Intelligenza Artificiale e medici, l’integrazione che potrà anticipare diagnosi e salvarci la vita

Lettura delle immagini e diagnosi molto più accurate, che vedono dove l’occhio umano non arriva; previsione dell’insorgenza di eventi e patologie con anticipo; scoperta in maniera più rapida e meno costosa di nuovi farmaci, tra cui antibiotici; cure personalizzate. Il connubio tra Intelligenza Artificiale e medicina – spiegano nel libro Guida facile all’intelligenza artificiale in […] L'articolo Intelligenza Artificiale e medici, l’integrazione che potrà anticipare diagnosi e salvarci la vita proviene da Il Fatto Quotidiano.

Mag 6, 2025 - 14:50
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Intelligenza Artificiale e medici, l’integrazione che potrà anticipare diagnosi e salvarci la vita

Lettura delle immagini e diagnosi molto più accurate, che vedono dove l’occhio umano non arriva; previsione dell’insorgenza di eventi e patologie con anticipo; scoperta in maniera più rapida e meno costosa di nuovi farmaci, tra cui antibiotici; cure personalizzate. Il connubio tra Intelligenza Artificiale e medicina – spiegano nel libro Guida facile all’intelligenza artificiale in medicina (Il Pensiero Scientifico editore) il prof. Alberto Eugenio Tozzi, responsabile dell’Unità di Ricerca Medicina predittiva e preventiva dell’Ospedale Bambin Gesù e la prof.ssa Diana Ferro della stessa Unità – non è dunque un futuro dominato da medici robot o algide diagnosi algoritmiche, ma una integrazione tra l’esperienza umana e quella degli algoritmi, addestrati con dati di ogni tipo ed anche eterogenei: clinici, genetici, ma anche ambientali.

Si va dai dati specifici del paziente, come gli esami di laboratorio, la frequenza cardiaca, del sonno, l’attività fisica, i sintomi, il dolore, ai dati di incidenza delle malattie e dei comportamenti a rischio, ai dati ambientali come le temperature e le precipitazioni. “Finora”, spiega il prof. Tozzi, “siamo stati abituati a fare una sintesi canale per canale: immagini, esami di laboratorio etc. Invece il bello di questa tecnologia è che tutte queste informazioni possono essere tenute insieme, come se avessimo una visione aumentata della malattia. Ecco perché i modelli basati su IA si chiamano multimodali: accettano qualsiasi tipo di dati. Un concetto che espande la visione tradizionale della medicina basata su evidenze, e che ci consente di descrivere e analizzare fenomeni complessi”.

L’IA vede e sente meglio

Insomma, c’è un campo in cui l’IA davvero potrà salvarci la vita è proprio nelle applicazioni in ambito medico. Anzitutto, appunto, grazie alle interpretazioni delle immagini diagnostiche: uno degli esempi più noti riguarda la classificazione di lesioni cutanee per stabilire se sono maligne e decidere strategie terapeutiche per le malattie oncologiche più rapidamente. Con sistemi di deep learning si possono analizzare risonanze magnetiche computerizzate, radiografie, tomografie, scintigrafie, ma anche immagini endoscopiche ed ecografiche. “Pensiamo alle applicazioni in oncologia, ad esempio nei tumori cerebrali”, spiega l’autore. “Normalmente si fa un’operazione chirurgica per fare una biopsia: forse presto per sapere il tipo di tumore tutto verrà fatto con una immagine”. Non solo tumori: l’IA è utilizzata per valutare anche un sospetto diagnostico di malattie su base genetica.

L’IA vede ma anche sente: e infatti grazie ad essa si possono classificare i suoni dell’auscultazione polmonare – sibili, crepitii – per diagnosticare asma o polmoniti. Ma anche i soffi cardiaci e pure il timbro della voce per identificare precocemente i segni di una malattia neurologica progressiva, come il Parkinson i cui sintomi compaiono in fase avanzata. L’IA può essere anche utile ai fini nella diagnosi anche nelle situazioni in cui le manifestazioni cliniche sono simili, come morbo di Crohn e colite ulcerosa. Non aiuta però solo nelle diagnosi, ma classifica anche le malattie in maniera più precisa, come in sotto categorie (per esempio per il diabete mellito). L’IA rappresenta un elemento strategico anche nella predizione di epidemie, utilizzando dati di vario tipo tra cui quelli sulla mobilità delle popolazioni, meteorologici etc.

Prevedere, dunque prevenire

I modelli di IA inoltre sono in grado, se ben addestrati, di predire eventi: una malattia cardiovascolare, il diabete di tipo 2, la broncopneumopatia ostruttiva, l’ipertensione, conseguenze post operatorie, prevenzione delle infezioni in ospedale, ricadute. Centrale si rivela per prevedere la prognosi di malattie in atto: malattie croniche e patologie degenerative come oncologiche, cardiovascolari e neurologiche, con un approccio personalizzato alla malattia. È possibile anche prevedere il successo di alcune strategie terapeutiche prima della loro somministrazione, anche sviluppando strategie antibiotiche personalizzate. “Vorrei precisare”, nota sempre il prof. Tozzi, “ che la predizione si faceva anche prima; ma se riusciamo ad anticipare, grazie all’AI, anche di poche ore un arresto cardiaco in terapia intensiva possiamo prendere provvedimenti che magari salvano il paziente”.

Nuovi farmaci e sperimentazioni “artificiali”

L’intelligenza artificiale, ovviamente, è utilizzata anche per la ricerca scientifica, per sintetizzare quella esistente o simulare esperimenti di laboratorio. Ma fondamentale sarà anche nella farmacologia: si potranno fare simulazioni per ottimizzare e velocizzare processi tradizionalmente lunghi e costosi, superando le sperimentazioni cliniche tradizionali. Inoltre l’IA ha un ruolo nella scoperta di nuove molecole o nel riutilizzo di molecole rimaste orfane dal punto di vista terapeutico. “Sa che ci sono già alcuni antibiotici creati e sviluppati con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, ma anche molti farmaci oncologici? Il bello è che ci mettiamo molto meno a farli”, afferma l’autore. Non solo. Attraverso il cosiddetto “digital twin”, una replica virtuale di cellule, organi, persone e persino popolazioni, “possiamo fare su un computer esperimenti che richiederebbero risorse e infrastrutture. E la sperimentazione clinica avrà meno bisogno di persone in carne e ossa, così difficili da coinvolgere negli studi clinici, o animali. Una svolta”, nota il prof. Tozzi.

Gli autori spiegano come in futuro ci saranno anche “agenti conversazionali” che assistono il personale medico in compiti quotidiani e che potranno dialogare con il paziente, adeguandosi alla sua lingua, al suo livello socioeconomico, persino al suo livello linguistico.

Serve un cambiamento culturale

Si tratta insomma, concludono Tozzi e Ferro, di una rivoluzione culturale: non essere sostituiti da nessuno, ma cominciare a prendere decisioni cliniche in assenza di un’apparente urgenza, diventando proattivi invece che reattivi.

Non mancano gli ostacoli, tra cui, spiega ancora il prof. Tozzi, “il fatto che, poiché gli algoritmi sono alimentati da dati che vengono da più settori, sono soggetti a improvvisi cambiamenti, pensi a cosa sta accadendo oggi che gli Stati Uniti si stanno blindando, quando la maggior parte degli algoritmi in commercio viene da lì e dal mondo orientale. Al tempo stesso abbiamo bisogno di modelli che integrino dati europei, se curiamo pazienti europei. In Europa andiamo un po’ più lenti, anche per via delle regolamentazioni, tuttavia il potenziale è clamoroso”.

Ma la rivoluzione è iniziata. E, conclude l’autore, “al di là dell’aspetto scientifico c’è in nuce la possibilità di rivedere i processi di cura e migliorare l’accesso alle cure, raggiungendo anche popolazioni emarginate. Pensiamo alla diagnosi di malattie rare in quei posti isolati dove mancano specialisti: si potrà inviare un software via internet in loco. In questo senso l’IA aiuta, anche, a democratizzare le medicina”.

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