voce bassa o dalle riprese video in bianco e nero. Questi non sono espedienti artistici per raggiungere una meta che non esiste più, sepolta in chissà quale ricordo dimenticato; ma sono piuttosto pennellate rapide con cui Giordi raccoglie, come in un flash simile ad un ricordo del futuro, l’immagine nascosta del presente. Spesso infatti si giudica negativamente chi si affretta a dare giudizi “di pancia” sulla realtà che ci circonda, sulle costellazioni di lampioni che incendiano la notte o sulle colline in lontananza che ancora soltanto si intravedono all’orizzonte. Se ascoltiamo il verbo ignobile dei grandi Giornaloni, essi dicono che questo giudizio, che proviene dal basso ventre, non ha alcuna legittimità, in quanto trattasi del frutto acerbo di un certo indottrinamento populista, disfattista e reazionario. Niente di più falso e insensato. Costoro non comprendono che è proprio l’impatto diretto con la voce, con il volto, con i lineamenti del corpo e con la poesia di un gesto che si auto-manifesta, nonostante la nostra volontà di negarci agli altri, che mi fa entrare in contatto con il vero; è esattamente questa nuda impressione che mi permette di scorgere, dietro la maschera della finitezza umana, quelle spiagge e primavere senza fine di cui narra, timidamente, il cantautore.
Salvare ciò che di buono ha partorito la modernità, intesa come epoca storica, significa anche avere cura delle sfumature e di ogni tenero riflesso di luce, evitando come la peste di cadere nell’omologazione e nel conformismo ideologico. Roberto Michelangelo Giordi vede il rischio di una fine tragica, di un’era votata al decadimento verticale. Ed è forse per questo motivo che dice: ci siamo confessati sottovoce. Cosa avrà detto alla sua anima, all’anima di tutti coloro che avvertono questo declino apocalittico, questa incertezza del disegno? Ovviamente la risposta rimane un segreto tra l’autore e la sua interiorità. Ma, purtroppo per lui, la camera caritatis di Giordi è la musica; è l’espressione vocale; è l’urlo ascetico e popolare che chiede all’amore di fare la sua parte. Dunque adesso, che è uscita questa sua nuova canzone, possiamo sperare in una — seppur misteriosa — risposta. Una cosa è certa: Noi non ci prenderemo nessun altro impegno. L’attimo da cogliere e da imprimere nei nostri cuori è questo qui, immediato, e non un altro. L’eterno è ora: è adesso! Buon ascolto.