Trump continua a vantare 200 accordi internazionali, ma non c’è alcuna evidenza concreta

Negli ultimi giorni, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ripetutamente dichiarato di aver già raggiunto “200 deal” nei primi 100 giorni del suo secondo mandato. Un’affermazione che ha generato non poche perplessità, sia per l’incongruenza numerica – nel mondo ci sono 195 Paesi riconosciuti – sia per la totale assenza di prove concrete […] L'articolo Trump continua a vantare 200 accordi internazionali, ma non c’è alcuna evidenza concreta proviene da Word2Invest.

Apr 30, 2025 - 09:36
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Trump continua a vantare 200 accordi internazionali, ma non c’è alcuna evidenza concreta

Negli ultimi giorni, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ripetutamente dichiarato di aver già raggiunto “200 deal” nei primi 100 giorni del suo secondo mandato. Un’affermazione che ha generato non poche perplessità, sia per l’incongruenza numerica – nel mondo ci sono 195 Paesi riconosciuti – sia per la totale assenza di prove concrete che confermino l’effettiva esistenza di questi accordi. Più che trattati firmati o intese diplomatiche siglate, l’impressione è che ci si trovi di fronte a una narrazione propagandistica, utile a mascherare le difficoltà della Casa Bianca nel gestire una politica estera sempre più isolazionista e aggressiva.

Il termine “shock and awe” – tradotto come “shock e timore” – è stato più volte utilizzato da commentatori e osservatori internazionali per descrivere la strategia comunicativa del presidente Trump: una comunicazione esplosiva, imprevedibile, volta a imporsi con forza e a generare confusione nei propri interlocutori. Ma al di là dell’effetto mediatico, i risultati reali appaiono scarsi. Le relazioni diplomatiche con molti Paesi tradizionalmente alleati, come il Canada o i membri della NATO, sono ai minimi storici. I nuovi dazi imposti su larga scala hanno minato la fiducia globale nel sistema commerciale multilaterale, mentre sul piano geopolitico la Casa Bianca continua a mostrare ambiguità in merito al conflitto in Ucraina.

Nessun accordo concreto, nemmeno con l’India

Un esempio lampante è rappresentato dai presunti “progressi” nei negoziati con l’India, su cui Trump ha dichiarato che “tutto procede alla grande” e che un accordo è vicino. Tuttavia, dal governo indiano non è giunta alcuna conferma: non esiste traccia di un tavolo ufficiale di trattativa, né tantomeno di una volontà esplicita da parte di Nuova Delhi di concludere un’intesa commerciale con Washington in questa fase. Anzi, il contesto attuale – segnato dall’aumento dei dazi e dall’atteggiamento ostile degli USA verso numerosi partner commerciali – rende estremamente improbabile una svolta negoziale con uno dei principali attori dell’economia asiatica.

Con l’Europa, un dialogo quasi impossibile

Ancora più complessa la situazione con l’Unione Europea. Le divergenze tra Bruxelles e Washington non si limitano al solo piano commerciale, ma investono anche le dinamiche geopolitiche legate alla guerra in Ucraina. I leader europei, come Friedrich Merz e Emmanuel Macron, così come il nuovo premier britannico Keir Starmer, hanno assunto un tono molto critico nei confronti dell’amministrazione Trump. L’approccio ondivago e a tratti contraddittorio della Casa Bianca – tra annunci, marce indietro e provvedimenti temporanei – ha generato notevole incertezza e sfiducia.

Le frizioni con l’Europa si sono aggravate anche per le continue dichiarazioni del presidente statunitense riguardo a un ridimensionamento del supporto militare ed economico all’Ucraina. L’Alto Rappresentante per la politica estera dell’UE, Kaja Kallas, ha descritto la situazione come “una delle più imprevedibili e instabili mai affrontate nelle relazioni transatlantiche”. Kallas ha riconosciuto il contributo passato degli Stati Uniti alla causa ucraina, ma ha anche ribadito che l’UE si trova oggi nella posizione di dover affrontare una maggiore responsabilità strategica e militare, in un contesto globale molto più complesso.

I dazi come arma negoziale… inefficace

Sul piano economico, la situazione è altrettanto difficile. Trump ha imposto un dazio generalizzato del 20% sulle esportazioni europee, successivamente sospeso per 90 giorni al fine di aprire presunte trattative. Anche l’Unione Europea ha predisposto contromisure, ma ha preferito non applicarle immediatamente, mantenendo uno spiraglio aperto al dialogo. Tuttavia, permangono barriere doganali statunitensi su comparti strategici come acciaio, alluminio e automotive, che pesano fortemente sull’economia manifatturiera europea.

All’interno delle cancellerie europee il consenso è ormai unanime: un accordo commerciale strutturato con gli Stati Uniti, sotto la guida dell’attuale amministrazione, è altamente improbabile. Le politiche protezionistiche di Trump, accompagnate da una diplomazia fortemente bilaterale e orientata allo scontro, hanno reso quasi impossibile la costruzione di un’intesa organica con l’Europa.

Un bilancio negativo dei primi 100 giorni

A conti fatti, i primi 100 giorni del secondo mandato di Donald Trump sono stati segnati da una serie di provvedimenti controversi e da una generale destabilizzazione delle relazioni internazionali. Nessuno degli accordi commerciali promessi è stato concluso, né vi sono stati avanzamenti significativi in ambito multilaterale. Sul fronte geopolitico, le tensioni con la Cina e l’incertezza sul ruolo degli Stati Uniti nella guerra in Ucraina stanno erodendo la credibilità internazionale di Washington.

Il presidente statunitense continua a comunicare con toni trionfalistici, ma la distanza tra narrazione politica e realtà diplomatica è sempre più ampia. Se l’obiettivo era lasciare il segno nella storia, potrebbe esserci riuscito. Ma, come sottolineano molti analisti, “per tutte le ragioni sbagliate”.

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