La ricetta vincente di Nathalie Spielmann: «Per vincere sui mercati globali bisogna adattarsi velocemente»

La guerra commerciale scatenata dal presidente americano minaccia l'intero comparto vinicolo, non solo italiano. L’analisi della professoressa di marketing e direttrice dell'MSC Wine & Gastronomy alla NEOMA Business School: «Il consumo è già stato ridotto dalla decisione di alcuni Paesi di portare avanti campagne che ne disincentivano l'acquisto»

Apr 30, 2025 - 04:57
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La ricetta vincente di Nathalie Spielmann: «Per vincere sui mercati globali bisogna adattarsi velocemente»

Il settore del vino, negli ultimi due anni, ha affrontato sfide difficili. Con volumi di produzione storicamente bassi e prezzi in aumento, il 2023 è stato caratterizzato dalle pressioni inflazionistiche globali iniziate nel 2022. Ma oggi produttori e consumatori si trovano di fronte a uno scenario ancora più preoccupante dopo l’annuncio dei dazi al 20% da parte del presidente Usa, Donald Trump. Ora sia l’Italia che l’intera Unione Europea sono al lavoro per limitare i danni e cercare una soluzione diplomatica più rapidamente possibile. Si sta parlando anche di contro-dazi sui prodotti Usa, sinora non ancora sperimentati. Nel frattempo, per le organizzazioni di categoria dell’agroalimentare e del vino italiani, gli Usa sono un mercato fondamentale, con 7,8 miliardi di euro di esportazioni complessive nel 2024, di cui 1,9 miliardi solo di vino, rappresentando il partner n. 1 delle cantine tricolore. Quali potrebbero, quindi, essere le conseguenze dei dazi in questo settore? E come diversificare i mercati di riferimento del vino italiano? Abbiamo toccato il tema con Nathalie Spielmann, docente e ricercatrice specializzata nei mercati del vino e degli alcolici e direttrice del Master in Vino e Gastronomia di Neoma Business School ma ancora prima, andiamo alla scoperta dei dati che raccontano questo settore che da qualche anno non se la sta passando benissimo.

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La fotografia del rapporto sul mercato del vino

Secondo l’ultimo rapporto “State of the World Vine and Wine Sector in 2024“, lo scorso anno il settore globale della vite e del vino ha affrontato un altro anno molto difficile, segnato da condizioni climatiche avverse che hanno portato a livelli di produzione storicamente bassi. Allo stesso tempo, fattori sociali ed economici hanno causato un calo dei consumi nei mercati chiave. Nonostante queste pressioni, prezzi medi più elevati hanno contribuito a sostenere la performance complessiva del mercato in termini di valore, mitigando in parte l’impatto dei volumi ridotti. In particolare, la superficie globale riservata ai vigneti ha continuato il suo declino nel 2024, contraendosi dello 0,6% a 7,1 milioni di ettari. Un quarto anno consecutivo di calo, dovuto alla rimozione di vigneti nelle principali regioni viticole che hanno interessato tutte le uve, sia a uso vinicolo che non vinicolo.

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Per quanto riguarda la produzione di vino, per il secondo anno consecutivo, condizioni climatiche estreme e la conseguente pressione delle malattie hanno gravemente colpito i vigneti in tutto il mondo, portando a una produzione globale storicamente bassa. Come nel 2023, queste circostanze sono state ulteriormente esacerbate da pressioni economiche e di mercato. Nel 2024, la produzione totale di vino è scesa a 225,8 milioni di ettolitri – il livello più basso in oltre 60 anni – in calo del 4,8% rispetto all’anno precedente.
E a scendere sono stati anche i consumi: nel 2024 si toccavano i 214,2 milioni di ettolitri, in calo del 3,3% rispetto al livello già basso del 2023. La diminuzione della domanda nei principali mercati, unita a prezzi medi elevati spinti dai bassi volumi di produzione e dagli effetti persistenti dell’inflazione ha reso l’anno difficile. E nonostante il volume totale delle esportazioni sia rimasto relativamente basso, a 99,8 milioni di ettolitri – eguagliando il 2023 ma inferiore del 5% alla media quinquennale – questo è stato compensato da un forte valore delle esportazioni, che ha raggiunto i 35,9 miliardi di euro. Il prezzo medio all’esportazione si è mantenuto stabile a 3,60 euro al litro, conservando il massimo storico stabilito nel 2023. Secondo un’analisi dell’Osservatorio del Vino Uiv, l’unica soluzione è, infatti, da ricercare lungo la filiera, con il mercato – dalla produzione fino a importatori e distributori – che dovrebbe farsi carico di un taglio dei propri ricavi per un valore pari a 323 milioni di euro (su un totale di 1,94 miliardi) e mantenere, così, gli attuali assetti di pricing. E sempre secondo l’Osservatorio, sarebbe ben il 76% delle 480 milioni di bottiglie tricolori spedite lo scorso anno verso gli Stati Uniti a trovarsi in “zona rossa”, con una esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%.

Scopri i nuovi dazi Usa del presidente Trump e il loro impatto sull'export europeo, in particolare sul vino italiano e le sue conseguenze.

Per Federvini, i dazi di Trump sono stati “un gravissimo colpo al libero scambio che impatta su oltre 2 miliardi di esportazioni italiane di vini, spiriti e aceti 40mila imprese e oltre 450mila lavoratori lungo l’intera filiera”. Ecco che cosa ne pensa la ricercatrice Spielmann.

Nathalie, quali potrebbero essere le conseguenze delle tasse applicate da Trump per i produttori italiani?
Tutta l’industria vinicola italiana viene colpita, allo stesso modo di quella francese. E penso che, concretamente, tutto questo significhi che verranno bloccati molti ordini, dato che gli Stati Uniti sono uno dei maggiori paesi consumatori di vino al mondo. Ma prima che venisse a verificarsi questa situazione, potrebbe essere successo che, in vista dei dazi che stavano potenzialmente per essere applicati, alcuni importatori negli USA potrebbero aver aumentato le vendite e chiesto che venissero spediti prima del 2 aprile. Alla luce di questa situazione, resta, comunque, ancora da capire una questione: le tariffe si applicano alle merci che arrivano, a quelle che sono partite o a quelle che sono ancora in mare? Perchè è possibile, ad esempio, che le merci in fase di spedizione vengano, comunque, tassate, al contrario di quelle che, una volta lasciata l’Italia, non vengono più tariffate.

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Nathalie Spielman

Facendo un passo indietro, puoi dirmi qual è lo stato attuale del mercato vinicolo europeo?
Attualmente l’offerta globale di vino c’è, anzi c’è troppo vino disponibile. E penso che queste tariffe aumenteranno la sovraofferta. Sappiamo che la sovraofferta va a incidere in particolar modo per i produttori di vini più accessibili: bottiglie che principalmente costano meno di 20 euro. Quindi, questa situazione, ovviamente, aumenterà le tariffe dal 25% fino a un possibile 200%.

E i consumatori assorbiranno quel prezzo?
Se i consumatori americani saranno disposti a pagare il 25% in più, oltre ai margini degli importatori e dei rivenditori (quindi in realtà è molto più del 25%), non posso saperlo, certo non sarà una situazione semplice. Ma potrebbe anche succedere che gli importatori si facciano carico di quel costo aggiuntivo, in modo che i consumatori non lo sentano. Credo che dipenderà dalla durata delle tariffe e anche dalla salute finanziaria degli importatori. A livello globale, quello che succederà è che finiremo o con una rete di distribuzione che sarà in forte difficoltà finanziaria per assorbire quelle tariffe o con consumatori che nel mercato USA sono già sensibili al prezzo e non saranno, quindi, necessariamente disposti a spendere ancora più soldi per quei vini, e quindi cercheremo opzioni alternative. Che è, tra l’altro, quello che è successo quando la Cina ha imposto tariffe sui vini australiani: i consumatori cinesi non erano disposti a pagare molto di più per i vini australiani e hanno iniziato a guardare altrove. Ed è lì che Argentina e Cile sono state in grado di piazzare i loro vini abbastanza facilmente. Potrebbero, quindi, aprirsi altre strade e nuovi mercati in questa situazione.

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Ci sono altre minacce che potrebbero influenzare questo mercato?
Il settore vinicolo globale è influenzato dai cambiamenti sociali. Quindi, i consumatori che bevono meno, soprattutto le giovani generazioni, non sono necessariamente attratte dal vino. In questi ultimi tempi, sono nati movimenti e gruppi che insistono su quanto il consumo di alcool incida sulla salute. E c’è molta concorrenza. Quello che sta succedendo, quindi, è che i consumatori bevono meno alcol e se lo bevono, non è detto che sia vino, come, invece una volta era consuetudine. Poi abbiamo anche una minaccia ambientale: il cambiamento climatico che rende ancora più difficile la produzione. E un’altra minaccia che io percepisco tale è che il gusto dei consumatori sta cambiando: si sta spostando meno verso il vino rosso e più verso i vini bianchi, rosati, e spumanti

Secondo te, quali Paesi sono più a rischio di altri?
Dipende dal tipo di vino: se si prende ad esame il vino da pasteggio, diciamo da bere tutti i giorni, e, quindi, per il consumatore medio a basso coinvolgimento, si fa riferimento a un certo tipo di mercato, mentre in altri casi i mercati cambiano sostanzialmente. Bordeaux è un ottimo esempio: una lunghissima tradizione viticola che ha riscontrato difficoltà nell’adattarsi alle esigenze del mercato, molto lento. In Italia credo che, invece, si stia facendo un buon lavoro, a seconda delle regioni. Chiaramente, avere consorzi molto forti ed essere molto presenti aiuta. Io credo che oggi per andare avanti sia fondamentale una caratteristica: sapersi adattare al mercato che cambia come hanno, per esempio, saputo fare il Cile e l’Argentina con vini rossi. E per quanto riguarda i dazi, credo che nell’UE i paesi che, probabilmente, soffriranno di più saranno la Spagna, la Francia e l’Italia.

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Come interpreti questa mossa di Trump?
Dal mio punto di vista, i dazi altro non sono che una forma di “soft power” e un modo per dire che Francia, Italia e Spagna non hanno più il monopolio sulla produzione di vini. E la ritengo anche una strategia per cercare di aiutare le aziende vinicole americane a emergere e conquistare spazio. Il problema è che l’America non sempre produce ciò che bevono i consumatori americani: la California è la quarta regione produttrice al mondo, ma non può produrre vini a cinque euro. E non può produrre solo Zinfandel bianco perché non ce n’è abbastanza. E quello che arriva dalla Napa Valley a 50, 60, 90 dollari, non si può, certamente, far pagare 6 dollari. Anche se, quindi, l’America dovesse ripiantare le viti, avremmo bisogno di almeno tre anni prima di avere un raccolto. Quindi non penso che queste tariffe avvantaggino nessuno. Ciò che certamente faranno, se verranno messe in atto, è rinnovare completamente il modo in cui le regioni vinicole si commercializzano. E penso che questo possa avere aspetti positivi e negativi.

Quindi, il mercato del futuro sarà più centralizzato in questo modo, secondo te?
Come già accennavo, penso che il mercato del futuro sarà costituito da quei produttori in grado di adattarsi più rapidamente alle nuove tendenze. Si tratterà di non concentrarsi necessariamente sul modo in cui si è prodotto per 300 anni e si continua a farlo, ma penso che la narrazione debba cambiare. E una delle mie narrazioni preferite che la gente spesso dimentica è che uno dei più grandi vini italiani, l’Amarone, è stato un errore. Doveva essere un Recioto che fermentava quasi a secco. Inoltre, penso che anche i vitigni autoctoni siano una nuova strada. Se parliamo nella lingua del consumatore, qui credo che le carte si rimescoleranno e si troveranno altre opportunità. Ma si devono cogliere. Partire dalla rivalorizzazione dei territori, legando la cultura locale e del turismo a quella del vino è una strada. In Italia, ad esempio, lo si sta facendo sul lago di Garda raggiungendo già ottimi risultati. Il vino è cultura e per assaporarla va saputa trasmettere. Da questo punto di vista, questa nazione è sulla strada giusta.